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Papa: “Per parlare di speranza a chi è disperato, bisogna condividere la sua disperazione”

E’ la prima Udienza Generale di Papa Francesco in questo nuovo anno 2017. Francesco incontra fedeli e pellegrini di tutto il mondo in Aula Paolo VI e continua il ciclo di catechesi sulla speranza cristiana. Questa volta la protagonista è Rachele, la sposa di Giacobbe e la madre di Giuseppe e Beniamino, colei che, come ci racconta il Libro della Genesi, muore nel dare alla luce il suo secondogenito. Inoltre il Papa, nel corso dell’udienza, rivolge un invito alla preghiera per il massacro avvenuto nel carcere di Manaus in Brasile.

Francesco inizia la sua catechesi partendo dal brano del profeta Geremia che racconta la storia di Rachele, “una storia di speranza vissuta nel pianto”.  “Geremia – spiega il Pontefice -  presenta questa donna del suo popolo, la grande matriarca della sua tribù, in una realtà di dolore e pianto, ma insieme con una prospettiva di vita impensata. Rachele, che nel racconto di Genesi era morta partorendo e aveva assunto quella morte perché il figlio potesse vivere, ora invece, rappresentata dal profeta come viva a Rama, lì dove si radunavano i deportati, piange per i figli che in un certo senso sono morti andando in esilio; figli che, come lei stessa dice, “non sono più”, sono scomparsi per sempre”.

Ma Rachele non vuole essere consolata. “Questo suo rifiuto – spiega il Pontefice - esprime la profondità del suo dolore e l’amarezza del suo pianto. Davanti alla tragedia della perdita dei figli, una madre non può accettare parole o gesti di consolazione, che sono sempre inadeguati, mai capaci di lenire il dolore di una ferita che non può e non vuole essere rimarginata. Un dolore proporzionale all’amore”.

Per il Papa è Rachele che “racchiude in sé il dolore di tutte le madri del mondo, di ogni tempo, e le lacrime di ogni essere umano che piange perdite irreparabili”.

“Questo rifiuto di Rachele che non vuole essere consolata – continua Francesco - ci insegna anche quanta delicatezza ci viene chiesta davanti al dolore altrui. Per parlare di speranza a chi è disperato, bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po’ di speranza. E se non riesco a dire nulla, meglio il silenzio. Una carezza, un gesto e il silenzio”.

Dio risponde al pianto di Rachele. “C’è una speranza per la tua discendenza – oracolo del Signore –i tuoi figli ritorneranno nella loro terra”.

“Questa donna – spiega ancora il Papa ai presenti -  che aveva accettato di morire, al momento del parto, perché il figlio potesse vivere, con il suo pianto è ora principio di vita nuova per i figli esiliati. Al dolore e al pianto amaro di Rachele, il Signore risponde con una promessa che adesso può essere per lei motivo di vera consolazione: il popolo potrà tornare dall’esilio e vivere nella fede, libero, il proprio rapporto con Dio. Le lacrime hanno generato speranza”.

Il Papa poi continua a braccio: “Quando qualcuno si rivolge a me e mi domanda cose difficili tipo perché soffrono i bambini? Io non so cosa rispondere, dico a lui soltanto guarda il crocifisso, Dio ci ha dato Suo figlio e Lui ha sofferto. Solo cosi troverai una risposta, guardando Suo Figlio che offre la sua vita per noi, questo può indicare qualche strada di consolazione”.

Conclude Francesco questa udienza legata al tema della morte, ma soprattutto al tema della speranza: “I bambini di Betlemme morirono a causa di Gesù. E Lui, Agnello innocente, sarebbe poi morto, a sua volta, per tutti. E sulla croce sarà Lui, il Figlio morente, a donare una nuova fecondità a sua madre, affidandole il discepolo Giovanni e rendendola madre del popolo dei credenti. La morte è vinta, e giunge così a compimento la profezia di Geremia. Anche le lacrime di Maria, come quelle di Rachele, hanno generato speranza e nuova vita”.

Durante l’Udienza Generale il Papa rivolge anche un appello e un invito alla preghiera riguardo le notizie drammatiche del massacro avvenuto nel carcere di Manaus in Brasile, dove un violentissimo scontro tra bande rivali ha causato decine di morti: “Esprimo dolore e preoccupazione per quanto accaduto. Invito a pregare per i defunti, per i loro familiari, per tutti i detenuti di quel carcere e per quanti vi lavorano. E rinnovo l’appello perché gli istituti penitenziari siano luoghi di rieducazione e di reinserimento sociale, e le condizioni di vita dei detenuti siano degne di persone umane”. Il Papa prega per i detenuti di tutto il mondo e conclude con un Ave Maria.

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