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L’Arcivescovo Romero beato apre la strada ad altri santi d’America?

Immagini dell'Arcivescovo Romero, Messa di Beatificazione - San Salvador, 23 maggio 2015

Erano in 260 mila, a San Salvador, per la beatificazione dell’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero. Cinque cardinali sull’altare, 1500 sacerdoti concelebranti. La presiedeva il Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e delegato del Papa. La beatificazione di Oscar Arnulfo Romero ha rappresentato per l’America Latina il riconoscimento di una Chiesa, quella di San Salvador, che fu nel mirino tra Anni Settanta e Ottanta: oltre a Romero, una catena di omicidi di sacerdoti e religiosi, alcuni di loro anche in attesa di una beatificazione che ne attesti il martirio. Ma la beatificazione di Romero rappresenta anche il segno di una memoria controversa, tanto che padre Jon Sobrino, il teologo della Liberazione che fu molto vicino a Romero, ha sottolineato nei giorni scorsi che non vuole una “beatificazione annacquata.”

Sono polemiche che importano molto poco alle persone. Della santità dell’Arcivescovo Romero erano convinti, indipendentemente da qualunque dibattito teologico o qualunque strumentalizzazione sulle posizioni dell’Arcivescovo. Sta qui la ragione della folla in piazza, con moltissimi ombrelli colorati in mano per ripararsi dal sole.

Papa Francesco, che in quell’America Latina viveva, è stato il Papa che ha decretato che sì, quello di Romero fu martirio, che fu ucciso dagli squadroni della morte in odio alla fete. “Óscar Arnulfo Romero, arcivescovo, martire, che, sostenuto da Cristo, pietra angolare, donò la vita per la costruzione del Regno, d’ora in avanti sarà chiamato Beato”: queste le parole della lettera apostolica che fanno da preludio allo svelamento del ritratto del nuovo beato.

Nell’omelia, il Cardinale Amato ha sottolineato che l’Arcivescovo Romero “è luce delle nazioni e sale della terra. Se i suoi persecutori sono spariti nell’ombra dell’oblio e della morte, la memoria di Romero continua ad essere viva e a dare conforto a tutti i derelitti e gli emarginati della terra.”

Parole che vengono spesso interrotte dagli applausi della folla, e in particolare di quei 1400 poveri cui l’arcidiocesi di San Salvador ha riservato oltre 1400 posti. A loro, l’arcivescovo Romero diceva che “i nostri interessi sono gli interessi di Dio, che ci dice di amarlo sopra ogni cosa e di amare gli altri come noi stessi.”

 

La beatificazione dell’arcivescovo Romero poteva avvenire solo ora. Vero che la “Positio Super Martyrio” documenta dettagliatamente le prove dell’odio nutrito nei suoi confronti, per un’azione motivata solo dall’amore evangelico per la giustizia e la difesa dei poveri, e al quale il beato risponde, come Cristo, con il perdono. Ma è anche vero che ci si doveva distaccare dalle possibili strumentalizzazioni politiche, e aspettare che le costruzioni ideologiche intorno alla sua figura si spegnessero.

Si è parlato di un Romero vicino alla teologia della Liberazione, e il dibattito sulla Teologia della Liberazione sembra essere ancora vivo. Ma oggi, dopo le due istruzioni della Congregazione della Dottrina della Fede degli anni 80, molto è cambiato. Ad un dibattito sempre presente nella vivace America Latina risponde una Congregazione della Dottrina della Fede guidata dal Cardinal Gehrard Ludwig Mueller, tedesco e profondo conoscitore del Sud America, amico del ‘padre’ della teologia della Liberazione Gustavo Gutierrez, che ha aiutato quest’ultimo a depurare la sua teologia da tutte le ascendenze marxiste. L’attenzione dei poveri è sempre stata nel cuore della Chiesa. La lotta ideologica (e quella armata che a volte a stata promossa in suo nome) no.  

Sembrano dimenticarlo quelli che intorno ad ogni figura cercano di rinfocolare un dibattito che fa solo male alla memoria, e non permette di vedere la grandezza dell’opera di ciascuno. Come è successo con Oscar Romero.

La cui causa di beatificazione ha vissuto fasi alterne. Tra il 2000 e il 2005 dal Vaticano sono stati chiesti supplementi di indagine e approfondimenti di punti in differenti momenti, soprattutto tra il 2000 e il 2005 dal Vaticano sono stati richiesti supplementi di indagine e approfondimenti di punti ritenuti non sufficientemente chiariti nel pensiero e nella prassi di Romero. Si è dovuta chiarire la sua estraneità ad azioni guerrigliere come ispiratore intellettuale, anche indiretto. Lo storico italiano Roberto Morozzo della Rocca, biografo ha identificato a questo proposito  “l’opposizione di vescovi latinoamericani di destra convinti che Romero era sovversivo” e “l’esaltazione di Romero come figura rivoluzionaria, assieme a Che Guevara e Salvador Allende”.

La situazione dell’arcivescovo Romero è simile in quella dei tanti santi d’America celebrati da Papa Francesco nella lettera inviata per l’occasione. Specialmente in San Salvador, dove ci sono altri martiri in lista. Rutilio Grande, il cui cadavere è stato vegliato da Romero la notte del 12 marzo 1977 è il primo. Quindi i gesuiti dell’Università centroamericana José Simeón Cañas’ (Uca) assassinati il 16 novembre 1989, con nome e cognome: il rettore, lo spagnolo Ignacio Ellacuría, insieme ai confratelli spagnoli Ignacio Martin Baro, Segundo Montes, Amando Lopez, Juan Ramon Moreno, e al salvadoregno Joaquin Lopez, oltre alla cuoca Elba Julia Ramos e a sua figlia quindicenne Celina Mariceth Ramos. E poi, suor Ita Ford, suor Maura Clarke, suor Dorothy Kazel e la laica Jean Donovan, quattro religiose della congregazione Maryknoll torturate e assassinate tre mesi prima di Romero, il 2 dicembre 1980: . Quindi un numero grande di sacerdoti, catechisti e seminaristi uccisi prima e dopo Romero. “Stiamo studiando più di 500 casi e abbiamo messo al lavoro una apposita commissione” ha rivelato l'attuale vescovo di San Salvador José Luís Escobar Alas. Anche nel loro caso, dovrà essere chiara la loro estraneità ad azioni guerrigliere, si dovrà purificare loro la memoria. Insieme ai santi d'America, ci sono anche una memoria da purificare, e ferite ancora fresche da rimarginare. 

 

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