Aquileia, 13 July, 2018 / 2:00 PM
“Oggi siamo tutti consapevoli che le immani sofferenze di quella guerra furono proprio una inutile strage, e voi qui a Gorizia lo sapete probabilmente meglio degli altri, ma allora tutti respinsero l’appello papale alla pace”. Lo ha detto il Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin durante la Lectio Magistralis alla conferenza ad Aquileia: "La guerra: una sconfitta per tutti. A cento anni dalla fine del primo conflitto mondiale".
Il Cardinale Segretario è stato invitato dall’Arcivescovo di Gorizia Monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli nella solennità dei Santi Martiri Ermacora, Vescovo, e Fortunato, diacono, Patroni di Aquileia, dell’antico Patriarcato e ora dell’Arcidiocesi di Gorizia, di quella di Udine e della Regione Friuli Venezia Giulia, per “commemorare il centenario della fine di quell’immane carneficina che falciò milioni di vite innocenti”.
Proprio Gorizia per il Cardinale Parolin “dà ragione alle profetiche intuizioni di Benedetto XV, eletto al pontificato solo un mese dopo l’inizio della guerra, il 3 settembre 1914, che subito parlò del conflitto come del suicidio dell’Europa, ripetendo poi l’espressione in molte successive occasioni”.
Dicendo “tutti colpevoli” il Segretario di Stato Vaticano dicendo non si “riferisce soltanto ai Governi ma anche, purtroppo, a gran parte dell’Episcopato europeo”. “Molti Vescovi francesi e austro-tedeschi – commenta il Cardinale Pietro Parolin - è stato dimostrato nel corso dei due convegni summenzionati, preferì non pubblicare nei rispettivi bollettini diocesani l’appello pontificio (che non era un irenico invito alla concordia, ma una concreta proposta di soluzione delle questioni territoriali in discussione, molto simile alla proposta di pace che avanzerà all’inizio del 1918 il Presidente degli Stati Uniti), con la speciosa giustificazione che il Papa si sarebbe rivolto ai Governi e non ai fedeli cattolici del continente”.
“Guardando le cose dall’alto e non dal basso – continua il Cardinale Parolin nella Lectio - non avendo interessi propri da difendere, Papa Benedetto aveva perfettamente compreso ciò che né i Governi né molti Vescovi né la maggior parte dei cattolici d’Europa vollero comprendere: che la guerra sarebbe stata una sconfitta per tutti, anche per i vincitori, che si stava seminando il virus malefico di nuovi rancori, di nuovi conflitti”.
“Oggi sappiamo che tutto ciò si è tristemente avverato – rammenta il Segretario di Stato Vaticano - la guerra e il dopoguerra hanno dissolto l’ordine internazionale centrato sull’Europa senza riuscire a sostituirlo in maniera equa e duratura; ha sepolto quattro imperi tedesco, austro-ungarico, russo e ottomano, aprendo una voragine politica e territoriale che i cento anni successivi non sono ancora riusciti a colmare, soprattutto in queste terre dell’Europa orientale rispetto alle quali Gorizia è una sorta di porta di accesso; ha dato il via in Russia ad un esperimento rivoluzionario drammatico, nel quale sono stati annientati milioni di persone; ha precipitato il Medio-Oriente, dove gli antichi e consolidati equilibri ottomani furono sostituiti dalla diarchia tardo coloniale anglo-francese, in una crisi permanente, giunta penosamente fino a noi, con lo strascico di perdite e di patimenti che tutti conosciamo, anche fra le antiche popolazioni cristiane che vi abitano, alle quali va in questo momento il nostro ricordo e la nostra solidarietà”.
Per il Cardinale Parolin moltissime cose sono cambiate “nel cattolicesimo a causa degli sconvolgimenti prodotti dalla guerra”. Il Cardinale ne cita alcune: “La scomparsa dell’Impero austro-ungarico ha posto fine al sistema giuridico della Chiesa di Stato, che era stato uno dei pilastri della costituzione imperiale in gran parte dell’Est europeo, compresa la diocesi di Gorizia. Dalle nomine dei vescovi, al controllo dei seminari, alla gestione degli istituti religiosi, era lo Stato che controllava e sovrintendeva alla Chiesa. Basterà ricordare la scuola superiore del clero, il Frintaneum di Vienna, dove andavano a conseguire i gradi più alti dell’istruzione i migliori allievi dei seminari imperiali. Il Frintaneum era un’istituzione statale, sistemata nella Hofburg viennese, sotto il diretto controllo dell’Imperatore. Sappiamo che da Gorizia, una delle diocesi più considerate, sede metropolita del territorio del Litorale, molti sacerdoti conseguirono i gradi accademici al Frintaneum, dai cui allievi venivano preferibilmente scelti anche i candidati all’episcopato”.
Un mutamento toccò anche i Nunzi apostolici, cioè gli “ambasciatori del Papa, che erano stati fino a quel momento figure prevalentemente politiche, mentre ora recuperarono la loro natura più autentica: rappresentanti del Papa presso i Governi, ma anche presso le chiese locali e le loro istituzioni, collegamento del centro ecclesiastico romano con la periferia, fonte di informazione e di comunione da Roma alle Chiese locali e dalle Chiese locali a Roma”.
Una trasformazione non meno radicale si ebbe nel mondo missionario, fino a “quel momento spesso subalterno al colonialismo europeo”. “Dopo la guerra – ricorda il Cardinale Parolin - Benedetto fu sollecito nell’indicare che il mondo missionario doveva comunque cambiare strada, abbandonare l’ideologia coloniale nella quale si era adagiato e promuovere l’autonomia, l’indipendenza, l’autogoverno ecclesiastico in tutte le aree extra-europee”.
Conclude infine il Segretario di Stato Vaticano la sua Lectio: “I quattro anni di guerra hanno, insomma, cambiato radicalmente il mondo, prefigurando le condizioni politiche, istituzionali e sociali che in qualche modo sono giunte fino a noi. Ebbene, non credo di peccare di partigianeria, se affermo che la Chiesa cattolica fu in diversi casi più accorta e più svelta delle istituzioni civili nel comprendere il cambiamento in atto e nell’adeguare la propria struttura istituzionale o organizzativa al nuovo che stava irrompendo”.
Nella Basilica di Aquileia durante l’omelia il Cardinale ricorda i patroni della città e la tragicità della guerra: “Quante guerre (grandi o piccole) si sarebbero potute evitare e si potrebbero evitare, quante vite si sarebbero potute salvare e si potrebbero salvare, se si fosse lavorato e se si lavorasse di più e meglio per rendere testimonianza nel nome di Gesù, cioè per fare posto a Dio, per la giustizia, per la conoscenza reciproca tra i popoli, per la collaborazione, per il bene comune, il bene di tutti, il bene nostro ma anche quello degli altri. Se questo è lo spirito che condividiamo, allora possiamo guardare, oggi, con devozione del tutto autentica e sincera, ai nostri Santi Patroni, Ermacora e Fortunato".
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