Carpi, 19 November, 2017 / 10:00 AM
Siamo ormai al termine dell’Anno Liturgico e la Chiesa in queste domeniche ci invita con insistenza a riflettere sulle realtà ultime della vita. La nostra esistenza terrena costituisce il tempo che ci è dato per amministrare i beni del Signore e meritare di entrare in cielo. La parabola che Gesù racconta questa domenica ci parla di un uomo che parte per un viaggio e consegna i propri beni ai suoi servi. Ad ognuno dà una parte diversa di beni. Il motivo è dato dal fatto che il padrone conosce i suoi servi e, pertanto, distribuisce i suoi averi valutando le capacità di ciascuno. Sarebbe ingiusto, infatti, caricare tutti della medesima responsabilità.
Il padrone della parabola è Cristo il quale, pur presente, non è più visibile e ha affidato alla Chiesa, da Lui fondata, i suoi beni (i talenti): il Vangelo, il suo Corpo e il suo Sangue, il suo Spirito, ma anche la nostra capacità di amare, l’intelligenza, il creato…e ci chiede di renderli produttivi attraverso l’impegno della vita. In questo modo Gesù ci insegna a comprendere che la vigilanza è vera quando passa dalle parole ai fatti, i quali si palesano nell’amore.
Il Padrone tarda a venire. Questo ritardo può portare a ritenere che egli, in realtà, non si interessi molto di quanto ha lasciato ai suoi servi. Quante volte anche noi siamo tentati di pensare che Cristo abbia abbandonato la nostra vita e la Chiesa! Ma la verità è un'altra! Nel tempo dell’apparente assenza di Cristo vanno trafficati i doni che Egli ci ha donato: il vangelo, quindi, deve essere annunciato, l’Eucarestia deve nutrirci e trasformarci, lo Spirito Santo deve divenire principio di vita nuova.
Il padrone, anche se dopo molto tempo, torna e ogni servo è chiamato a rispondere del proprio operato. Ci soffermiamo sul dialogo tra il padrone ed il terzo servo. Il padrone, naturalmente è Dio che viene considerato come duro e severo. In questa visione di Dio non c’è posto per l’amore, ma solo per il timore e la paura. E noi sappiamo bene che dove albergano questi sentimenti emergono anche l’immobilismo, la staticità, la mancanza di iniziativa, che porta il servo a conservare e a nascondere il talento ricevuto. Lo scopo della parabola è quella di farci comprendere chi è Dio e chi è l’uomo e che l’unica relazione che può esistere tra Dio e l’uomo è l’amore. Quando si ama si acquista coraggio, generosità, libertà.
Il servo non ha servito il suo padrone per mancanza di amore.
La vita è breve, è come un “fumo”, “un’ombra”, “un fiore d’erba”…e proprio per questo è un grande peccato perdere tempo o spenderla male. Per queste ragioni la Parola di Dio non si stanca di ricordarci che essa trova la sua pienezza nell’amore per Dio e i fratelli. Vigilare, allora, significa assumere il rischio della propria responsabilità. Dio non si accontenta di quanto ci ha dato, ma vuole molto di più.
Oggi possiamo chiederci se abbiamo davvero una mentalità di amministratori e non di padroni assoluti, che possono disporre a loro piacimento di ciò che è nelle loro mani. Chiediamoci anche se tutto quello che facciamo lo facciamo con il desiderio di rendere gloria a Dio.
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