Città del Vaticano , 13 October, 2017 / 9:00 AM
La sua vera passione era l’ obbedienza, per questo ha scelto di essere gesuita, per questo è diventato missionario e vescovo di Lusaka.
Il cardinal Adam Kozłowiecki, polacco di nascita, africano per scelta ha speso 61 anni della sua vita in Rodesia del Nord, diventata Zambia. Dieci anni fa la sua vita terrena si è chiusa a Lusaka, la sua terra di adozione, e oggi la Pontificia Università Urbaniana, dove si formano i missionari, gli dedica una mostra.
Nobile di origine, prigioniero ad Auschwitz e a Dachau, primo vescovo metropolita di Lusaka nel 1959, Kozłowiecki è uno degli esempi più grandi di cosa significhi davvero la missione.
Nato nel 1911 attraversò la storia dell’ Europa con gli occhi dell’ Africa. Al Concilio Vaticano II cui partecipò come vescovo lavorando proprio ai temi missionari. In quella occasione conobbe Karol Wojtyła, l’ arcivescovo di quella Cracovia che aveva lasciato dopo lo sconvolgimento della guerra per andare in missione.
Il superiore aveva chiesto aiuto per le missioni dei gesuiti in Rodesia e ad Adam sembrava necessario che i sacerdoti scampati ai campi di concentramento fossero i primi ad andare. Il suo numero di prigioniero non lo dimenticò: 1006.
La mostra allestita alla Urbaniana racconta per immagini la sua vita, alcuni oggetti sono significativi, come il suo rosario, la sua valigia, il suo pastorale.
Ogni tappa della sua vita è raccontata con la semplicità che contraddistinse la sua vita.
La vita di Adam Kozłowiecki, divenuto cardinale nel 1998, è stata totalmente presa dall’ impegno sociale per lo sviluppo della nuova nazione post coloniale, lo Zambia.
Un impegno difficilissimo, non solo per la povertà materiale e morale, ma anche per la resistenza razzista dei bianchi ancora in Africa.
Nella mostra si parla di questa parte della vita del cardinale anche tramite alcune parti delle sue lettere. La sua fu anche una “missione epistolare” un “apostolato della corrispondenza” sviluppato soprattutto dopo la rinuncia alla guida della diocesi di Lusaka nel 1969.
La sua opera fu tutta a favore della formazione di un clero africano. Costruì scuole, ospedali, missioni.
I suoi rapporti sul mondo africano erano tanto dettagliati e precisi che Propaganda Fide chiese al vescovo di scriverne anche dopo che Lusaka era divenuta una diocesi e non più una terra di missione. Archivi immensi ancora da studiare perché sotto segreto pontificio.
Il suo rapporto con Roma è costante. In Polonia non torna, ma a Roma lavora anche per il messale africano. Dopo essere stato creato cardinale ritorna nella sua missione, dove accoglie gli ospiti aprendo per primo la porta e il cuore. In Polonia è il simbolo stesso della missione e il suo diario della prigionia “Oppressione e angoscia, diario di un prigioniero” diventa uno dei libri su cui si formano le giovani generazioni.
Nel 2008 è stata creata una fondazione in sua memoria, “Cuore senza frontiere” che si è occupata anche di creare un museo della vita del cardinale.
Le parole che ben racchiudono la storia di questo grande pastore sono quelle rivolte a Giovanni Paolo II quando fu creato cardinale: “Ti confesso, Santo Padre, che sono rimasto completamente sbalordito da questa notizia, mi riusciva difficile comprendere e riordinare i pensieri che ovviamente a 87 anni erano impegnati in ben altri problemi. Con il bacio della mano e dei piedi di Sua Santità e con profonda gratitudine accetto questo segno di fiducia, soprattutto in quanto segno di riconoscimento per ogni semplice missionario che per volontà di Dio svolge il servizio alla Chiesa e ai poveri, ai fratelli e alle sorelle che non conoscono il Padre. Mi hanno insegnato che cosa vuol dire essere religioso-gesuita, mi hanno insegnato in seguito che cosa vuol dire essere sacerdote, ed ora devo ancora imparare che cosa vuol dire essere Cardinale, perché questo non me l’hanno insegnato”.
La mostra sarà allestita fino al 4 novembre prossimo ed è stata realizzata in collaborazione con la ambasciata polacca presso la Santa Sede.
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