Città del Vaticano , 04 June, 2018 / 12:35 AM
“Una comunicazione che sappia anteporre la verità agli interessi personali o di corporazioni”. E’ questo il desiderio di Papa Francesco espresso durante l’incontro con una Delegazione del Premio di giornalismo internazionale “Biagio Agnes”, ricevuta oggi in Vaticano. La Fondazione che promuove il Premio porta il nome di Biagio Agnes, uno dei più noti giornalisti italiani, difensore del servizio pubblico, che “più volte intervenne sul ruolo del giornalista come garante dell’informazione corretta, attendibile, autentica e puntuale”, come sottolinea il Pontefice.
Per il Papa “essere giornalista ha a che fare con la formazione delle persone, della loro visione del mondo e dei loro atteggiamenti davanti agli eventi. È un lavoro esigente, che in questo momento sta vivendo una stagione caratterizzata, da una parte, dalla convergenza digitale e, dall’altra, dalla trasformazione degli stessi media”.
Francesco racconta: “Spesso mi capita di vedere, in occasione di viaggi apostolici o di altri incontri, una differenza di modalità produttive: dalle classiche troupe televisive fino ai ragazzi e ragazze che con un telefonino sanno confezionare una notizia per qualche portale. O anche dalle radio tradizionali a vere e proprie interviste fatte sempre con il cellulare. Tutto questo dice che davvero stiamo vivendo una trasformazione pressante delle forme e dei linguaggi dell’informazione”.
Ma per tutto questo c’è bisogno di “vigilanza sapiente”. Non esistono ricette, ma il Papa insiste su tre parole: periferie, verità e speranza.
Periferie. “Molto spesso, i luoghi nevralgici della produzione delle notizie si trovano nei grandi centri – dice Francesco - Questo però non deve farci mai dimenticare le storie delle persone che vivono distanti, lontane, nelle periferie. Sono storie a volte di sofferenza e di degrado; altre volte sono storie di grande solidarietà che possono aiutare tutti a guardare in modo rinnovato la realtà”.
Verità. “Essere coraggiosi e profetici”. “Tutti sappiamo dice Francesco - che un giornalista è chiamato a scrivere ciò che pensa, ciò che corrisponde alla sua consapevole e responsabile comprensione di un evento. È necessario essere molto esigenti con sé stessi per non cadere nella trappola delle logiche di contrapposizione per interessi o per ideologie. Oggi, in un mondo dove tutto è veloce, è sempre più urgente fare appello alla sofferta e faticosa legge della ricerca approfondita, del confronto e, se necessario, anche del tacere piuttosto che ferire una persona o un gruppo di persone o delegittimare un evento”.
Speranza, è l’ultima parola. “Non si tratta di raccontare un mondo senza problemi: sarebbe un’illusione – osserva il Pontefice – Si tratta di aprire spazi di speranza mentre si denunciano situazioni di degrado e di disperazione. Un giornalista non dovrebbe sentirsi a posto per il solo fatto di aver raccontato, secondo la propria libera e consapevole responsabilità, un evento. È chiamato a tenere aperto uno spazio di uscita, di senso, di speranza”.
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