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Cardinale Bagnasco: “La vera Costituzione d’Europa è il Vangelo”

Il Cardinale Bagnasco durante una delle sessioni del CCEE

Una plenaria caratterizzata da un tema centrale: la necessità di “dire Gesù”, di far ripartire il continente dall’annuncio del Vangelo. Il Cardinale Bagnasco, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, ha dato così il tono di una tre giorni che ha toccato il tema dei giovani, ma anche delle istituzioni europee. Con una domanda per il futuro: quale è il ruolo della Chiesa in Europa? Il Cardinale Bagnasco lo delinea con una convinzione di fondo: che del Vangelo non si può fare a meno.

Eminenza, avete parlato in queste sessioni delle istituzioni europee. Come voi vescovi vedete il futuro dell’Europa?

Noi abbiamo parlato delle istituzioni europee, ma il nostro punto di vista è quello del continente europee, più che dell’Unione. E noi vescovi, come pastori del continente, siamo chiamati ad offrire messaggi di tipo pastorale culturale all’Europa, perché questa ritrovi se stessa e faccia un serio esame di coscienza sui propri fondamentali, su che cosa fonda l’Unione Europea.

E che missione ha l’Unione Europea?

C’è un qualcosa che viene ancora prima dell’Unione Europea, ed è appunto la missione del continente. Noi non riteniamo esaurita questa missione. E non perché consideriamo l’Europa una priorità rispetto al resto del mondo – si è ampiamente superata questa visione – ma perché ogni continente ha qualcosa di specifico, di bello da poter dire agli altri, e l’Europa non è da meno.

Questo specifico di cui parla è il “dire Gesù” che ha rimarcato nella prolusione?

Sì. Perché questa è l’origine della nostra storia. Il cristianesimo è il grande alveo in cui hanno trovato il loro posto e la loro valorizzazione contributi di altre culture, che nel Vangelo hanno trovato una sintesi. Ed è una visione universale. C’è, in Europa, una visione alta della dignità umana e della persona che attinge il suo fondamento non nelle carte costituzionali, ma nella carta costituzionale che è il Vangelo. E questo lo riconoscono anche studiosi filosofi storici assolutamente non cattolici e non cristiani come Karl Löwith.

Viviamo in una Europa profondamente secolarizzata. Quale è stato il problema? Perché non si è detto Gesù?

Nell’analisi, non possiamo prescindere dal cambiamento culturale che dal Sessantotto in poi si è realizzato nel mondo. Un cambiamento che portava tutto ad essere ridefinito e messo in discussione. Così, anche il Vangelo è stato messo in discussione in questo processo di secolarizzazione portato avanti a prescindere da Dio. Come conseguenza, il nome di Gesù è diventato sempre più sospettato, come se fosse il concorrente della libertà, della felicità, della vita della persona. Come se fosse un attentatore della sana laicità degli Stati. Si tratta di una lettura pregiudiziale, che però ha trovato forza in questi ultimi decenni.

Dunque, il Vangelo come vera Costituzione di Europa…

Guardiamo ai grandi padri fondatori dell’Europa, Schumann, Adenauer e De Gasperi. Questi non volevano una Europa confessionale, erano troppo intelligenti e troppo cristiani per volerlo. Ma riconoscevano nel Decalogo e nel Discorso delle Beatitudini il distillato del meglio dell’esperienza umana.

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