Città del Vaticano , 29 May, 2017 / 3:01 PM
Un invito in Canada, per visitare il Paese e per portare le scuse della Chiesa ai popoli indigeni inculturati con le scuole presidenziali. Questo ha portato Justin Trudeau, premier canadese, a Papa Francesco, insieme all’interesse per alcuni altri grandi temi (il dialogo interreligioso, il clima, la diversità etnica, le migrazioni) e il silenzio su altri come il tema della vita.
Non era una prima volta per il premier canadese, che era stato in Vaticano nel 1980, al seguito del padre Pierre Trudeau, allora premier canadese, che era venuto ad incontrare San Giovanni Paolo II.
L’incontro di oggi è durato 36 minuti, con due interpreti. Ovviamente, niente trapela dell’incontro privato, ma è stato il portavoce di Trudeau, Cameron Ahmad, a sottolineare che i temi in agenda sarebbero stati, nell’ordine, l’invito in Canada, la riconciliazione con le tribù indigene, il clima, le migrazioni.
Il Papa ha poi regalato al premier canadese una medaglia del quarto anno di Pontificato, l’enciclica Laudato Si, le esortazioni Evangelii Gaudium e Amoris Laetitia, e il messaggio per la Giornata Mondiale della Pace che il Papa aveva firmato personalmente, come già aveva fatto con Trump.
Da parte sua, Trudeau ha regalato Relations de Jesuits du Canada, una rara edizione in 6 volumi che “documenta i rapporti che facevano i gesuiti” sul territorio canadese, e un vocabolario stilato dai gesuiti, in una edizione particolare.
Poi Trudeau è sceso in Segreteria di Stato, per l’incontro con il Cardinale Parolin.
Si legge nel comunicato della Sala Stampa vaticana che “nei cordiali colloqui sono state rilevate le buone relazioni bilaterali fra la Santa Sede e il Canada e il contributo della Chiesa cattolica nella vita sociale del Paese”.
Prosegue il comunicato che “successivamente ci si è soffermati sui temi dell’integrazione e della riconciliazione, come anche su quello della libertà religiosa e sulle attuali problematiche etiche. Sono state trattate, infine, anche alla luce dei risultati del recente vertice del G7, alcune questioni di carattere internazionale, con speciale attenzione al Medio Oriente e alle aree di conflitto”.
Dietro le quinte, erano tre i grandi temi dell’incontro: la secolarizzazione del Canada, che ha avuto il suo apice nella revolution tranquille in Quebec e la sua certificazione nel governo di Justin Trudeau, dall’altra parte della barricata su tutti i grandi temi della Santa Sede; la questione dello sterminio di nativi nelle scuole residenziali canadese, molte di questa cattoliche, messa in luce da una speciale Commissione per la Giustizia e Riconciliazione e tema che lo stesso Trudeau ha brandito alla vigilia della visita, anche per mettersi in una posizione di forza rispetto al Pontefice e certificare ancora una volta la laicità del suo governo; e infine, la legge sull’eutanasia, una preoccupazione costante dei vescovi canadesi che, dopo aver fallito la battaglia per non legalizzarla, tentano di non fallire la battaglia per garantire l’obiezione di coscienza.
E Papa Francesco di questi temi era molto al corrente, avendo ricevuto – in tre riprese abbastanza ravvicinate – i vescovi delle zone Canada Ovest, Ontario e Quebec. Proprio con i vescovi del Quebec – regione che lui conosce bene, avendo visitato le province dei gesuiti laggiù – ha inaugurato la nuova procedura delle visite ad limina, che include anche una riunione, presieduta dal Papa, con tutti i grandi capi dicasteri.
Come si sono dipanati questi tre grandi temi? Sulla secolarizzazione, è chiara la preoccupazione della Santa Sede. La revolution tranquille avvenuta in Quebec è ormai un fatto, le scuole hanno perso la loro connotazione confessionale, e la battaglia viene portata avanti soprattutto a livello culturale. Ma la difficoltà nella battaglia per l’obiezione di coscienza sulla legge dell’eutanasia certifica anche che c’è un mondo, una élite al potere più che i cattolici alla base, decisi a considerare la religione come un impedimento allo sviluppo del Paese.
E veniamo alla battaglia per l’obiezione di coscienza, che riguarda in particolare una delle leggi sull’eutanasia più feroci mai viste. Questi i passaggi della legge: nel 2015 la Corte Suprema ha eliminato l’eutanasia dai crimini federali, e nel 2016 il Parlamento Federale ha creato la legislazione per apportare le modifiche necessarie perché la sentenza della Corte Suprema fosse trasferita nel codice. Ora, sono le province che sono chiamate ad implementare la riforma nel sistema medico, dato che in Canada il codice di diritto penale è di giurisdizione del governo federale, mentre la salute è sotto la giurisdizione di famiglie e territori. Non c’è stato vescovo, nelle visite ad Limina, che non abbia posto il problema, dalla zona Ovest al Quebec, passando per l’Ontario.
Infine, la delicata questione delle scuole residenziali. La commissione Verità e Riconciliazione ha terminato il suo lavoro due anni fa, con 94 “call for action” che includevano una richiesta di scuse da parte della Chiesa cattolica. Il dibattito, però, viene da molto lontano.
Le “scuole residenziali” sono istituti gestiti da Chiese cristiane dove – a partire dalla metà dell’Ottocento e per quasi tutto il XX secolo – il governo federale trasformò forzatamente 150 mila bambini delle tribù native. Sono almeno 6 mila i bambini morti in queste strutture, in cui si cercava di assimilare forzatamente i bambini allo Stato.
Le violenze sono state anche di più, se si considera che da allora ad oggi sono stati risarciti oltre 64 mila nativi, ma sono stati in 92 mila a chiedere il compenso. Lo Stato canadese ha fatto formali scuse nel momento in ci ha istituito la Commissione.
L’ultima delle scuole residenziali è stata chiusa nel 1996, e la “pagina nera” della storia canadese ha chiamato in causa anche la Chiesa cattolica, che gestiva molte di queste strutture.
Nel 2009 in Vaticano era già avvenuto un incontro tra papa Benedetto XVI e il “Grande capo” dell'Assemblea dei nativi del Canada, Phil Fontaine, organizzato dall'allora presidente della Conferenza episcopale canadese, monsignor James Weisgerber. Benedetto XVI manifestò “il suo dolore e l’angoscia causata dalla deplorevole condotta di alcuni membri della Chiesa”, aggiungendo che “atti di abuso non possono mai essere tollerati dalla società”.
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