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Gino Bartali, "A colpi di pedale" per salvare gli ebrei

A colpi di pedale in cima ai Gran Premi della montagna e poi in picchiata verso il traguardo, per trionfare nelle grandi corse e nelle classiche di mezza Europa. A colpi di pedale, a rischio della propria vita, per salvare centinaia di ebrei dalle persecuzioni nazifasciste, nascondendo documenti falsi nel telaio dell’inseparabile bicicletta.

A colpi di pedale sulle strade di Francia, correndo per l’Italia libera ma in subbuglio dopo l’attentato a Palmiro Togliatti. A colpi di pedale guidato da una grande fede in Dio e con il desiderio nel cuore di fare sempre il bene, senza bisogno di vantarsene. Questo è stato Gino Bartali (dal 2 maggio cittadino onorario di Israele in memoria con una cerimonia solenne allo Yad Vashem) e il suo mito rivive nel libro ‘A colpi di pedale’, scritto da Paolo Renieri, direttore delle riviste di AC ‘Foglie’ e ‘Ragazzi’, con illustrazioni di Valentino Villanova e un’intervista al campione Vincenzo Nibali per le edizioni AVE.

Ed in questo 101^ Giro d’Italia partito venerdì 4 maggio da Gerusalemme non si può non far a meno di andare con la memoria alla canzone dedicatagli da Paolo Conte: “Oh, quanta strada nei miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali, quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita e i francesi ci rispettano che le balle ancora gli girano e tu mi fai ‘dobbiamo andare al cine’ e vai al cine, vacci tu”.

Allora chiediamo all’autore di spiegarci il motivo di un libro per ragazzi su Gino Bartali:

“Perché la vita di Gino Bartali è una miniera di belle storie da raccontare. Non si tratta di un semplice campione di ciclismo, ma di un uomo che ha attraversato e segnato una buona fetta del ‘900 italiano in bicicletta e non solo. E’ uno di quei personaggi davvero imperdibili e che sarebbe un peccato se i ragazzi di oggi non conoscessero almeno un po’”.

Questo anno il Giro d'Italia parte da Gerusalemme per onorare Bartali: quale è stata la sua impresa?


“Rispondo con le parole della motivazione con cui è stato riconosciuto ‘Giusto tra le nazioni’ dallo Yad Vashem, il sacrario della memoria della Shoah di Gerusalemme: “Bartali, un devoto cattolico, durante l’occupazione tedesca in Italia faceva parte di una rete di salvataggio guidata dal rabbino Nathan Cassuto di Firenze insieme all’arcivescovo di Firenze, card. Elia Angelo Dalla Costa.

Questa rete ebraico-cristiana, messa in piedi a seguito dell’occupazione nazista dell’Italia e con l’inizio delle deportazioni, salvò centinaia di ebrei locali e rifugiati dai territori prima sotto controllo italiano, principalmente Francia e Yugoslavia. Bartali, in particolare, agì come corriere per la rete, nascondendo nella sua bicicletta falsi documenti e carte e trasportandoli attraverso le città con il pretesto degli allenamenti. Rischiando consapevolmente la propria vita per salvare gli ebrei, Bartali trasferì documenti falsi a vari contatti, fra cui il rabbino Cassuto”.

Famosa la sua corsa da Firenze ad Assisi per salvare gli ebrei: perchè lo fece?

“Esiste certamente un intreccio di situazioni che hanno portato Gino Bartali a salvare oltre 800 ebrei. Ma credo che prima di tutto lui lo abbia fatto per fede. Come amava dire: ‘Il bene si fa, ma non si dice’, personale modo di intendere l’indicazione evangelica sull’elemosina: ‘non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra’.

Tutto ciò è ancora più evidente se si pensa che ha corso uno dei più grandi rischi mettendo a disposizione addirittura la cantina di casa sua per nascondere e salvare la famiglia Goldenberg. Fu il card. Dalla Costa a fargli la proposta di trasportare i documenti verso Assisi, ma la sua fu una libera scelta da cui non si tirò mai indietro, neanche quando finì sotto interrogatorio a Villa Triste a Firenze”.

La sua storia e la sua fede cosa insegnano ai ragazzi di oggi?

“Credo che mostrino un volto bello e sincero di un cristiano semplice, sincero e saldo. Gino Bartali è stato un grande ciclista e un grande uomo, ma lo è stato perché a tenere insieme la sua vita c’è stata la fede. Non amava per nulla il soprannome che i giornalisti francesi gli avevano dato: ‘Ginò le pieux’ (Gino il Pio), perché secondo lui era una cosa assolutamente normale andare a Messa o pregare o dedicare una vittoria alla Madonna. La sua semplicità nel vivere da cristiano è così bella che spero possa essere un po’ contagiosa”.

Quale era il suo rapporto con l’Azione Cattolica?

“E’ un rapporto antico che nasce il 13 giugno 1926, giorno della sua prima comunione, dopo la quale si iscrisse subito all’Azione Cattolica, e che durò per tutta la sua vita. Simbolo della sua appartenenza all’associazione è la spilla che portò sempre all’occhiello, anche quando sarebbe stato più comodo e conveniente mettere il fascio littorio.

Negli anni dei successi ciclistici ha sempre avuto un occhio di riguardo per gli amici dell’AC. Da un lato li premiava una volta l’anno con una sua bicicletta attraverso un concorso indetto dalla rivista ‘Il Vittorioso’ e dall’altra li incontrava quotidianamente per le strade mentre facevano il tifo per lui.

E non dimentichiamoci che proprio grazie all’Azione Cattolica conobbe personaggi come Alcide De Gasperi che, nelle fasi critiche successive all’attentato a Togliatti il 14 luglio 1948, telefonò a Ginettaccio per affidarsi alle sue pedalate al Tour per stemperare un po’ la tensione sociale”.

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