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Un servizio di EWTN News

Terrasanta, Pizzaballa sottolinea: “Gerusalemme è la questione”

L'arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, durante il convegno in Santa Croce, 9 giugno 2018

La questione è Gerusalemme. Solo una volta sarà risolta la questione Gerusalemme, tutti gli altri problemi saranno risolti. L’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, vicario apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, fornisce un quadro chiarissimo della situazione in Terrasanta.

L’occasione è il convegno “Vivere in Terrasanta”, organizzato presso la Pontificia Università della Santa Croce lo scorso 8 giugno in collaborazione con Saxum, un progetto che prende il nome dal soprannome dato da Sant’Escrivà de Balaguer a monsignor Alvaro del Portillo, il suo successore alla guida dell’Opus Dei. Se Sant’Escrivà non andò mai in Terrasanta, del Portillo vi disse l’ultima Messa della sua vita, e nel suo nome, lì, nel luogo dove fu custodita l’arca dell’alleanza, si sta costruendo un centro perché persone di tutto il mondo si possano sentire a casa.

Sono tre i temi che l'arcivescovo Pizzaballa sviluppa nel suo intervento: lo status di Gerusalemme e il dialogo in corso con il governo di Israele; la situazione dei cristiani nel territorio; il dialogo ecumenico. 

Gerusalemme 

Da trenta anni in Terrasanta, prima come studente, poi come Custode di Terrasanta e quindi come amministratore del Patriarcato Latino, l’arcivescovo Pizzaballa conosce a menadito i problemi della Terrasanta. Lo status quo dei Luoghi Santi è un regolamento che si creò alla fine del XIX secolo, nato per risolvere un contenzioso, che ora regola la presenza delle Chiese cristiane e la gestione dei Luoghi Santi in Terrasanta. Ma poi, oltre questo, la Chiesa cattolica ha in corso un dialogo con lo Stato di Israele per fare entrare in vigore l’Accordo Fondamentale siglato nel 1993.

Non dico più che siamo vicini alla conclusione, perché lo abbiamo detto così tante volte che rischiamo di non essere credibili. Di certo, c’è una atmosfera positiva, e di certo questo Accordo può spianare la strada anche ad altri accordi sui Luoghi Santi dello Stato di Israele con le confessioni cristiane”, sottolinea l’Arcivescovo Pizzaballa.

Lo status quo tocca in particolare Gerusalemme. Ed è lì che si concentrano da sempre tutte le tensioni, ora più forti che mai dopo la decisione del presidente USA Donald Trump di spostarvi l’ambasciata USA in Israele. Anche Papa Francesco ha più volte fatto appelli sul tema.

Certo, ora è importante lavorare sul territorio. Sottolinea l’arcivescovo Pizzaballa: “Le esperienze di questi ultimi anni, (dagli accordi di Camp David quelli di Oslo, tutti falliti) ci danno l’indicazione chiara che la politica non è capace da sola di risolvere la complessità dei problemi. Bisogna creare una formazione di pace e di accoglienza, andando oltre l’idea che la storia dell’altro minaccia la propria storia personale, coem succede adesso nel conflitto in corso”.

Non solo. La politica è importante perché “c’è bisogno di uno sguardo più complessivo sulla Terrasanta, non si può slegare Israele dalla regione, ci vuole uno sforzo complessivo di tutti”.

La soluzione “due popoli, due Stati” “resta la soluzione ideale”, ma dal “punto di vista pratico ci sono molte domande a riguardo. È evidente che comunque la forma di negoziato stabilita a partire dagli accordi di Oslo si è esaurita e si dovranno trovare dei modi per far ripartire in maniera seria un negoziato tra le parti”. E, dal punto di vista internazionale, va segnalata l’assenza dell’Unione Europea, “forte dal punto di vista economico, ma senza una opinione condivisa sul tema, e dunque di fatto assente”.

Continua, intanto, il negoziato tra Chiesa cattolica e Israele, con l’applicazione dell’Accordo Fondamentale che ha l’obiettivo di dare alla Chiesa cattolica “piena cittadinanza nello Stato di Israele”.

“Scherzando, diciamo che lo stesso negoziato è uno status quo”, sottolinea l’amministratore del Patriarcato Latino.

Quindi, il tema della chiusura del Santo Sepolcro, per la prima volta nella storia. L’arcivescovo sottolinea che le questioni sono due, quella del negoziato tra Israele e Santa Sede, che riguarda la Chiesa Cattolica, e poi la situazione delle Chiese a Gerusalemme.

“Tutte le Chiese – racconta - anche la Chiesa cattolica, vivono in una sorta di limbo, ancora con i privilegi dell’Impero Ottomano: c’è bisogno di dare alla Chiesa piena cittadinanza, e questo richiede un accordo tra le parti”.

Per quanto riguarda la crisi del Santo Sepolcro, “non c’è nessuna legge in Israele che definisce cosa la Chiese debbano pagare o no. C’è questo privilegio che non è legge. I municipi hanno bisogno di fare cassa, e la municipalità di Gerusalemme ha applicato una tassa alle Chiese. La protesta non significa che le Chiese non vogliono pagare le tasse. Vogliono che le tasse siano parte di un accordo, non frutto di una iniziativa unilaterale di questo o quel comune, che magari invia una richiesta di pagamento retroattivo. C’è stata iniziativa unilaterale del comune di Gerusalemme davanti la quale eravamo impotenti, in cui abbiamo dovuto prendere una iniziativa forte. Dopo l’evento c’è stata da parte del governo israeliano l’iniziativa di erigere una commissione per discutere e alla fine si è arrivata al negoziato e la commissione si è già messa al lavoro. Mi auguro si possa trovare una via ragionevole”.

"Il cristianesimo non sta morendo in Terrasanta"

Ci si può chiedere perché i cristiani vogliano stare a Gerusalemme. L’arcivescovo Pizzaballa sottolinea che no, per un cristiano non c’è bisogno di stare a Gerusalemme, ma allo stesso tempo “l’identità di Gerusalemme non può essere messa in discussione, perché il cristianesimo è incarnazione e non vi è incarnazione senza luogo: senza Gerusalemme la nostra fede sarebbe solo un racconto”.

D’altro canto, “non si devono venerare le pietre. Si deve pregare di fronte le pietre, ricordando che il cristiano vive nei conflitti. Non possiamo risolvere i conflitti. Ma il cristiano ha il dovere di testimoniare uno stile in quei conflitti”.

E il conflitto principale è quello di Gerusalemme, considerata capitale indivisibile sia da Israele che dalla Palestina, che chiama la città al Aqsa. “

“Una volta risolto il problema di Gerusalemme – sottolinea l’arcivescovo Pizzaballa - tutti gli altri problemi saranno risolti. La Chiesa non entra nel merito delle discussioni tra israeliani e palestinesi, che comunque non ci sono, su dove dovrebbero essere i confini: le questioni politiche devono essere risolte da autorità politiche. Ma Gerusalemme non è solo sovranità. È il cuore di milioni di credenti, un simbolo religioso imprescindibile”.

Curioso che Gerusalemme non sia mai stata al centro della storia, né abbia mai fatto storia nella vita della Chiesa – nota l’arcivescovo Pizzaballa – nonostante per tutti questi secoli “sia stata il cuore dei credenti”. Ma – aggiunge- questo non è casuale, perché se Gerusalemme avesse fatto scuola, qualcun altro sarebbe stato escluso”.

Ma quale è la situazione in generale del Medio Oriente, e in generali quanti sono i cattolici? L’arcivescovo Pizzaballa la tratteggia in cifre: in Giordania, ci sono 7 milioni di giordani e 3 milioni di profughi, ma i cristiani sono 17 0 mila; in Israele ci sono 7 milioni di ebrei e 1,5 milioni di arabi musulmani, e tra questi solo 140 mila arabi cristiani; in Palestina ci sono poco più di 4 milioni di musulmani, e 45 mila cristiani.

Numeri piccolissimi, che si aggiungono all’esodo dei cristiani avvenuto con gli attacchi e la violenza dello Stato Islamico, tanto che 2 terzi dei cristiani presenti in Iraq se ne è andato.

Eppure – sottolinea l’arcivescovo Pizzaballa – “non stiamo sparendo, la Chiesa di Terrasanta non è una Chiesa morente, e i cristiani non sono un popolo a sé rispetto agli altri. Vivono le stesse situazioni economiche e politiche degli altri. Abbiamo piccoli numeri, ma siamo una realtà vivace. Molto. Basti pensare che il Patriarcato Latino gestisce 45 scuole più centri per disabili e ospedali, frutto di una realtà religiosa molto vivace con 40 Congregazioni religiose maschili e 70 congregazioni religiose femminili”.

(La storia continua sotto)

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In più, la Terrasanta è sempre più luogo di pellegrinaggio, arrivano il 50 per cento di pellegrini cristiani, e da parti sempre più diverse: prima, il 90 per cento venivano da Paesi occidentali, oggi invece gli occidentali non sono nemmeno il 50 per cento, e la maggior parte viene dall’America Latina.

Il dialogo ecumenico

L’arcivescovo Pizzaballa non è però pessimista. Sottolinea che la pace “è una realtà integrale”, le religioni sono chiamate a “costruire il loro contesto”, perché “le cose a Gerusalemme non si possono che fare insieme”.

E afferma: “Questo è l’aspetto bello di Gerusalemme: se togliamo la politica e le istituzioni religiose, sempre ingessate con la paura di perdere la loro fetta di potere, e guardiamo alla realtà personale e umana, si incontrano persone meravigliose, ci si arricchisce tantissimo nel dialogo. Le relazioni che ho avuto con ebrei e musulmani mi hanno cambiato la vita. Parlando del Vangelo, mi sono reso conto che delle domande non me le ero mai fatte, io che prima di nascere già ero cattolico”.

E così, con il dialogo costante, “l’altro non è più quello che sta dietro la cortina, ma diventa parte di te”.

In fondo – aggiunge – “l’ecumenismo vive una epoca bella, molto positiva, e credo sia un segno dei tempi. Quando sono arrivato in Terrasanta trenta anni fa dicevano che sarebbe stato impossibile lavorare insieme. Oggi lo facciamo”.

Un cambio radicale che nasce anche dal cambio generazionale, perché “ci sono generazioni nuove che vengono da esperienze diverse. La leadership religiosa e cristiana è completamente cambiata, e di fronte a questi cambiamenti drammatici cui il Medio Oriente ha dovuto assistere, e che hanno colpito in maniera indistinta tra Ortodossi e Cattolici, si è preso coscienza di dover fare le cose insieme. C’è una nuova consapevolezza, e si va avanti con ritmi lenti, ma orientati in maniera molto chiara verso partecipazione, collaborazione, armonia”.

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