Città del Vaticano , 14 May, 2018 / 5:00 PM
“Con il cristianesimo lo stato è uno strumento che ha dei limiti, che è a servizio dell’uomo, e non è il tutto. Solo le dittature lo credono”. A dirlo il Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani che venerdì scorso ha partecipato alla presentazione del libro “ Liberare la libertà” edito d Cantagalli che raccogli alcuni scritti sulla politica di Benedetto XVI.
Il libro è il secondo di una collana che si è aperta con una raccolta di scritti sul sacerdozio, e anche in quel caso come in questo secondo volumetto, è stato Papa Francesco a scrivere una breve introduzione. Bergoglio mette in evidenza come oggi, a trentanni dalla fine della ideologia marxista, si riproponga nella società “la medesima tentazione del rifiuto di ogni dipendenza dall’amore che non sia l’amore dell’uomo per il proprio ego, per “l’io e le sue voglie”; e, di conseguenza, il pericolo della “colonizzazione” delle coscienze da parte di una ideologia che nega la certezza di fondo per cui l’uomo esiste come maschio e femmina ai quali è assegnato il compito della trasmissione della vita; quell’ideologia che arriva alla produzione pianificata e razionale di esseri umani e che – magari per qualche fine considerato “buono” – arriva a ritenere logico e lecito eliminare quello che non si considera più creato, donato, concepito e generato ma fatto da noi stessi. Questi apparenti “diritti” umani che sono tutti orientati all’autodistruzione dell’uomo – questo ci mostra con forza ed efficacia Joseph Ratzinger – hanno un unico comune denominatore che consiste in un’unica, grande negazione: la negazione della dipendenza dall’amore, la negazione che l’uomo è creatura di Dio, fatto amorevolmente da Lui a Sua immagine e a cui l’uomo anela come la cerva ai corsi d’acqua (Sal 41). Quando si nega questa dipendenza tra creatura e creatore, questa relazione d’amore, si rinuncia in fondo alla vera grandezza dell’uomo, al baluardo della sua libertà e dignità”.
Il primo intervento del libro è un inedito, una lettera del Papa emerito a Marcello Pera, del 2014, una “recensione” al libro di Pera “ Diritti umani e cristianesimo. La Chiesa alla prova della modernità”.
Benedetto XVI, riprendendo Giovanni Paolo II, scrive: “il mandato del Signore di fare suoi discepoli tutti i popoli aveva creato una situazione nuova nel rapporto tra religione e Stato. Non c’era stata sino ad allora una religione con pretesa di universalità. La religione era una parte essenziale dell’identità di ciascuna società. Il mandato di Gesù non significa immediatamente esigere un mutamento nella struttura delle singole società. E tuttavia esige che in tutte le società sia data la possibilità di accogliere il suo messaggio e di vivere in conformità ad esso. Ne consegue in primo luogo una nuova definizione soprattutto della natura della religione: essa non è rito e osservanza che ultimamente garantisce l’identità dello Stato. È invece riconoscimento (fede), e precisamente riconoscimento della verità. Poiché lo spirito dell’uomo è stato creato per la verità, è chiaro che la verità obbliga, ma non nel senso di un’etica del dovere di tipo positivistico, bensì a partire dalla natura della verità stessa che, proprio in questo modo, rende l’uomo libero. Questo collegamento tra religione e verità include un diritto alla libertà che è lecito considerare in profonda continuità con l’autentico nocciolo della dottrina dei diritti umani, come evidentemente ha fatto Giovanni Paolo II”.
Da qui la riflessione proposta nell’evento di venerdì 11 maggio della Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati: “Il rapporto tra religione e Stato da un lato e fede e politica dall’altro gravita attorno a una polarizzazione che nell’età moderna si è fermata alla distinzione tra dogma e storia, nella tradizione del diritto romano tale distinzione non esisteva”. Piuttosto “la scissione tra dogma e Storia assente nella tradizione del diritto romano ha invece assunto i tratti di una vera e propria ideologia in epoca moderna e ha trovato espressione marcata nell’idea di positivismo giuridico che ha marcato fino ai nostri giorni la riflessione dei giuristi”. Invece la riflessione di Benedetto XVI “supera la logica della scissione tra segmentazione dei saperi e delle esperienze dimostrando come dogma e storia non si collochino al di fuori della realtà”.
A presentare il libro anche il Prefetto della Casa Pontificia e segretario personale del Papa emerito l’arcivescovo Georg Gänswein che ha messo in evidenza come l’idea di Europa si stata forte in Joseph Ratzinger fin da giovane. Una passione che lo porta a scegliere il nome di Benedetto che vedeva l’Europa unita proprio dal cristianesimo. Ed è proprio il cristianesimo che mettendo l’uomo al centro rende possibile l’incontro tra uomini: “Nello spazio culturale dell’Europa, - prosegue Gänswein- l’incontro fra credenti e non credenti è possibile non solo nel dubbio, ma allo stesso modo anche nella verità, come testimonia ancora una volta il dialogo fra Ratzinger e Habermas contenuto nel libro. Per questo, però, con tanta più nettezza Papa Benedetto XVI intese anche mettere in rilievo le frontiere di questo spazio culturale unico rispetto a tutte le altre culture, come intrepidamente fece il 12 settembre 2006 nel suo famoso «Discorso di Ratisbona». In questo senso evidenziò come l’affermazione decisiva dell’argomentazione dell’imperatore Manuele II contro la conversione mediante violenza fosse, proprio partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, quella per cui «non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio». E concludeva: «È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori”.
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