Dhaka , 02 December, 2017 / 6:40 AM
Sollecitudine, compassione e gioia sono le tre parole, le tre linee guida che Papa Francesco fornisce a sacerdoti e religiosi del Bangladesh. Tre parole che scaturiscono direttamente da una meditazione sul Rosario, cui la chiesa in cui avviene il penultimo incontro del viaggio nel Papa nel Paese è dedicata.
Alla Holy Rosary Church, Papa Francesco arriva dopo aver fatto visita alla “Casa Madre Teresa” a Tejgaon, la più piccola delle case gestite dalle Missionarie della Carità a Dhaka. Lì alloggiava Madre Teresa, proclamata santa da Papa Francesco al culmine dell’Anno della Misericordia. La Chiesa è parte del complesso della Casa, che offre cure a migliaia di orfani e persone affette da disabilità mentali e fisiche. È solo una delle opere di misericordia delle Missionarie della Carità a Dhaka. Il Papa ha passato del tempo nella struttura, incontrando gli ospiti, salutando quante più persone possibile, invitando alcuni bambini a "pregare una Ave Maria ogni sera". Lascia in dono un ritratto di Madre Teresa
Sebbene ci si trovi ancora formalmente nella città di Dhaka, il quartiere Tejgaon è parte di un’altra arcidiocesi, quella di Chittagong, suffraganea di quella della capitale eppure grandissima con i suoi 19 milioni di abitanti, di cui quasi 30 mila cattolici. E la Chiesa del Santo Rosario è la Cattedrale dell’arcidiocesi, fondata dai missionari agostiniani portoghesi proprio nel quartiere che è diventato un luogo in cui si incrocia storia ed economia, cultura e politica, industria e religione.
La visita del Papa è ovviamente un momento importante per la comunità locale. L’arcivescovo Moses Costa, accogliendo il Papa, ricorda che i cattolici non “raggiungono l’1 per cento della popolazione”, eppure “godono di grande rispetto”, anche perché la loro missione è “al servizio di tutti”, senza alcuna “discriminazione di casta”. La situazione delle vocazioni “fa ben sperare”, perché fioriscono nonostante l’esiguo numero di cattolici, ma le difficoltà di ogni giorno riguardano distanze e limitazioni imposte all’attività missionaria.
Dopo di lui, delle testimonianze, e una preghiera a Maria. E infine il Papa.
Che decide, come fa sempre con i vescovi, di parlare a braccio, partendo da una immagine della lettura del Profeta Isaia del prossimo martedì, che parla di una piccola pianta.
“La pianta – dice il Papa – viene dal seme, e quello non è tuo né mio. È di Dio. È Dio che dà la crescita. Ognuno di noi è una pianta, ma non per merito nostro, ma per la semente che ci ha formato, e allora la devo conservare, perché cresca e in quel grande fede, e devo dare testimonianza”.
Il Papa sottolinea che come ci si deve prendere cura dei semi, ci si deve prendere cura della vocazione che abbiamo ricevuto, allo stesso modo in cui stiamo “attenti ad un bambino, ad un infermo, ad un anziano.
La vocazione – continua Papa Francesco – si cura con tenerezza umana, perché “le nostre comunità, se il nostro presbiterio manca di questa dimensione di tenerezza umana, la pianta piccola non cresce” e rischia persino “di seccarsi”.
Vero, dice il Papa, che il nemico “arriva di notte” e semina con “altri semi”, e questo significa che c’è la zizzania, che fa molto danno alle comunità.
Per questo la pianta dei buoni semi va curata, si deve guardare “come cresce” e distinguerla dai cattivi semi”.
Curare, dunque, è “discernere”, e si discerne quando “si ha un cuore orante”, perché prendersi cura è “pregare, e chiedere a chi ha seminato che mi insegni a irrigare la piccola pianta”. “Se io sono in crisi – dice il Papa - devo chiedere che Dio se ne prende cura per me. Curare è chiedere al Signore di curare, di dare la tenerezza che dobbiamo dare”.
Che poi sintetizza “Curare con attenzione, preghiera, discernimento e tenerezza. Con la tenerezza di un padre”.
Quindi, il Papa mette in guardia dallo “spirito delle chiacchiere”, avvisando di sapere di essere ripetitivo, ma che “per lui il tema è fondamentale. “La comunità della vita consacrata – afferma - la comunità del seminario, la comunità del presbiterio e della conferenza episcopale deve sapersi difendere da ogni tipo di divisione”.
E sottolinea che, come il Bangladesh è stato definito dal cardinale Tauran come uno dei migliori esempi di dialogo interreligioso, così deve esserlo per il dialogo all’interno del presbiterio. Questo nemico è lo spirito delle chiacchiere, e chi lo opera è un “terrorista”, perché non ne parla apertamente, “tira la bomba e va via”.
Il Papa chiede di “mordersi la lingua” ogni volta che si parla male di qualcuno, e consiglia di criticare prima la persona “faccia a faccia”, e poi, se questo non è possibile. di parlare con qualcuno che possa porre rimedio alla situazione, “in privato, con carità”.
Infine, Papa Francesco invita ad essere “gioiosi”, di avere “gioia anche nei momenti difficili”, di avere allegria che “se non può tradursi in risata, deve almeno essere serenità”, di rimanere “contenti anche quando si deve sopportare un superiore”.
Il Papa ricorda poi la tenerezza che vive quando incontra “sacerdoti, vescovi, monache anziane” che hanno vissuto la loro vita in servizio, perché hanno “occhi indescrivibili, pieni di gioia e di pace”. Sono questi gli occhi di chi ha “la pienezza dei sette doni dello Spirito Santo”.
Infine, Papa Francesco dà i “compiti a casa”. “Ricordatevi di tutto questo martedì, quando ascoltate la lettura della messa e chiedetevi: curo la pianta? La irrigo? Irrigo le piante degli altri? Ho paura di essere terrorista? Parlo male degli altri? So vivere con gioia?”
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