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Un servizio di EWTN News

Ridurre le disuguaglianze per evitare l'estinzione biologica

“Il riscaldamento globale è la principale causa dell’estinzione biologica ed in particolare l’uso dei materiali fossili da parte dei Paesi ricchi. Indirettamente, tuttavia, ne sono responsabili anche i Paesi poveri, costretti a vendere le foreste per sopravvivere o  ad usare una agricoltura che non utilizza tecnologie moderne”. Così il Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, Monsignor Marcelo Sanchez Sorondo, presentando alla stampa le conclusioni del Workshop sul tema Estinzione biologica. Come salvare l'ambiente naturale da cui dipendiamo, organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.

“Le soluzioni - suggerisce Monsignor Sorondo - sono il cambio verso l’uso di energia pulita, nuove tecniche di agricoltura e nuove configurazioni delle città: piccole città intelligenti. E per questo è necessario sradicare la povertà”.

"Dal momento che l'estinzione è permanente” - ha aggiunto il Professor Peter Hamilton Raven, biologo del Missouri Botanical Garden - si tratta di una minaccia "più pericolosa dei cambiamenti climatici” stessi poiché si verifica un tasso di estinzione biologica "che non si era mai verificato prima".

Nel documento finale del Workshop si leggono numeri allarmanti. “I partecipanti - recita il testo - hanno concluso, basandosi sul confronto della documentazione fossile, che l’attuale perdita di specie è di circa 1000 volte il tasso storico. Attualmente sarebbero in pericolo di estinzione un quarto di tutte le specie e la metà di esse potrebbe estinguersi entro la fine del secolo corrente. Dal momento che dipendiamo dagli organismi viventi per il funzionamento del nostro pianeta, il cibo, molti dei nostri farmaci e altri materiali, per l’assorbimento dei rifiuti e per l’equilibrio del clima, oltre che per gran parte della bellezza di questo mondo, tali perdite causeranno danni incalcolabili per il nostro futuro a meno che non siano tenute sotto controllo. Siamo a conoscenza solo dell’esistenza di meno di un quinto delle specie che stimiamo popolino il mondo. Stiamo perciò sprecando un potenziale sconosciuto e mettendo a repentaglio i meccanismi fondamentali del nostro pianeta”.

“La popolazione umana della terra - denuncia il comunicato finale - è segnata da grandi diseguaglianze a livello economico. Le persone più ricche del mondo, che rappresentano il 19% della popolazione consumano più della metà delle risorse mondiali. I ricchi sono quindi maggiormente responsabili dell’aumento del riscaldamento globale e di conseguenza della diminuzione della biodiversità. I più poveri che non beneficiano dell’uso di combustibili fossili sono indirettamente responsabili della deforestazione e di una parte della distruzione della biodiversità, visto che le loro azioni si svolgono all’interno di un sistema economico mondiale basato sulle necessità dei più ricchi, i quali hanno in assoluto i maggiori livelli di consumo senza pagare le esternalità che potrebbero permettere di preservare la biodiversità”. 

“Porre fine alla povertà - rilevano gli accademici - costerebbe circa 175 miliardi ossia meno dell’1% della somma delle entrate dei paesi più ricchi del mondo ed è uno dei principali modi per proteggere il nostro ambiente e salvare la maggiore biodiversità possibile per il futuro. Questo può essere realizzato regione per regione. La creazione di grandi riserve naturali marine è un altro elemento importante per la preservazione della produttività biologica complessiva. Per compiere questo, dobbiamo seguire i principi morali chiaramente descritti nell’enciclica Laudato Si’”. E con l’impulso dell’enciclica di Papa Francesco i partecipanti si sono detti “decisi a cercare nuovi modi di lavorare insieme per costruire un mondo sostenibile, stabile e basato sulla giustizia sociale. In passato la razza umana ha sperimentato gravi minacce locale, ma le minacce sono ora a livello globale. Per risolvere il nostro comune dilemma, dobbiamo imparare ad amarci gli uni con gli altri, a collaborare e a costruire ponti in tutto il mondo a livelli finora inimmaginabili”.

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