Città del Vaticano , 12 January, 2018 / 6:00 PM
È sopravvissuto al lager di Dachau, è stato perseguitato sotto il regime sovietico, ed è morto in esilio a Roma, unico cardinale ceco ad essere sepolto nella Basilica di San Pietro. Ma è tempo, per le spoglie del Cardinale Jozef Beran, arcivescovo di Praga, di tornare a casa.
È stato Pavel Vosalik, ambasciatore della Repubblica Ceca presso la Santa Sede, a consegnare la richiesta di traslare le spoglie del cardinale in Repubblica Ceca direttamente nelle mani del Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. Una richiesta dettata dal fatto che il Cardinale Beran voleva essere sepolto nella nativa Plzen, o a Praga, di cui fu arcivescovo. E martedì, il Cardinale Dominik Duka, arcivescovo di Praga, ha annunciato che le spoglie arriveranno in aprile, e saranno sepolte nella Cattedrale di San Vito, nella tomba degli arcivescovi, quasi a “guarire” la ferita inferta a quella Cattedrale con l’interruzione della festa del Corpus Domini del 1949 ad opera della Polizia di Stato comunista.
Si è parlato anche della possibilità di tenere parte dei resti a Roma – dove la sua tomba è tra i luoghi più visitati – e parte a Praga.
Di certo, tutti aspettano il ritorno delle spoglie del Cardinale, uno dei martiri della Chiesa del silenzio, che aveva trascorso tre anni nei lager nazisti e 14 anni segregato dalla persecuzione comunista – anni durante i quali San Giovanni XXIII lo creò cardinale in pectore. La causa di beatificazione del Cardinale Beran è stata aperta nel 1988, perché tutte le testimonianze sulla sua vita parlano della sua profonda spiritualità e umiltà.
Nato a Plzen il 29 dicembre 1888, da una famiglia di profonda tradizione cristiana, fu ordinato sacerdote nel 1911 a Roma, dove era stato mandato a studiare, ed è nominato rettore del seminario arcivescovile di Praga nel 1932. Nel 1933, Adolf Hitler prende il potere in Germania, e il clima a Praga cambia a causa delle rivalità etniche tra cechi e sudeti di lingua tedesca, con un inasprirsi di tensioni che portano al patto di Monaco del 1938, che permette alla Germania di annettere vasti territori della Cecoslovacchia e crea i protettorati di Boemia e Moravia.
Beran diventa oggetto delle attenzioni della Gestapo, che mal sopportano la sua resistenza all’ideologia nazista e la sua grande popolarità. Nel 1942 viene arrestato perché “sovversivo e pericoloso”, dopo che Beran aveva fatto sapere che avrebbe celebrato in lingua ceca una Messa per gli ufficiali cecoslovacchi prigionieri dei tedeschi – una reazione agli arresti di massa succedutisi all’attentato contro Reinhard Heydrich, rappresentante del protettorato del Reich in Boemia e Moravia.
Beran viene prima interrogato, poi incarcerato a Pankrac, quindi condannato ai lavori forzati nella Fortezza di Terzin e da lì, dal 4 settembre 1942, nel campo di concentramento di Dachau, dove erano rinchiusi 2720 ecclesiastici di 134 diocesi e 24 nazioni nei territori occupati. Vi resterà fino al 29 aprile 1945, quando il campo fu liberato dalle truppe americane.
Beran torna in patria, riprende ad insegnare, e viene nominato da Pio XII arcivescovo di Praga nel 1946. Ma i guai, per il neo arcivescovo Beran, non erano finiti. Nel 1948, il comunismo prese il potere in Cecoslovacchia, e la politica fu quella di ridurre le libertà ed eliminare la dissidenza, nonché di eliminare la religione: vengono requisite le proprietà e le scuole dei religiosi, chiusi i giornali cattolici, sciolta l’Azione Cattolica, cancellata la presenza dei sacerdoti negli ospedali e in tutti i settori della vita sociale, annullata la libertà di religione.
A nulla valgono i tentativi di dialogo, e le proteste dell’arcivescovo Beran – contenute, tra l’altro, in una lettera episcopale “Non tacere” pubblicata come editoriale su due quotidiani – non fecero altro che aumentare l’attenzione del regime su di lui. Arrestato nel giugno del 1949 e tenuto prigioniero nel Palazzo arcivescovile, riuscì a scappare, arrivando alla chiesa di Sarakov e spiegando quello che gli stava succedendo, dichiarando “solennemente, davanti a Dio e alla nazione, che mai concluderò un accordo che intacchi i diritti della Chiesa”. La polizia irruppe poco dopo, arrestò Beran e l’abate che lo aveva lasciato parlare e tenne l’arcivescovo di Praga per due anni ai domiciliari, poi lo portò al castello di Bozelov e in altre residenza fuori dalla diocesi di Praga, senza diritti e senza possibilità di contatto con l’esterno, tanto che una lettera che San Giovanni XXIII gli invia per i cinquanta anni di sacerdozio viene rispedita al mittente, mentre un breviario dalla copertina porpora arriva in ritardo, e rappresenta per l'arcivescovo Beran il segnale che il Papa lo ha creato cardinale in pectore.
Il regime di internamento si attenua solo nel 1963, dopo una lunga trattativa tra Santa Sede e Vaticano, e l’arcivescovo Beran ha il permesso di partecipare al Concilio Vaticano II nel 1965, a condizione di non tornare più. È l’esilio.
Paolo VI lo crea cardinale nel concistoro del 22 febbraio 1965, e il Cardinale Beran interviene al Concilio sulla libertà coscienza. Comincia una incessante attività di incontri con i connazionali in Europa e oltreoceano, si rivolge attraverso Radio Vaticana ai fedeli che sono oltre la Cortina di Ferro, promuove la pubblicazione di libri e riviste per i cattolici cechi. Il tutto, sotto il continuo controllo dei comunisti, che inviano Frantisek Kuncik, sacerdote del Pontificio Collegio Boemo che in realtà è una spia. Pochissimi gli interventi pubblici.
Morì il 17 maggio 1969, a causa di un tumore che si era aggravato improvvisamente. Paolo VI, nell’omelie delle esequie, lo descrisse come “un grande martire della fede”. Uno dei tanti martiri della Chiesa del silenzio, che in quegli anni aveva straordinari personaggi come il Cardinale Stephan Wiszinsky, che ha visto avanzare recentemente l’iter per la causa di beatificazione, il Cardinale Josip Slipyi, che sopravvisse a 18 anni di gulag in Siberia, il Cardinale Mindszenty, che subì la prigionia in Ungheria, e il Cardinale Aloizje Stepinac, oggetto oggi di una disputa con la Chiesa ortodossa in vista della sua canonizzazione.
C’è tutta questa storia dietro il desiderio di riportare il Cardinale Beran a casa. E chissà che questo ritorno non sia di buon auspicio per il ritorno della fede nella nazione, dove il 70 per cento delle persone si proclama ateo e la vita della Chiesa è ormai marginalizzata.
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