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Un servizio di EWTN News

Giovanni XXIII torna in Vaticano. Cardinale Parolin: “Fu un uomo abbandonato a Dio”

La salma di San Giovanni XXIII pronta per tornare in Vaticano

Prima del Papa, viene l’uomo, “interamente abbandonato al progetto di Dio”. Perché la santità non viene data dalla grandezza del personaggio, ma dalla grandezza dell’anima. Il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, tiene a Sotto Il Monte che conclude la Peregrinatio della salma di San Giovanni XXIII a casa.

Per 18 giorni, dal 24 maggio al 10 giugno, Giovanni XXIII è tornato a casa, nella Sotto il Monte da cui Angelo Giuseppe Roncalli ha mosso i primi passi, prima di diventare sacerdote, cappellano militare, diplomatico della Santa Sede in servizio in Turchia, Grecia, Bulgaria, Francia, Patriarca di Venezia e poi Papa.

Un evento che ha marcato il 60esimo anniversario della sua elezione a pontefice (28 ottobre 1958), il 55mo anniversario dell’enciclica Pacem In Terris (11 aprile 1963) e il 55esimo della sua morte (3 giugno 1963), e che ha visto la partecipazione di 200 mila pellegrini, dai bambini ai più anziani, ansiosi di salutare il “Papa Buono” in una peregrinatio che è stata anche uno straordinario evento spirituale tra fede, storia e tradizione, che ha visto la presenza anche dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini e del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia.

La Messa del Cardinale Parolin a Sotto il Monte, nella sera del 9 giugno, chiude idealmente questa peregrinatio. Dopo la Messa dell’arcivescovo di Bergamo Beschi del 10 giugno, le spoglie del Papa santo si prepareranno a tornare in Vaticano.

Il segretario di Stato vaticano sottolinea che la peregrinatio è stata “un evento di grazia”, spera che sia “una opportunità di rinnovamento ecclesiale e civile”, sulle linee tracciate dal vescovo Beschi di “povertà, anima, cordialità ed ecumenismo”, parole che compongono l’acrostico PACE.

Chi fu San Giovanni XXIII? Un uomo buono “divenuto Santo perché fu un uomo interamente abbandonato al progetto che Dio aveva su di lui”, sottolinea il Cardinale Parolin, che lo tratteggia come un uomo le cui “parole e gesti esprimevano autorità e gentilezza, serena fermezza e benevolenza, audacia e prudenza, paternità spirituale e condiscendenza fraterna”.

Tratti che stupirono il mondo, perché tutti “percepivano che quella semplicità e giovialità del tratto erano il risultato di un costante lavoro di affinamento del carattere, erano l’esito di un percorso sincero e profondo di un’anima alla ricerca dell’essenziale, il frutto di una lunga esperienza e di molte letture meditate”.

Il Cardinale si rifà a molti passaggi del Giornale dell’Anima, la “biografia spirituale” di San Giovanni XXIII, e sottolinea che per capire “l’opera del sacerdote, del vescovo e cardinale Roncalli, come poi del pontefice Giovanni XXIII, occorre partire dalla sua fede solida, opera, tranquilla, fiduciosa in Dio, in sua Madre Maria e nei santi”.

È una fede imparata proprio a Sotto il Monte, con una stabilità che lo rese “paziente e audace”, sempre alla ricerca di “parole che sapessero interessare, coinvolgere e persino commuovere ogni persona di buona volontà, anche oltre i confini visibili della Chiesa”, facendo perno “sulle cose che uniscono”.

Il Cardinale Parolin ricorda che gli interlocutori potevano percepire “la serena e sovrana libertà interiore del suo animo”, tanto che riconoscevano in lui “l’uomo di Dio, che pensa e agisce con magnanimità, che suscita e incoraggia il bene e che, in un mondo diviso e lacerato, vuole essere segno di concordia”.

Per il Cardinale Parolin, Papa Giovanni XXIII “leggeva negli avvenimenti della storia non soltanto il funesto elenco dei drammi e delle tragedie provocate dai peccati degli esseri umani, ma in primo luogo la potenza e la grande misericordiosa del disegno di salvezza di Dio”.

Fu la fede – aggiunge il Cardinale – che gli diede coraggio, tanto che il Papa Buono si assunse “la responsabilità di indire un Concilio Ecumenico che radunasse l’intera Chiesa per aggiornare il modo di proporre la verità evangelica, per trovare linguaggi e metodi adatti a far incontrare l’uomo contemporaneo con le perenni verità del Vangelo.

Del diplomatico Roncalli, che trascorse oltre 20 anni nelle nunziature in Bulgaria, Turchia e Grecia, il Cardinale Parolin ricorda l’impegno ecumenico, consapevole dalle “complessità” del percorso verso la piena comunione, ma certo che “occorresse iniziare un nuovo capitolo fatto di inedite reciproche premure, di gesti simbolici e di atti fraterni”, valorizzando “ciò che unisce” per aprire un percorso “destinato a condurre alla piena unità visibile”, aprendo una “era nuova” attraverso la preghiera che “doveva suscitare una serie di iniziative volte a cambiare i cuori”.

Un sogno ancora non realizzato, quello dell’unità visibile, ma molto più vicino, dopo che ostacoli “sono stati tolti dal sentiero” e malintesi “sono stati dissolti”, mentre “l’ecumenismo della carità, come la reciproca conoscenza e frequentazione, ci fa ormai vedere anche le asperità del cammino in un modo del tutto nuovo”. Parte del merito va proprio al lavoro fatto da San Giovanni XXIII.

Il quale fu anche “fattore di riconciliazione delle nazioni”, in un mondo “minacciato dalle armi di distruzione di massa e dalla acuta tensione della guerra fredda” – il riferimento è alla crisi dei missili di Cuba del 1962, che portò poi anche alla stesura dell’enciclica Pacem In Terris.

Ma è tutto un percorso, quello di San Giovanni XXIII, nato proprio dalla fiducia in Dio, sottolinea il Cardinale Parolin. Prendendo spunto ancora da un passaggio del 1919 del Giornale dell’anima, il Cardinale esorta i fedeli: “”Fidatevi completamente del Signore, lasciate che Egli entri nelle case, nei luoghi di lavoro e di studio, che abiti anche i sentimenti, i progetti e gli svaghi, perché vi benedica e vi doni la sua grazia, senza la quale nulla è possibile fare di buono. Affidatevi a Lui, che può fare di ciascuna povera anima un giardino che diffonde ovunque il profumo del bene”.

Parlando in una intervista con Vatican News per la conclusione della Peregrinatio, il Cardinale Parolin si è lasciato anche andare a ricordi personali. “È stato – ha detto - il primo Papa che ho conosciuto, dopo l’età della ragione. Ricordo soprattutto la grande mestizia, il senso di sgomento che si percepiva quasi in maniera palpabile in occasione della sua morte. Io avevo allora otto anni e cominciavo a rendermi conto delle cose. Ho notato proprio questa atmosfera, questo clima: è come se stesse morendo qualcuno della propria famiglia, come se stesse morendo un papà, perché tutti lo sentivano tale”.

Quindi, ha ricordato che Giovanni XXIII fu chiamato “l’uomo dell’incontro”, e ha sottolineato che “la diplomazia è proprio questo: il tentativo di superare tutte le barriere e di incontrarsi per affrontare insieme i problemi dell’umanità di oggi”.

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