Cairo, 28 April, 2017 / 4:57 PM
Tre orientamenti, tre linee guida per migliorare il dialogo interreligioso. Ma soprattutto, il no ad ogni forma di violenza commessa in nome di Dio, un appello ai leader religiosi di smascherare la violenza in nome di Dio, ai leader delle nazioni di essere costruttori di pace e fermare riarmo e populismi, a tutti gli uomini di buona volontà di sanare le ingiustizie per un mondo di pace.
Tutto questo c’è nel primo discorso di Papa Francesco in Egitto, quello all’università di al Azhar. Il Papa ribadisce che le religioni non possono essere regalate ad un fatto privato, e che “la violenza è la negazione di ogni religiosità”, che “solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome”, e che "fede e odio" sono incompatibili.
Per questo, il Papa richiama tutti i responsabili religiosi alle loro responsabilità. “Siamo chiamati – dice - a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità, facendo leva sull’assolutizzazione degli egoismi anziché sull’autentica apertura all’Assoluto. Siamo tenuti a denunciare le violazioni contro la dignità umana e contro i diritti umani, a portare alla luce i tentativi di giustificare ogni forma di odio in nome della religione e a condannarli come falsificazione idolatrica di Dio: il suo nome è Santo, Egli è Dio di pace, Dio salam”.
È un discorso denso di riferimenti, quello di Papa Francesco alla conferenza della pace, che racchiude un po’ tutti i temi sul tavolo: il no alla secolarizzazione delle religioni e la riaffermazione che le religioni sono la soluzione, non il problema; la necessità per gli uomini di ricostruire guardando verso Dio e di educare giovani generazioni; lo sguardo verso l’alto, simboleggiato dal Sinai; l’assurdità del riarmo come protezione e la necessità di avere costruttori di pace.
I tre orientamenti per un il dialogo interreligioso sono il dovere dell’identità, perché “non si può imbastire il dialogo sull’ambiguità”; il coraggio dell’alterità, perché “chi è differente da me non va trattato come un nemico”; e e la sincerità delle intenzioni, perché “il dialogo, in quanto espressione autentica dell’umano, non è una strategia per realizzare secondi fini, ma una via di verità, che merita di essere pazientemente intrapresa per trasformare la competizione in collaborazione”.
Ripartire dall’Egitto, dunque. Terrà di civiltà e terrà di alleanza. Terra da cui cominciare a puntare tutto sulla civiltà dell’incontro piuttosto che sull’inciviltà del conflitto. Terra di antica sapienza, che è il primo passo per la pace. Ed è significativo che il Papa delinei tutto questo di fronte all’Università di al Azhar.
Nel suo discorso, il Papa ricorda l’Egitto come terra la cui cultura, cresciuta sulle sponde del Nilo, è stata sinonimo di “civilizzazione”, perché l’Egitto ha dato luce a “un inestimabile eredità culturale”, generata anche dalla ricerca di cultura e da una educazione elevatissima.
La sapienza è una delle caratteristiche dell’Egitto, perché questa fa superare la tentazione di irrigidirsi”, è “aperta e in movimento”, “umile e indagatrice”, valorizza il passato e dialoga con il presente, evita le prevaricazioni e non si stanca mai di cercare ogni occasione di incontro, ponendo sempre al centro la dignità dell’uomo.
La sapienza porta il dialogo, e allora ci vuole educazione al dialogo “perché l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è l’inciviltà dello scontro”, e perché “per contrastare veramente la barbarie di chi soffia sull’odio e incita alla violenza, occorre accompagnare e far maturare generazioni che rispondano alla logica incendiaria del male con la paziente crescita del bene: giovani che, come alberi ben piantati, siano radicati nel terreno della storia e, crescendo verso l’Alto e accanto agli altri, trasformino ogni giorno l’aria inquinata dell’odio nell’ossigeno della fraternità”.
Il Papa sottolinea che a questo impegno sono chiamati cristiani e musulmani ericorda che in Egitto fedi diverse si sono mescolate da sempre.
L'Egitto non è, insomma, solo terra di sapienza, ma anche terra di Alleanza. E il simbolo di questa alleanza è il Sinai, che ricorda – dice il Papa – “che un’autentica alleanza sulla terra non può prescindere dal Cielo, che l’umanità non può proporsi di incontrarsi in pace escludendo Dio dall’orizzonte, e nemmeno può salire sul monte per impadronirsi di Dio”
È un messaggio “attuale”, che risponde al paradosso di chi da una parte “relega la religione nella sfera privata” e dall’altra si confonde “la sfera religiosa da quella politica”, con il rischio che “la religione venga assorbita dalla gestione di affari temporali e tentata dalle lusinghe di poteri mondani che in realtà la strumentalizzano”.
Il Papa sottolinea che in un mondo sempre più veloce, pieno di strumenti tecnici, c’è “la nostalgia delle grandi domande di senso che le religioni fanno affiorare e che suscitano la memoria delle proprie origini”, perché è nella vocazione dell’uomo “non esaurirsi negli affari terreni”, ma piuttosto “incamminarsi verso l’Assoluto cui tende”.
E dunque la religione “non è un problema, ma è parte della soluzione”, perché è necessario “elevare l’animo verso l’Alto per imparare a costruire la città degli uomini”, e il modello è ancora il Sinai sul quale vennero consegnate le tavole della legge.
Ricorda il Papa che “Dio, amante della vita, non cessa di amare l’uomo e per questo lo esorta a contrastare la via della violenza, quale presupposto fondamentale di ogni alleanza sulla terra”. E sono le religioni ad essere chiamate “ad attuare questo imperativo” perché “la violenza, infatti, è la negazione di ogni autentica religiosità”.
Da qui l’appello ai leader religiosi, con la consapevolezza che “solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome”.
Il Papa chiede di ripetere un “no forte e chiaro” ad ogni “forma di violenza, vendetta e odio commessi in nome della religione o in nome di Dio. Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare. Insieme dichiariamo la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica”.
Perché – dice il Papa - la fede che non nasce da un cuore sincero e da un amore autentico verso Dio Misericordioso è una forma di adesione convenzionale o sociale che non libera l’uomo ma lo schiaccia”.
La religione – dice il Papa – non è solo chiamata a smascherare il male, ma a “promuovere la pace”, senza cedere a “sincretismi concilianti” con il compito di “pregare gli uni per gli altri domandando a Dio il dono della pace, incontrarci, dialogare e promuovere la concordia in spirito di collaborazione e amicizia”.
Di fronte a un mondo in guerra, il Papa ricorda che “a poco o nulla serve infatti alzare la voce e correre a riarmarsi per proteggersi: oggi c’è bisogno di costruttori di pace, non di provocatori di conflitti; di pompieri e non di incendiari; di predicatori di riconciliazione e non di banditori di distruzione.”
Denuncia il Papa: “Si assiste con sconcerto al fatto che, mentre da una parte ci si allontana dalla realtà dei popoli, in nome di obiettivi che non guardano in faccia a nessuno, dall’altra, per reazione, insorgono populismi demagogici, che certo non aiutano a consolidare la pace e la stabilità”.
Ma – aggiunge – “nessun incitamento violento garantirà la pace, ed ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza”.
Il Papa ricorda che, per la pace, ci si deve anche adoperare per “rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono, e bloccare i flussi di denaro e di armi verso chi fomenta la violenza”, e di bloccare “la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate”.
Per il Papa, “solo rendendo trasparenti le torbide manovre che alimentano il cancro della guerra se ne possono prevenire le cause reali”, e richiama tutti “i responsabili delle nazioni, delle istituzioni e dell’informazione, come noi responsabili di civiltà” a questo impegno gravoso di avviare processi di pace, perché tutti sono stati “convocati da Dio, dalla storia e dall’avvenire” a farlo. Il Papa chiede dunque alle nazioni di non sottrarsi “dal gettare solide basi di alleanza tra i popoli e gli Stati”.
(La storia continua sotto)
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Ripartire dall’Egitto, dunque. E per Papa Francesco questo incontro è un messaggio, un appello, da fare insieme al Grande Imam di al Azhar Ahmad al Tayeb. Questa presenza del Papa è un riconoscimento al suo impegno. Tayyeb, che ha studiato anche alla Sorbona, ha introdotto nell’università di al Azhar (“la splendida”, la più antica istituzione sunnita) l’insegnamento delle quattro scuole giuridiche dell’ortodossia islamica sunnita (hanafita, malikita, shafiita e hanbalita) per sottolineare l’importanza di educare gli studenti alla ricchezza e alla pluralità del patrimonio islamico. Il suo lavoro, da sempre, è quello di far sposare una visione tradizionale dell’Islam che si sposi con i principi della modernità, motivo per cui si è scontato spesso con i Fratelli Musulmani, che pure continuano ad avere una influenza in Egitto. Ci sono norme nell’università che portano all’espulsione diretta degli studenti che incitino o si uniscano ai movimenti islamisti.
Si parla forse anche di questo all’incontro privato tra i due, che avviene prima della conferenza, alle 15,40, e che prevede anche uno scambio di doni: il Papa dà un mosaico raffigurante il “Foro Romano”, tratto da un dipinto ad olio del XIX secolo realizzato dai mosaicisti dello Studio del Mosaico vaticano.
Quanto l’impegno di al Azhar possa essere fruttuoso, è da vedere, in un mondo islamico che vive una profonda crisi interna. La Conferenza Internazionale della Pace promossa dall’università è uno dei passi portati avanti, dopo l’Osservatorio stabilito nel 2015 e la conferenza sulla cittadinanza di febbraio, e serve ad al Tayeb a tacitare i gruppi più estremisti, che non avrebbero visto di buon occhio la presenza del Papa in università senza un motivo ben delineato.
Nel discorso alla Conferenza, il Grande Imam ricorda che "gli umani si sono dimenticati che tutti siamo creature di Dio", e che i pensatori di oriente e occidente "chiedono di tornare ai messaggi celesti per correggere il percorso di questa modernità corrotta e salvare la mente umana da questa povertà filosofica, perché l'individualismo primeggia sulla vita di tutti". E attacca chi ha interpretato il Corano "in maniera errata", "spargendo sangue", e attacca quanti "finanziano il terrorismo".
Ricorda che né il cristianesimo, né l'ebraismo sono religioni di terrorismo perché "alcuni hanno usato la croce per spargere sangue" o perché in nome dell'ebraismo "sono occupati dei territori", sposando così la causa palestinese. E dice che nemmeno le civiltà europea o americana sono terroriste, nonostante le due guerre mondiali e le bombe atomiche di Hiroshima Nagasaki. E queste accuse - sottolinea - "sono ora rivolte all'Islam". Ma se "andiamo avanti con questo ragionamento, nessuna religione, nessuna civilizzazione ne è immune".
Il Grande Imam ha sottolineato le cose in comune con il cristianesimo, chiedendo di lavorare insieme per "salvaguardare la famiglia", per aiutare i poveri, per salvare l'ambiente, per combattere le teorie dello scontro tra civiltà, "la modernità atea" e "la filosofia che divinizza l'umano".
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