Milano, 27 March, 2017 / 9:00 AM
“È vero che le cose vanno fatte e non dette, ma ogni tanto un po’ di visibilità è necessaria per dimostrare che le cose, in realtà, si fanno”. Giorgio Sarto, 72 anni, da 17 anni si occupa degli anziani di Case Bianche, ma non solo. È lui ad accogliere il Papa, lui a rendersi disponibile con i giornalisti, lui a fare da collante con il mondo esterno. Le sue parole non sono quelle di un uomo amareggiato. Ma rappresentano un grido di allarme: c’è un lavoro invisibile, che non viene mai raccontato.
Ed è il lavoro invisibile, eppure concreto, di Caritas Ambrosiana, con i suoi “Cantieri di solidarietà” a Milano e nel mondo e la sua perfetta efficienza e concretezza. Per dire: sabato, durante la Messa con Papa Francesco, sono state consegnate idealmente 55 case ristrutturate dalla Caritas per famiglie di difficoltà, quasi tutte bilocali tra i 40 e i 70 metri quadrati di superficie. Sono state ristrutturate secondo un progetto voluto fortemente dal Cardinale Angelo Scola e offerto idealmente come segno di misericordia. La diocesi di Milano ha garantito i costi dell’intera operazione con i fondi dell’8 per mille.
Così, quattro famiglie entreranno nelle case tra la fine di marzo e i primi di aprile, altre 8 nella prima metà del mese e tutte le altre nei prossimi tre mesi. Si tratta di 55 alloggi sfitti, stralciati dall’elenco dell’edilizia residenziale pubblica e assegnati con bando pubblico dal Comune di Milano alla Fondazione San Carlo. Le case sono nel quartiere Niguarda, e in 800 famiglie hanno fatto richiesta. I requisiti per avere l’alloggio erano: essere cittadini italiani o europei o se stranieri avere un permesso di soggiorno da almeno due anni, avere un reddito ISEE non superiore a 26mila euro, avere residenza o un’attività lavorativa nel comune di Milano da almeno un anno e non possedere altro alloggio adeguato sul territorio regionale.
Si tratta solo di uno dei tanti progetti. Molti sono anche al carcere, e sembra che la Caritas stia lavorando a qualcosa di nuovo in collaborazione con la Conferenza Episcopale Italiana. Intanto, a San Vittore c’è ancora la scia della visita di Papa Francesco, la prima di un Papa nel carcere giudiziario di Milano. “Il Papa – dice Gloria Manzelli, direttrice del carcere – ha potuto salutare il 90 per cento dei carcerati. La visita è stata all’insegna della gioia. Il Papa credo abbia capito l’impegno che ha pervaso tutti noi in queste settimane”.
Ma l’impegno continua, grazie anche a don Marco Recalcati, l’instancabile cappellano del carcere, che è particolarmente restio a fare dichiarazioni alla stampa, ma che quando parla dà un affresco preciso e nitido della difficoltà del lavoro a San Vittore. “Si tratta di un carcere giudiziario – dice – i detenuti ci stanno il tempo necessario alla sentenza, c’è un forte ricambio. Questo rende più difficile il lavoro pastorale”.
E poi c’è don Augusto Bonora, il parroco di Case Bianche, giovane e sempre con il sorriso, che ha fatto di tutto perché la sua comunità potesse gioire fino in fondo della visita del Papa. “Santità, sono rimasti cinque minuti, vuole salutare i bambini che la aspettano?” ha detto al Papa che era in procinto di andarsene dopo aver guidato la folla in una Ave Maria.
Sono questi i volti sconosciuti di una diocesi che ha fatto dell’aggettivo “ambrosiano” qualcosa quasi sinonimico all’essere cattolico. Ambrosiano significa essere un cattolico fortemente intriso della sua identità locale, eppure proteso verso l’Europa, forse andando indietro con la memoria a quando i confini della diocesi sforavano fin in Svizzera, e lunghissimi erano i viaggi pastorali di San Carlo Borromeo.
Tuttora, l’arcidiocesi di Milano è la prima in Europa per numero di cattolici, con circa 2000 preti diocesani, 800 religiosi, 6 mila religiose, e una popolazione di 5,4 milioni di abitante che frequentano 107 parrocchie. E queste sono raggruppate in 73 decanati, organizzati in 7 zone pastorali.
Sono numeri significativi. E poi c’è Milano, capitale europea e “terra di mezzo”, che il sociologo Aldo Bonomi definisce “la città dei cinque cerchi”, dal Duomo alle periferie.
È una città che vive la crisi economica, che ha un po’ di nebbia in meno perché le fabbriche hanno chiuso e lo smog è diminuito, e che vive fortemente la secolarizzazione. Ma, se diminuisce la partecipazione alla Messa, si guarda alla Chiesa come una sorta di “ancora di salvezza” cui aggrapparsi. Gli oratori sono frequentatissimi, e una recente inchiesta mostrava come al calo delle pratica religiosa non corrispondeva un calo di frequentazione degli oratori, che anzi erano “costretti ad assumere”.
Dove non arriva lo Stato, arriva la Chiesa, con la sua straordinaria organizzazione. Ed è emblematico che la descrizione più puntuale di Case Bianche, una periferia abbrutita dall’abbandono dello Stato, sia stata data da due rapper, Tobe e Tinez, con un tormentone che fa “Fra’ sto in zona a fare nulla” (il brano si chiama “in Zon4”).
Ma in realtà, dice don Davide Milani, il portavoce della Curia, “nelle nostre periferie, i ragazzi fanno molte cose”. E così quello di Milano non è un panorama così disperato. C’è da scommettere, allora, che il messaggio della presenza di Papa Francesco abbia rafforzato la cultura del lavoro di una Chiesa che, in fondo, non è solo sociale. È soprattutto, e prima di tutto, interrogazione dei problemi, secondo una tradizione che ha visto sempre arcivescovi colti e interessati a cercare il perché delle cose.
Così, dalla visita del Papa a Milano, resta l’ambrosianità. Quel modo molto pragmatico, eppure molto aperto, di vivere la fede. Un modo ragionato e profondo, che fa sì che le periferie, in fondo, non siano così brutte come potrebbero essere.
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