Roma, 28 January, 2018 / 4:21 PM
La vicinanza di Papa Francesco per il conflitto dimenticato in Ucraina arriva al termine di un discorso centrato su tre figure chiave della storia della Chiesa greco cattolica. Perché il Papa sa che la numerosa comunità ucraina in Italia, e in particolare a Roma, ha il pensiero rivolto al proprio Paese, un cuore palpitante “non solo di affetto, ma anche di angoscia, soprattutto per il flagello della guerra e per le difficoltà economiche”.
Papa Francesco si fa abbracciare dalla comunità ucraina nella Basilica di Santa Sofia. Sono arrivati con moltissimi autobus, ad attendere l’arrivo del Papa che in più occasioni ha detto di pensare con forza all’Ucraina. Non c’è solo, sullo sfondo, una vibrante comunità, la quinta per numeri in Italia, dove viene a fare lavori di ogni tipo. C’è anche la preoccupazione per il conflitto in corso, che il Papa non dimentica.
Al termine del suo discorso, Papa Francesco ci tiene a far sapere che lui comprende i sentimenti degli ucraini in italia. “Sono qui – afferma - per dirvi che vi sono vicino: vicino col cuore, vicino con la preghiera, vicino quando celebro l’Eucaristia”.
E davanti all’Eucarestia – dice il Papa – “supplico il Principe della Pace perché tacciano le armi”, e poi chiede “che non abbiate più bisogno di compiere immani sacrifici per mantenere i vostri cari” e prega “perché nei cuori di ciascuno non si spenga mai la speranza, ma si rinnovi il coraggio di andare avanti, di ricominciare sempre”.
Papa Francesco arriva un po' in anticipo, si ferma sul portone e saluta tutti. "Grazie per la vostra accoglienza, sono venuto a pregare con voi”, dice, prima di chiedere a tutti di raccogliersi in una Ave Maria. Quindi, entra nella Basilica, saluta i bambini che si sono messi con dei fiori ad accompagnarne il passaggio.
Dopo aver percorso il corridoio centrale della chiesa voluta dal Cardinale Slipyi, e modellata sul progetto di quella che doveva essere la cattedrale di Kiev, Papa Francesco ascolta il saluto dell’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk. Poi, pronuncia un discorso, con dei rimandi precisi.
A partire dal ringraziamento per “la fedeltà a Dio e al successore di Pietro, che non poche volte è stata pagata a caro prezzo” – e qui il riferimento è anche a ciò che successe sotto la dominazione sovietica, quando – con lo pseudo Sinodo di Lviv – la Chiesa Greco Cattolica fu assorbita dalla Chiesa ortodossa e fu costretta a vivere in diaspora e clandestinità.
Sono tre le figure su cui Papa Francesco centra il suo discorso.
La prima è il Cardinale Slipyi, di cui si è celebrato nel 2017 il 125esimo della nascita, che ha “voluto ed edificato questa luminosa Basilica, perché splendesse come segno profetico di libertà negli anni in cui a tanti luoghi di culto l’accesso era impedito”.
Quindi il vescovo Chmil, “una persona – dice il Papa – che mi ha fatto tanto bene”. Il Papa lo conobbe in Argentina, quando lui era seminarista e padre Chmil serviva la comunità greco cattolica di Buenos Aires, primo missionario salesiano greco cattolico ad essere mandato laggiù. Ricorda Papa Francesco: “È indelebile in me il ricordo di quando, da giovane, assistevo alla sua Messa: da lui ho appreso la bellezza della vostra liturgia; dai suoi racconti la viva testimonianza di quanto la fede sia stata provata e forgiata in mezzo alle terribili persecuzioni ateiste del secolo scorso”.
Infine, Papa Francesco ricorda il Cardinale Lyubomir Husar, scomparso lo scorso anno. Egli -dice il Papa - “non è stato solo 'padre e capo' della vostra Chiesa, ma guida e fratello maggiore di tanti”.
Sono testimoni del passato che “danno speranza del presente”, sottolinea Papa Francesco.
Papa Francesco chiede alla comunità di fare memoria, si sofferma sulle nonne, che hanno "battezzato", trasmesso la fede, e sottolinea che le donne ucraine hanno "una fede coraggiosa". "Dentro ognuno di voi c'è una mamma, una nonna che ha trasmesso la fede. Le nonne ucraine sono eroi!".
Quindi, il Papa ricorda che la rettoria di Santa Sofia è “riferimento stabile” per la comunità di Roma, mette in luce il programma pastorale della parrocchia, che è intitolato “La parrocchia vivente è il luogo d’incontro con il Cristo vivente. Due parole vorrei sottolineare”.
In particolare, Papa Francesco sottolinea la parola “incontro”, perché l’incontro va oltre la tentazione “di isolarsi e chiudersi” e la comunità è “il luogo dove condividere le gioie e le fatiche, dove portare i pesi del cuore, le insoddisfazioni della vita e la nostalgia di casa”.
Ma sottolinea soprattutto la parola “vivente”, perché “Gesù è il vivente, è risorto e vivo e così lo incontriamo nella Chiesa, nella Liturgia, nella Parola”, e quindi ogni comunità “non può che profumare di vita”, in quanto “la parrocchia non è un museo di ricordi del passato o un simbolo di presenza sul territorio, ma è il cuore della missione della Chiesa, dove si riceve e si condivide la vita nuova, quella vita che vince il peccato, la morte, la tristezza, ogni tristezza, e mantiene giovane il cuore”.
“Se la fede nascerà dall’incontro e parlerà alla vita, il tesoro che avete ricevuto dai vostri padri sarà ben custodito”, commenta il Papa. E aggiunge: "I giovani hanno bisogno di sentire che la Chiesa non è un Museo, non è un sepolcro, che la Chiesa è viva, la Chiesa dà vita e Dio è Gesù Cristo in mezzo alla Chiesa".
Quindi, Papa Francesco guarda alla comunità ucraina, la quinta per presenza etnica in Italia, e ringrazia le tante donne che “sono apostole di carità e di fede”, le quali portano “in molte famiglie italiane l’annuncio di Dio nel migliore dei modi, quando con il vostro servizio vi prendete cura delle persone attraverso una presenza premurosa e non invadente”. Il Papa sottolinea: "Questo è molto importante: la testimonianza nel servizio".
Non si tratta solo di un mestiere – dice il Papa – ma una missione, perché queste donne “sono punti di riferimento nella vita di tanti anziani”, e compiono “un grande ministero di prossimità e di vicinanza”. Questo è il "servizio che fate agli anziani", e "saranno loro ad aprire la porta a voi".
Infine, Papa Francesco conclude con una confidenza. "La notte prima di andare a letto, e al mattino quando mi sveglio, sempre mi incontro con gli ucraini", racconta. Questo perché l'arcivescovo maggiore Shevchuk gli ha regalato una icona della Madonna della Tenerezza quando fu eletto arcivescovo maggiore, dopo che era stato responsabile della comunità di Buenos Aires, e quando fu eletto Papa, si fece portare "le cose più essenziali, tra cui la Madonna della tenerezza", che bacia ogni mattina e ogni sera. "Così - aggiunge - si può dire che inizio la giornata e finisco la giornata in ucraino".
Questo è il saluto di Papa Francesco alla comunità greco cattolica, che vive con un pensiero costante al cconflitto in patria. Tanto che l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, accogliendo il Papa, ha sottolineato come gli ucraini considerano Francesco “un autentico messaggero e costruttore di pace”. Quella pace – aggiunge – tanto “desiderata dal nostro Paese che da quattro anni subisce il flagello costante della aggressione russa che sta provocando in Europa una delle crisi umanitarie più gravi registratesi alla fine della guerra mondiale”.
Si tratta – nota l’arcivescovo maggiore – di “una guerra dimenticata dalla società internazionale, che ogni giorno provoca nuovi lutti, causati dagli scontri armati, dal freddo, dalla fame, da una crudele indifferenza da parte dei potenti di questo mondo”.
Da qui, il grazie al Papa, per l’azione umanitaria “Il Papa per l’Ucraina” che scuote “la coscienza del continente europeo” per renderla sensibile “nei confronti di poveri, sofferenti, stranieri e vittime dell’ingiustizia”.
Ma la visita è soprattutto l’abbraccio ad una comunità inserita nella diocesi di Roma, con un centro pastorale presso la Basilica Minore che dipende dal Vicariato di Roma e che presta servizio a giovani e anziani, ma anche una scuola di catechesi, l’Associazione Santa Sofia, la comunità Madri nella Preghiera. Una comunità che viene per lavorare o per curare figli malati, cui a volte viene anche negato il riposo domenicale.
(La storia continua sotto)
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Anche questa situazione viene presentata dall’arcivescovo maggiore Shevchuk, dando il benvenuto a Papa Francesco in quello che ha definito il “memoriale” della Chiesa Greco Cattolico Ucraina. Un memoriale voluto dal Cardinale Josep Slipy, per 18 anni internato nel campo di concentramento, "per non dimenticare le tante chiese cristiane distrutte nell’Unione Sovietica e i milioni di persone vittime della persecuzione nazista e comunista”.
La cripta dove il Papa scenderà, per pregare davanti alla tomba del vescovo Stepan Chmil fu per tanti anni - ricorda l'arcivescovo maggiore Shevchuk - “il solo luogo a disposizione di tante famiglie per ricordare e pregare i loro cari uccisi”, e tra questi c’è il beato Emilian Kowcz, ucciso nel campo di concentramento di Majdanek, lì dove lui scriveva di vedere “Dio “unico e lo stesso per tutti – ucraini ebrei, polacchi, lettoni e lituani”. Il Cardinale Husar, predecessore dell’arcivescovo maggiore Shevchuk, ha istituito una onorificenza in onore del Beato Kowcz, e i premi sono stati presentati il 27 gennaio – tra i premiati c'era anche l’ambasciatore UE presso la Santa Sede Jan Tombinski.
C'erano tutte queste storie sullo sfondo della visita di Papa Francesco alla Basilica di Santa Sofia. La storia dolorosa passata e presente si è così intrecciata con la speranza che la comunità ucraina ha preso dal Papa, il terzo pontefice a visitare Santa Sofia dopo il Beato Paolo VI e San Giovanni Paolo II.
E questo sfondo è rappresentato dai doni che vengono presentati al Papa: la mappa dell'Ucraina in un mosaico giallo e blu, le bambole tradizionali "Motanka", una icona della Madonna “Oranta” di Kyiv, simbolo della spiritualità ucraina, da parte della Basilica, un “Rushnyk”, un asciugamano ricamato, simbolo della cultura tradizionale ucraina, e un orcio di miele proveniente dall’Ucraina. Da parte dell'Ucraina, consegnato da Tetiana Izhevska, Ambasciatrice ucraina presso la Santa Sede, viene regalato un Vangelo di Peresopnytsia, il primo Vangelo manoscritto tradotto nell’antica lingua ucraina, e infine l’icona del Beato Emiliano Kowcz, donata dai laureati del Premio dedicato al Beato e dal Comitato organizzatore.
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