Roma, 27 July, 2017 / 11:00 AM
Tra le novità della facciata restaurata della chiesa di Santa Caterina della Rota a Roma c’è il nuovo stemma dell’arcivescovo Georg Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia.
La chiesa, affidata all’arciconfraternita di Sant’Anna dei Parafrenieri dopo la chiesa di Sant’Anna in Vaticano divenne parrocchia, reca sulla facciata al centro lo stemma del Papa regnante, sulla sinistra lo stemma dell’arciconfraternita stessa e a destra lo stemma del Prefetto della Casa Pontificia, perché il Prefetto è il primicerio dell’antico sodalizio vaticano.
La facciata è stata inaugurata ieri, giorno della festa di Sant'Anna, protettrice dell'arciconfraternita.
Perché l'arcivescovo Gaenswein ha un nuovo stemma? Al prefetto della Casa Pontificia è dato anche il privilegio di “inquartare” nel suo scudo lo stemma del Papa regnante.
Quando l’arcivescovo Gaenswein fu nominato Prefetto, aveva inquartato lo stemma di Benedetto XVI, un segno del suo legame con il Papa di cui era segretario particolare.
Con il nuovo pontificato, ecco che lo stemma del prefetto va ad inquartare quello di Papa Francesco, a fianco di quello del Prefetto, un drago in campo azzurro con la stella di Betlemme. Il campo azzurro con la stella di Betlemme è un chiaro riferimento mariano. Il drago è usato in araldica per rappresentare la fedeltà, la vigilanza e il valore militare, ma anche a ricordare il drago contro cui combatté San Giorgio. Il drago sputa fuoco verso la “casa “ del Papa, ma viene trafitto da una lancia che proviene dalla stella di Betlemme. Il motto è “Testimonium perhibere veritati”, “Rendere testimonianza alla verità”.
È stato così con questo stemma rinnovato che si è presentata la nuova facciata della chiesa, nella tradizionale festa di Sant’Anna durante la quale l'arciconfraternita accoglie i novizi.
A fare da cornice alla cerimonia di benedizione della nuova facciata, e poi a completare la festa, la Banda della Città del Vaticano, erede diretta della Banda della Guardia Palatina.
La Banda della Città del Vaticano
Quando fu costituita, nel 1850, la Guardia non ebbe subito una banda musicale, ma disponeva solo di due compagnie di tamburi. Fu solo nel 1859 che alla Palatina venne concesso il privilegio della banda musicale, oltre al titolo “d’onore”, come si può leggere nell’ordine del giorno del 12 settembre 1859, firmato dal Comandante Marchese Giuseppe Guglielmi.
Poi, dal 1870 alla fine della Prima Guerra Mondiale, la Guardia non ebbe più banda. Il primo concerto della nuova banda ebbe luogo il 3 aprile 1921, e da lì in poi la banda è stata presente in ogni evento importante della vita dello Stato di Città del Vaticano. Una storia gloriosa, con picchi di eccellenza riconosciuti anche dal presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy.
In visita ufficiale da Paolo VI il 2 luglio 1963, Kennedy fece avere le sue particolari congratulazioni alla banda della Guardia Palatina. Si legge nel periodico Vita Palatina del luglio 1963 che “mentre la Banda del Corpo Palatino suonava l’inno nazionale degli Stati Uniti, visibile è stato il compiacimento del Presidente per la musica che ascoltava. Mentre il Presidente era in visita al S. Padre, il Rev. Padre Peter Jacobs, cappellano dei Marines americani, si presentava al Direttore della Banda Maestro Antonino De Luca, e con tono molto cordiale gli segnalava il compiacimento e l’aperto elogio del Presidente per l’esecuzione dell’inno Star spangled banner, che, a giudizio del Presidente, era stata la migliore fra quelle di tutte le Bande ascoltate in Europa. E qui Padre Jacobs riportava una frase testuale del Presidente: Hanno suonato, questi della Banda del Papa, come sanno suonare soltanto i nostri Marines. Al suo passaggio dopo l’udienza, il Presidente Kennedy sorrideva e rivolgeva alla banda Palatina un saluto particolare”.
Quando Paolo VI sciolse la Guardia Palatina d’Onore, la banda musicale proseguì le sue attività con il suo organico al completo, cambiando nome in Banda Musicale di Città del Vaticano. Ma anche le divise non rappresentano una rottura con la tradizione. Semmai, ne sono una evoluzione, una sorta di vecchia divisa della Guardia Palatina semplificata, senza pennacchio.
Una tradizione che continua
Perché, in fondo, dire che Paolo VI abbia abolito la corte pontificia è un errore. E basterebbe leggere la lettera apostolica Pontificalis Domus del 1968 per comprendere in che modo Paolo VI abbia voluto fare evolvere la Casa Pontificia, senza però rompere definitivamente con il passato.
La lettera comincia spiegando che la Casa Pontificia si è formata nel corso dei secoli “con un processo lungo, vario e complesso in seguito alle numerose esigenze, relative alla persona e alla missione del Papa” e che questa “ha sempre costituito un organismo di singolare decoro e utilità gravitante intorno alla cattedra di Pietro, nella sua fisionomia di centro spirituale della Chiesa cattolica e di sede del Vicario in Terra di Gesù Cristo”.
Paolo VI nota che il Papa “in quanto capo visibile della Chiesa cattolica e Sovrano di uno Stato temporale riconosciuto dalle autorità civili dei vari popoli” si è scelto in ogni tempo “persone fedeli, idonee e capaci, sia nell’ordine ecclesiastico che in quello laico” che rispondessero sia alle esigenze del servizio liturgico che a quelle dello Stato temporale.
Proseguiva Papa Montini che “per le note trasformazioni storiche dell'età moderna, molte delle attribuzioni affidate ai membri della Casa Pontificia sono state private della loro funzione, continuando a sussistere come cariche puramente onorifiche, senza più corrispondere alle realtà concrete dei tempi”.
Allo stesso tempo – aggiungeva – “la missione religiosa del Pontificato Romano ha preso di giorno in giorno nuove forme e proporzioni, così che una visione realistica delle cose impone alla Sede Apostolica, anche dolorosamente talvolta - come abbiamo detto nel nostro primo incontro coi membri della Nobiltà e del Patriziato romano -, di trascegliere e di preferire nel suo patrimonio di istituzioni e di consuetudini ciò che è essenziale e vitale”.
Una decisione che veniva anche dal fatto che, dopo il Concilio Vaticano II “sia nella Chiesa intera, sia nell’opinione pubblica mondiale “si è fatta strada una più attenta, diremmo più gelosa sensibilità per tutto ciò che si riferisce alla preminenza dei valori schiettamente spirituali, all'esigenza di verità, di ordine, di realismo e al rispetto di ciò che è efficace, funzionale, logico, di fronte a quanto invece è soltanto nominale, decorativo, esteriore”.
Da qui, il rinnovo degli incarichi, “sottolineando da una parte la missione essenzialmente spirituale del Romano Pontefice, e dall'altra la singolare funzione che gli compete anche nei riflessi della vita civile e internazionale”, perché sia i membri della Casa Pontificia che quelli della Famiglia “esercitino tutti funzioni e attività effettive tanto in campo spirituale, quanto in quello temporale, fornendo dell’antica realtà, che aveva portato a suo tempo la formazione delle varie cariche di Corte, la versione aggiornata alle condizioni di oggi, da esse richiesta”.
Un esempio: il titolo di monsignore
Una versione aggiornata, dunque, di una “famiglia” che rappresentava il servizio del Popolo di Dio alla sede di Pietro. Una versione aggiornata che, ad esempio, rendeva il titolo di monsignore esteso a tutti quanti fossero considerati parte della “famiglia” del Papa, in maniera onorifica, e non più legata solo alle funzioni di “corte”.
Infatti, si concede il titolo di monsignore secondo tre gradi: cappellano di Sua Santità, per sacerdoti del clero secolare che abbiano compiuto almeno 35 anni di età e 5 di sacerdozio (10 per gli ecclesiastici nel servizio diplomatico della Santa Sede e per gli officiali della Curia romana); prelato d’onore di Sua Santità, per sacerdoti del clero secolare che abbiano compiuto almeno 45 anni di età e 15 di sacerdozio, e protonotario apostolico soprannumerario a sacerdoti del clero secolare che abbiano compiuto almeno 55 anni di età e 20 di sacerdozio.
(La storia continua sotto)
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Una ulteriore evoluzione è stata la decisione di Papa Francesco, il quale il 7 gennaio 2014 ha chiesto alla Segreteria di Stato di emanare una norma che limiti la possibilità di conferire il titolo di monsignore, in ambito diocesano, ai sacerdoti di età superiore ai 65 anni, con il solo titolo di Cappellano di Sua Santità, mentre resta invariato il regolamento sul titolo ai funzionari degli organismi della Santa Sede. Anche questa, una piccola evoluzione, in fondo.
I parafrenieri
Ed è parte di questa evoluzione della famiglia pontificia anche l’evoluzione dell’arciconfraternita dei Parafrenieri Pontifici. Questi erano gentiluomini di Corte, addetti a mansioni di fiducia legate all’esercizio del potere Papale.
L’arciconfraternita risale al 1378, e la dignità dei Parafrenieri fu altissima – ebbero i titoli di Prelato e Conte Palatino, Notaro, Cappellano, Nobile, Beneficiato, Canonico, e avevano loro stessi la facoltà di creare Dottori in Teologia, di confereri il Baccellierato, di creare Notari e legittimare bastardi.
La Confraternita dei Parafrenieri del Papa ammise poi i Parafrenieri di Cardinali, ambasciatori, corone. Era composta da persone molto vicine al Papa e appartenenti alla Corte Pontificia. E – spiegano loro stessi nel loro sito internet – “allo spirito di un tempo si è costituita una nuova coscienza che dopo il Vaticano II ha assunto l’identità di una missione comunitaria di laici che vivono nel secolo trattando le cose temporali, ma ordinandole secondo i dettami della Chiesa, per poi manifestarle agli altri come testimonianza di vita, nel rispetto della tradizione che distingue l’arciconfraternita da oltre sei secoli”.
Sono, tutte queste, storie e tradizioni che si sono intrecciate nella festa di Sant’Anna ieri celebrate a Santa Caterina della Rota. La nuova facciata della chiesa, in fondo, simboleggia un po’ il senso della romanità, che poi è quello dell’universalità della Chiesa Cattolica Apostolica Romana: niente viene abolito, niente viene spezzato, tutto scorre secondo una precisa tradizione che non si spezza, pur venendo aggiornato.
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