Città del Vaticano , 28 February, 2017 / 1:08 PM
Quando il Papa incontra un senzatetto, l’approccio è semplice. “Buongiorno”, “Come stai”. Perchè ci si deve approcciare con semplicità per comprendere le loro storie, tutte diverse. Lo racconta Papa Francesco stesso, in una intervista che ha rilasciato al periodico “Scarp’ de’ tenis”, mensile della strada, progetto editoriale e sociale sostenuto da Caritas Ambrosiana e Caritas Italiana. Una intervista in cui parla anche di Milano, e dice che spera che ci sia “tanta gente” ad accoglierlo.
Tra le domande, una sul modo in cui il Papa si approccia ai senza tetto. Racconta il Papa che chiede prima di tutto, “Buongiorno. Come stai?” e “alcune volte si scambiano poche parole, altre volte invece si entra in relazione e si ascoltano storie interessanti: «Ho studiato in un collegio, c’era un bravo prete…»”.
Ricorda il Papa che “le persone che vivono sulla strada capiscono subito quando c’è il vero interesse da parte dell’altra persona o quando c’è, non voglio dire quel sentimento di compassione, ma certamente di pena”. La differenza – dice il Papa – è di vederlo “come persona, oppure come se fosse un cane”, e di questo se ne accorgono. Il Papa racconta una storia che riguarda Giovanni Paolo II, di un senzatetto che non parlava con nessuno, finché a un certo punto ha raccontato di essere stato in seminario con il Papa. E – racconta Papa Francesco – “la voce è arrivata a San Giovanni Paolo II che sentito il nome, ha confermato di essere stato con lui in seminario e ha voluto incontrarlo. Si sono abbracciati dopo quarant’anni, e alla fine di un’udienza il Papa ha chiesto di essere confessato dal sacerdote che era stato suo compagno. «Ora però tocca a te», gli disse il Papa. E il compagno di seminario fu confessato dal Papa”.
Il Papa ricorda di quando era Buenos Aires, e ricorda che “un aiuto è sempre giusto per i poveri”, “non è una buona cosa lanciare al povero solo degli spiccioli. È importante il gesto, aiutare chi chiede guardandolo negli occhi e toccando le mani”.
Papa Francesco racconta che in molti “hanno ascoltato” l’appello di aiutare i senzatetto, ricorda che “in Vaticano ci sono due parrocchie” e “ognuna di loro ha ospitato una famiglia siriana”, molte famiglie di Roma hanno accolto. Ma – ammonisce il Papa – l’obiettivo è “quello dell’integrazione”, e si è fatto molto, c’è chi fa offerte in denaro “per pagare l’affitto delle abitazioni”.
Il Papa dice che è “molto faticoso mettersi nelle scarpe degli altri, perché spesso siamo schiavi del nostro egoismo. A un primo livello possiamo dire che la gente preferisce pensare ai propri problemi senza voler vedere la sofferenza o le difficoltà dell’altro. C’è un altro livello però. Mettersi nelle scarpe degli altri significa avere grande capacità di comprensione, di capire il momento e le situazioni difficili”.
Non basta ascoltare, ma bisogna capire, dice Francesco. “Capire – sottolinea - significa mettersi le scarpe degli altri. E non è facile. Spesso per supplire a questa mancanza di grandezza, di ricchezza e di umanità ci si perde nelle parole. Si parla. Si parla. Si consiglia. Ma quando ci sono solo le parole o troppe parole non c’è questa “grandezza” di mettersi nelle scarpe degli altri”.
Sul tema dei migranti, Papa Francesco ricorda che “quelli che arrivano in Europa scappano dalla guerra o dalla fame. E noi siamo in qualche modo colpevoli perché sfruttiamo le loro terre ma non facciamo alcun tipo di investimento affinché loro possano trarre beneficio. Hanno il diritto di emigrare e hanno diritto ad essere accolti e aiutati. Questo però si deve fare con quella virtù cristiana che è la virtù che dovrebbe essere propria dei governanti, ovvero la prudenza. Cosa significa? Significa accogliere tutti coloro che si ‘possono’ accogliere. E questo per quanto riguarda i numeri. Ma è altrettanto importante una riflessione su ‘come’ accogliere. Perché accogliere significa integrare”.
Parlando di integrazione, il Papa ricorda l’attentato di Zaventem, e il “corridoio umanitario” con cui ha portato i migranti siriani da Lesbo. Papa Francesco ricorda che queste 13 persone “in poco tempo hanno trovato dove alloggiare, gli adulti si sono dati da fare per frequentare corsi per imparare la lingua italiana e per cercare un qualche lavoro. Certo, per i bambini è più facile: vanno a scuola e in pochi mesi sanno parlare l’italiano meglio di me. Gli uomini hanno cercato un lavoro e l’hanno trovato. Integrare allora vuol dire entrare nella vita del Paese, rispettare la legge del Paese, rispettare la cultura del Paese ma anche far rispettare la propria cultura e le proprie ricchezze culturali”.
Ma – aggiunge il Papa – “l’integrazione è un lavoro molto difficile”, e “ai tempi delle dittature militari a Buenos Aires guardavamo alla Svezia come a un esempio positivo. Gli svedesi oggi sono 9 milioni, ma di questi, 890 mila sono nuovi svedesi, cioè migranti o figli di migranti integrati. Il Ministro della cultura Alice Bah Kuhnke è figlia di una donna svedese e di un uomo proveniente dal Gambia. Questo è un bell’esempio di integrazione”.
Papa Francesco mette in luce che “anche in Svezia si trovano in difficoltà” perché “hanno molte richieste e stanno cercando di capire cosa fare perché non c’è posto per tutti. Ricevere, accogliere, consolare e subito integrare”.
Concede dunque il Papa “ogni Paese allora deve vedere quale numero è capace di accogliere. Non si può accogliere se non c’è possibilità di integrazione.”
Raccontando la storia della sua famiglia di emigranti, il Papa afferma di non essersi mai sentito “un po’ sradicato” perché “in Argentina siamo tutti migranti.
Per questo laggiù il dialogo interreligioso è la norma. A scuola c’erano ebrei che arrivavano in maggior parte dalla Russia e musulmani siriani e libanesi, o turchi con il passaporto dell’Impero ottomano. C’era molta fratellanza. Nel Paese c’è un numero limitato di indigeni, la maggior parte della popolazione è di origine italiana, spagnola, polacca, mediorientale, russa, tedesca, croata, slovena. Negli anni a cavallo dei due secoli precedenti il fenomeno migratorio è stato di enorme portata”.
Ribadisce, il Papa, che gli manca la possibilità di “uscire e andare per strada” e andare in visita alle parrocchie, ma non ha “particolare nostalgia”.
Il Papa sottolinea che anche i senzatetto hanno bisogno di “integrazione,” anche se non è semplice e per questo “bisogna avvicinarsi a ciascuno di loro, trovare il modo per aiutarli e dare loro una mano”.
Gli chiedono se è davvero possibile che i poveri possono cambiare il mondo, perché nelle periferie la solidarietà è difficile. Il Papa riporta una esperienza a Buenos Aires, dicendo che lì “nelle baraccopoli c’è più solidarietà che non nei quartieri del centro”. Nota il Papa: “Ho trovato più egoismo in altri quartieri, non voglio dire benestanti perché sarebbe qualificare squalificando, ma la solidarietà che si vede nei quartieri poveri e nelle baraccopoli non si vede da altre parti, anche se lì la vita è più complicata e difficile. Nelle baraccopoli, per esempio, la droga si vede di più, ma solo perché negli altri quartieri è più ‘coperta’ e si usa con i guanti bianchi”.
Poi, la prossima visita a Milano. Il Papa ammette: “Non la conosco, ci sono stato una volta soltanto, per poche ore, nei lontani anni Settanta”. Però aggiunge: “Ho un grande desiderio, mi aspetto di incontrare tanta gente. Questa è la mia più grande aspettativa: sì, mi aspetto di trovare tanta gente.”
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