Città del Vaticano , 15 May, 2018 / 6:00 PM
Dare nuovo impulso alla sinodalità, anche con riforme di tipo strutturale, come rendere obbligatori in ogni diocesi i Consigli Diocesani. Attuare pienamente la collegialità del Concilio, anche trovando nuove procedure per la convocazione del Sinodo dei Vescovi che coinvolgano maggiormente il popolo di Dio.
Sono proposte contenute in “La Sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa”, il nuovo documento della Pontificia Commissione Teologica Internazionale pubblicato lo scorso 2 marzo. Ma come è nato, e cosa vuole dire, il nuovo documento? Monsignor Piero Coda, rettore dell’Università Sophia di Loppiano e membro della sottocommissione che ha lavorato al documento, lo spiega ad ACI Stampa.
Monsignor Coda, quale è stata la genesi del documento?
Il tema della sinodalità è antico quanto la Chiesa. Papa Francesco, nell’importante discorso tenuto tre anni fa in occasione del Cinquantesimo dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, riportava una affermazione di San Giovanni Crisostomo che diceva che “Sinodo è il nome della Chiesa.” Vale a dire che la Chiesa è sinodo, è cammino insieme.
Se questa è una realtà così antica, perché c’era bisogno di un documento?
Dopo il Concilio Vaticano II, si è progressivamente affermata la consapevolezza della sinodalità nella Chiesa Cattolica. C’era, dunque, bisogno di un documento di puntualizzazione, che ne spiegasse teologicamente il significato e le sue applicazioni concrete. Infatti, il concetto di sinodalità, pur essendo antico quanto il cammino della Chiesa, non aveva avuto l’attenzione che meritava, mentre ci si era concentrati su una serie di problematiche di necessità, specialmente riguardo il primato del Pontefice.
Da qui il documento della Pontificia Commissione Teologica Internazionale?
La sinodalità era tra i temi proposti all’attenzione nel momento dell’insediamento della Commissione Teologica Internazionale. La Commissione dura in carica per cinque anni, ed è legata alla Congregazione per l’Educazione Cattolica. I temi possibili vengono anche suggeriti dal Papa e dalle necessità della Chiesa, ma la commissione è libera di scegliere quali temi ritiene più opportuno approfondire. Si arrivò così ad una scelta di tre temi: la libertà religiosa nel contesto internazionale oggi, il rapporto tra fede e sacramenti soprattutto in relazione al matrimonio e la sinodalità. Quest’ultimo fu subito il più gettonato, sebbene fosse considerato più spinoso. Ciononostante, la sotto commissione che ha lavorato sul testo (la Pontificia Commissione Internazionale è composta da 30 membri, divisi in 10 sottocomissioni), ha lavorato bene, e già a dicembre si è arrivati alla presentazione di un testo che ha ricevuto l’approvazione della maggioranza della Commissione.
Nel documento si parla anche di cambiare le procedure della convocazione del Sinodo dei vescovi. Cosa si intende?
Non c’è una indicazione sulla procedure, che devono essere anche “originate”. Viene sollevata la questione che la convocazione del Sinodo dei vescovi debba coinvolgere maggiormente le Chiese locali. Attualmente, il Sinodo raccoglie una rappresentanza dei vescovi di varie parti del mondo e delle varie conferenze episcopali, ma i temi che vengono dibattuti al Sinodo non vengono sempre precedentemente discussi con le Chiese. Viene richiesto invece che il vescovo possa ascoltare sul tema anche il parere del popolo di Dio nel suo insieme, perché una chiave fondamentale della sinodalità è l’ascolto.
Significa che i vescovi dovrebbero avere possibilità di discutere i temi prima che questi arrivino al tavolo del Consiglio del Sinodo?
Direi, prima che arrivi alla discussione stessa dell’assemblea. Siamo già in quella direzione, Papa Francesco ha già messo in moto quel processo, sia per il Sinodo sulla Famiglia, sia per il Sinodo sui giovani. In quest’ultimo caso, Papa Francesco ha fatto precedere l’assemblea da una assemblea preparatorio, il pre-sinodo dei giovani. Si tratta di inventare delle procedure che coinvolgano il più possibile le varie espressioni del popolo di Dio.
Il documento chiede anche di rendere obbligatoria l’istituzione dei Consigli diocesani, nonché una serie di strutture necessarie alla sinodalità. Si parla, dunque, non solo di una riforma teologica. In che modo questa coinvolge le strutture?
Una riforma solamente teologica, che non incide sulle istituzioni e sulle strutture, rimane un flatus vocis. Il Vaticano II ha introdotto tra i vescovi il tema e la prassi della collegialità, e per questo Paolo VI istituì il Sinodo dei Vescovi, un atto di grande portata ecclesiologica. Fu al Concilio che si auspicò la promozione di questi consigli presbiteriali e pastorali, a livello parrocchiale e a livello diocesano, per incentivare la ecclesiologia di comunione.
Se il processo era già partito, perché c’è bisogno di fare richieste precise?
Perché si nota oggi che queste strutture di comunione devono essere promosse e incentivate in molte dimensioni della Chiesa. Lo diceva anche Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte. Il richiamo del documento a costituire come obbligatori i consigli pastorali all’interno delle parrocchie è un input che è venuto dal Sinodo diocesano della Chiesa di Roma.
In che modo?
Il Sinodo Pastorale diocesano sul tema "Comunione e missione della Chiesa di Dio che è in Roma alle soglie del terzo millennio" si concluse nel 1993, e il documento finale, approvato a maggioranza e poi ratificato da San Giovanni Paolo II, stabiliva che nella Chiesa di Roma, a livello parrocchiale, i consigli diocesani non sono solamente auspicati, ma sono obbligatori! Non so quanto questo sia stato effettivamente realizzato, ma la disposizione è citata nel libro del Sinodo.
Perché è così importante la Chiesa di Roma?
Sin dall’inizio, la Chiesa di Roma ha avuto questo ruolo centrale. Era la sede di Pietro e di Paolo, e, alla luce di questa origine apostolica, ha sempre sviluppato un dinamismo sinodale. È sempre stata un prototipo per tutte le Chiese. Per fare un esempio, il collegio dei cardinali a livello universale nasce da questa espressione di sinodalità all’interno della Chiesa locale di Roma.
Si può dire che questo documento è uno sviluppo nella discussione teologica?
Certamente è uno sviluppo. È parte di un cammino, una riflessione che ha visto nel 2003 l’Associazione Teologica Italiana celebrare un congresso sul tema della sinodalità. Mancava ancora una presa di posizione teologicamente fondata da un punto di vista ufficiale, ma non ci sono state rotture. Il documento della Commissione Teologica Internazionale si riunisce nel dibattito con una certa autorevolezza e funge da stimolo a proporre questa realtà all’interno delle Chiese locali e ad incentivare la riflessione teologica sul tema, ma anche a creare delle dinamiche che rendano possibile l’esercizio della sinodalità all’interno delle Chiese.
Il tema è particolarmente cruciale anche nel dialogo ecumenico. Come si possono combinare sinodalità, collegialità e primato?
È un tema che è dibattuto nella Commissione Teologica Internazionale mista tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa, e se ne è parlato nei documenti di Ravenna e in quello più recente di Chieti. Si sta attuando sempre più una convergenza tra Chiesa Cattolica e Chiesa Ortodossa, e il dibattito ha permesso di capire sempre meglio che l’esercizio dell’autorità primaziale e la sinodalità sono due realtà interdipendenti. Nella Chiesa, non ha senso un esercizio di una autorità che non interagisca sempre, non interpreti e non dia orientamento alla comunione di tutti, come non ha senso la comunione intesa come realtà orizzontale, mera partecipazione senza il sigillo di una conferma del carattere apostolico e spirituale che viene dato appunto dall’esercizio dell’autorità in comunione. Questo tema è una delle frontiere più importanti della Chiesa nel prossimo futuro!
(La storia continua sotto)
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