Roma, 08 September, 2017 / 10:00 AM
Man mano che le emozioni si placano nella preghiera, il primo momento di smarrimento per l’irreparabile perdita di un Maestro e di un Padre si trasforma nella coscienza grata di un dono ricevuto, così prezioso e unico, che, essendo radicato in Dio, neppure la morte può togliere. Chi ci è stato Padre nella verità, resta padre per sempre.
E, in effetti, come ogni autentico Maestro, il card. Carlo Caffarra, non legava a sé o a proprie idee, ma aiutava a guardare insieme ad una Verità più grande, da amare, ricercare e onorare senza calcoli umani e riserve. Una Verità che per lui era una Persona. Chi ha avuto il dono di essergli discepolo non può dimenticare l’esperienza affascinante di chiarezza, cui introducevano le sue lezioni, mentre offrivano una visione nuova della teologia morale.
Superando gli schematismi dell’impostazione casuistica, che contrappone la norma alla coscienza e resta invischiata nel dibattitto sterile tra rigorismo e lassismo, egli ci ha indicato che l’origine della dinamica morale consiste nell’incontro con Cristo e ci ha mostrato come la verità sul bene apre un cammino di pienezza di vita, in armonia col disegno che Dio Creatore ha scritto nel cuore di ogni uomo. La chiarezza cristallina dell’insegnamento non era quindi in nessun modo rigidità ignara della complessità della vita concreta, ma piuttosto luce che mobilita per un cammino di conversione e di crescita verso il compimento della propria umanità, nella fiducia che la Grazia di Dio sempre rende possibile ciò che comanda. Radicando nel dono dell’Alleanza tra Cristo e la Chiesa la sua comprensione del sacramento del matrimonio, egli ne ha delineato i tratti di una dimora di edificazione umana ed ecclesiale e di una vera e propria via alla santità.
Come la sapienza orientale riconosce, i veri maestri sono i “genitori del cuore”, e quindi anche i padri del nostro spirito. Essi continuano a vivere e ad operare in noi, chiedendo ascolto ed ospitalità alla nostra libertà e fruttificando nelle nostre opere.
Sacerdote appassionato di Cristo e della Chiesa, il card. Carlo Caffarra ha esercitato una paternità nutrita di semplice e concreta sollecitudine per le persone, con una spiccata capacità di creare attorno a sé comunione di vita e spirito di fraternità, entusiasmando al lavoro comune. La grande stima e amicizia, di cui lo aveva privilegiato san Giovanni Paolo II, si concretizzò in maniera unica nell’opera di costruzione del Pontificio Istituto per Studi su Matrimonio e Famiglia, per il quale egli donò le sue energie, il suo amore, la sua creatività. Egli poi la sviluppò secondo nuove dimensioni e traiettorie come Arcivescovo di Ferrara e poi di Bologna, senza mai dimenticare la centralità del matrimonio e della famiglia nella nuova evangelizzazione.
L’amore senza riserve a Cristo, alla Chiesa e al Papa ha sempre avuto per lui la forma di una testimonianza limpida e franca per la Verità, priva di compromessi e infingimenti, per vantaggi personali o per amore del comodo. Per questo, fino all’ultimo ha saputo spendersi ed esporsi, affrontando incomprensioni, ostilità e perfino umiliazioni e derisioni, convinto che la forma più vera di amore e il miglior servizio che avrebbe potuto dare alla Chiesa e al Papa era la fedeltà alla propria coscienza e alla voce di Dio, che in essa risuona.
E’ morto nell’anno centenario dei messaggi di Fatima e la misteriosa lettera scrittagli da suor Lucia in riferimento alla sua missione fondativa dell’Istituto gli permetteva di comprendere il momento presente come parte dello scontro definitivo di Cristo col Nemico, che sarebbe avvenuto proprio sul terreno del matrimonio e della famiglia cristiana, secondo le parole della veggente. Egli ha offerto la sua vita per questo, con generosa e limpida testimonianza. Che il Signore renda fruttuoso per noi questo sacrificio, in un momento così drammatico della vita della Chiesa e del mondo!
Per lui dunque sono particolarmente appropriate le parole dell’Apostolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice mi consegnerà in quel giorno, e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione» (II Tim 4, 8).
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