Buenos Aires, 11 November, 2017 / 4:00 PM
Il viaggio in Argentina dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, "ministro degli Esteri vaticano", mostra che tra Argentina e Santa Sede i rapporti sono ottimi, oltre le speculazioni su un viaggio di Papa Francesco nel suo Paese natale che ancora non è arrivato. Nel frattempo, la Santa Sede dà anche un segnale di sollecitudine verso il Venezuela, una crisi che segue sempre con interesse. Il tema dei migranti è stato invece al centro della presenza della Santa Sede al Consiglio d’Europa.
I buoni rapporti con l’Argentina
Ancora Papa Francesco non ha programmato un viaggio nel suo Paese di origine, sebbene tornerà in Sudamerica il prossimo gennaio, per visitare Cile e Perù. I rapporti bilaterali, però, sono buoni, forti anche dei 140 anni di relazioni diplomatiche, e lo dimostra la recente visita ufficiale nel Paese dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher.
L’arcivescovo Gallagher è stato in Argentina dal 4 al 7 novembre, su invito delle autorità locali, ed è stato accolto dall’arcivescovo Paul Emil Tscherrig, che con questa visita conclude gli impegni ufficiali come nunzio in Argentina e si accinge così a prendere l’incarico di primo nunzio non italiano in Italia.
Durante i tre giorni di visita, il “ministro degli Esteri” vaticano si è incontrato con il presidente argentino Mauricio Macrì, la cui visita in Vaticano segnò l’inizio di un nuovo protocollo per capi di Stato esteri, e con lui ha dialogato della situazione sociale argentina, la lotta contro la povertà, la corruzione e il narcotraffico, temi che si è detto stanno a cuore sia alla presidenza argentina che alla Santa Sede.
Tra gli altri incontri in agenda, quello con il ministro degli Esteri e Culto Jorge Faurié.
Tra le attività bilaterali tra Santa Sede e Argentina, anche un protocollo di intesa per la trasparenza finanziaria tra l’Autorità di Informazione Finanziaria vaticana e la Unidad de Informacion Financera argentina, firmato nel giugno 2014: fu il primo documento di questo tipo ad essere firmato dentro le Mura della Città Leonina.
Focus sul Venezuela
L’attenzione di Papa Francesco per la questione venezuelana è costante, e così come quella della Santa Sede. Già lo scorso 17 ottobre, il responsabile esteri messicano era stato in Vaticano a parlare delle preoccupazioni sulla questione venezuelana. Il Papa ha nominato un inviato speciale, e la Santa Sede più volte ha cercato di favorire la mediazione tra maggioranza e opposizione, mentre i vescovi venezuelani non hanno mai mancato di informare il Papa sulla drammatica crisi umanitaria nel Paese.
Un segnale diplomatico importante è avvenuto durante l’incontro di “Donne giudici e pubblici ministeri sul traffico di esseri umani e il crimine organizzato”, che si è tenuto il 9 e 10 dicembre presso la Pontificia Accademia delle Scienze.
Tra i partecipanti del convegno “rosa” promosso dall’Accademia cui Papa Francesco ha dato mandato di occuparsi di traffico di esseri umani c’era Luisa Ortega Diaz, procuratore venezuelano destituito lo scorso 5 agosto dal governo Maduro per le sue accuse sull’uso di fondi neri del governo e di partecipazioni varie dello stesso Maduro in società in tutto il mondo. Il procuratore è esiliata in Colombia, dove è arrivata al termine di una rocambolesca fuga via mare, e ha detto di voler consegnare il materiale probatorio a tutti i Paesi coinvolti.
Il fatto che, sebbene destituita di autorità, sia stata inclusa tra le donne procuratori del convegno può essere considerato un segnale di legittimazione della posizione di Diaz. Nel suo intervento a Casina Pio IV, Diaz ha sottolineato che “il Venezuela è nella lista dei peggiori Paesi in tema di tratta delle persone”, che “la caratteristica politica economica e sociale è quella di una popolazione obbligata a migrare”, perché il governo “in maniera intenzionale garantisce la condizione minima personale in tema di salute”, secondo “un sistema di giustizia che serve a garantire la perpetuità del governo”. Non si tratta, insomma “di una migrazione normale”, ma di persone che “vivono una crisi umanitaria che non si è mai vista nella storia del Paese”.
La posizione della Santa Sede sul tema delle migrazioni
Dal 6 al 7 novembre si è tenuta a Strasburgo l’edizione 2017 degli “Incontri sulla Dimensione Religiosa del Dialogo interculturale”. Si tratta di un incontro particolarmente importante per la presenza della Santa Sede nelle istituzioni europee, tanto che Papa Francesco lo ha citato nel 2016 nel discorso di inizio anno agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede.
Quest’anno, l’incontro ha trattato del ruolo delle comunità religiose nell’accoglienza e integrazione dei migranti, come anche della definizione delle politiche migratorie. La Santa Sede è stata rappresentata da padre Fabio Baggio, sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano integrale. Tra gli esponenti cattolici, ci sono stati: Valerie Regnier, presidente della Comunità di Sant’Egidio in Francia, che ha esposto la qeustione dei corridoi umanitari; padre José Ignacio Garcia, direttore del Jesuit Refugee Service – Europa; il direttore di Caritas Italiana Paolo Beccegato e il signor Jorge Nuno Mayer, direttore di Carita Europa; Magdalena Böhm ed Eleonora Frasca della Commission Internationale Catholicque des Migrations, e José Luis Bazen, incaricato per le migrazioni COMECE.
Nel suo intervento, padre Baggio ha sottolineato tre punti chiave: l’integrazione di migranti e rifugiati; la formulazione di politiche migratorie e di asilo più umane; e alcune preoccupazioni di ordine generale.
Padre Baggio ha mostrato l’apprezzamento della Santa Sede per l’iniziativa delle Nazioni Unite di adottare due Global Compacts (accordi globali) sulle migrazioni: uno sulla migrazione sicura, ordinata e regolare, e l’altro sui rifugiati. La Santa Sede ha partecipato attivamente al dibattito sul global compact, presentando anche un documento con 16 linee guida per le migrazioni al termine di un incontro in Vaticano sul tema. Sono questi i punti rilanciati da padre Baggio.
Tra le idee sul tavolo, quella di un forum permanente di organizzazioni religiose che si occupano di immigrazione. Paolo Beccegato di Caritas Internazionale ha proposto di fondare “su studi e ricerche indipendenti” le eventuali risposte politiche, in modo da rispondere in maniera scientifica al “populismo” che fa sì che le associazioni religiose che lavorano per i migranti “non siano più percepite come persone di solidarietà”.
Dal canto suo, il direttore del Jesuit Refugee Service ha posto l’accento sulla questione religiosa. “Non riconoscere la dimensione religiosa di rifugiati e migranti – ha detto – porta ad offrire una risposta limitata alle loro aspettative. Forzarli ad una pratica forzata, quasi clandestina, della fede, può portare a una crescente frustrazione, a un non chiaro senso di vergogna o anche a sviluppare quel risentimento che aumenta la distanza tra migranti e rifugiati e la popolazione locale”.
Cosa fanno le religioni per raffozare la pace mondiale?
“Il ruolo delle religioni nel rafforzamento della pace mondiale” è il tema di un Colloquio Internazionale che si è tenuto presso l’ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra lo scorso 7 novembre.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra, ha sottolineato le nuove sfide dei conflitti, come quello di nuove armi, a partire dai “droni che ignorano sia la presenza umana che la responsabilità etica”. Il concetto di guerra – ha sottolineato – è “cambiato così tanto che oggi la maggior parte dei conflitti che si sviluppano in uno Stato causa il 90 per cento di morti civili”.
L’Osservatore della Santa Sede punta sull’azione della società civile, perché “il mantenimento della pace si basa sull’impegno responsabile di ciascuna persona a promuovere l’intenzione di pace tra i popoli, e ad assumere uno sviluppo durevole, armonioso ed equilibrato”.
L’arcivescovo ha notato che sono stati molti gli appelli per la pace e per la fine dei conflitti mossi dai governi, e che così “il diritto alla pace dei popoli è stato oggetto di risoluzione e di proclamazioni solenni alle Nazioni Unite”. Resta “necessario – dice il nunzio - agire per un disarmo nucleare”, tra l'altro in discussione in questi giorni in Vaticano. L’idea è quella di continuare a costruire relazioni “fraterne”, perché - ha detto l'arcivescovo, citando Papa Francesco - solo con un autentico spirito di fraternità che possiamo vincere i nostril egoismi individuali.
(La storia continua sotto)
Le Migliori Notizie Cattoliche - direttamente nella vostra casella di posta elettronica
Iscrivetevi alla newsletter gratuita di ACI Stampa.
La questione israelo palestinese
Lo scorso 6 novembre, al Palazzo di Vetro di New York, si è discusso del lavoro dello United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA), l’agenzia ONU che si occupa dei rifugiati nel vicino oriente.
Un lavoro, quello dell’UNRWA, che l’arcivescovo Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede, definisce come “sempre più importante” a causa “dei conflitti armati che hanno luogo in Medio Oriente” e il maggiore bisogno di assistenza umanitaria “per un crescent numero di rifugiati palestinesi”. L’Osservatore si è anche focalizzato sulla situazione in Siria, descritta come “doppiamente allarmante” perché ci sono oltre 500 mila palestinesi registrati in città distrutte dalla guerra. Il nunzio ha ribadito la posizione della Santa Sede, che prevede una coesistenza pacifica di uno Stato israeliano e uno Palestinese nella regione, mostrando preoccupazione per i “recenti tentative di allontanarsi dalla soluzione dei due Stati”.
La nostra missione è la verità. Unisciti a noi!
La vostra donazione mensile aiuterà il nostro team a continuare a riportare la verità, con correttezza, integrità e fedeltà a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.
Donazione a CNA