Città del Vaticano , 24 December, 2016 / 10:16 PM
“Nel Bambino che ci è donato si fa concreto l’amore di Dio per noi”. Così Papa Francesco ha iniziato l’omelia pronunciata in occasione della Messa della Notte di Natale, celebrata insieme insieme ai Cardinali della Curia Romana.
Questa - ha aggiunto il Pontefice - “è una notte di gloria, è una notte di gioia, perché da oggi e per sempre Dio è Dio con noi: non è lontano, non dobbiamo cercarlo nelle orbite celesti o in qualche mistica idea; è vicino, si è fatto uomo e non si staccherà mai dalla nostra umanità, che ha fatto sua. È una notte di luce”.
Il Bambino Gesù è il segno che ci viene indicato. E anche oggi - ha spiegato Francesco “se vogliamo festeggiare il vero Natale, contempliamo questo segno: la semplicità fragile di un piccolo neonato, la mitezza del suo essere adagiato, il tenero affetto delle fasce che lo avvolgono. Lì sta Dio”.
Nel brano evangelico della Natività vi è un “paradosso”: Dio non si presenta ai grandi “ma nella povertà di una stalla; non nei fasti dell’apparenza, ma nella semplicità della vita; non nel potere, ma in una piccolezza che sorprende. E per incontrarlo bisogna andare lì, dove Egli sta: occorre chinarsi, abbassarsi, farsi piccoli”.
Guardando questa scena ci viene rivolta una domanda a cui - ha detto il Papa - dobbiamo rispondere. Come? “Il Bambino che nasce ci chiama a lasciare le illusioni dell’effimero per andare all’essenziale, a rinunciare alle nostre insaziabili pretese, ad abbandonare l’insoddisfazione perenne e la tristezza per qualche cosa che sempre ci mancherà. Ci farà bene lasciare queste cose per ritrovare nella semplicità di Dio-bambino la pace, la gioia, il senso luminoso della vita”.
Le domande che nascono guardando il Bambino Gesù sono le stesse che ci arrivano - ha proseguito Papa Bergoglio “anche dai bambini che, oggi, non sono adagiati in una culla e accarezzati dall’affetto di una madre e di un padre, ma giacciono nelle squallide mangiatoie di dignità: nel rifugio sotterraneo per scampare ai bombardamenti, sul marciapiede di una grande città, sul fondo di un barcone sovraccarico di migranti. Lasciamoci interpellare dai bambini che non vengono lasciati nascere, da quelli che piangono perché nessuno sazia la loro fame, da quelli che non tengono in mano giocattoli, ma armi”.
Natale ha in sè due caratteristiche secondo Papa Francesco. La speranza, ma anche la tristezza. Tristezza perché “l’amore non è accolto, la vita viene scartata. Gesù nasce rifiutato da alcuni e nell’indifferenza dei più. Anche oggi ci può essere la stessa indifferenza, quando Natale diventa una festa dove i protagonisti siamo noi, anziché Lui; quando le luci del commercio gettano nell’ombra la luce di Dio; quando ci affanniamo per i regali e restiamo insensibili a chi è emarginato. Questa mondanità ha preso in ostaggio il Natale, dobbiamo liberarlo”.
Ma nonostante questo - ha rilebato ancora Papa Francesco - c’è speranza perché “la luce di Dio risplende. La sua luce gentile non fa paura; Dio, innamorato di noi, ci attira con la sua tenerezza, nascendo povero e fragile in mezzo a noi, come uno di noi. Nasce a Betlemme, che significa casa del pane. Sembra così volerci dire che nasce come pane per noi; viene alla vita per darci la sua vita; viene nel nostro mondo per portarci il suo amore. Non viene a divorare e a comandare, ma a nutrire e servire. Così c’è un filo diretto che collega la mangiatoia e la croce, dove Gesù sarà pane spezzato: è il filo diretto dell’amore che si dona e ci salva, che dà luce alla nostra vita, pace ai nostri cuori”.
Gesù nasce tra gli emarginati e anche noi come i pastori - è l’invito del Papa - “lasciamoci interpellare e convocare stanotte da Gesù, andiamo a Lui con fiducia, a partire da quello in cui ci sentiamo emarginati, dai nostri limiti, dai nostri peccati. Lasciamoci toccare dalla tenerezza che salva. Avviciniamoci a Dio che si fa vicino, fermiamoci a guardare il presepe, immaginiamo la nascita di Gesù: la luce e la pace, la somma povertà e il rifiuto. Entriamo nel vero Natale con i pastori, portiamo a Gesù quello che siamo, le nostre emarginazioni, le nostre ferite non guarite, i nostri peccati. Così, in Gesù, assaporeremo lo spirito vero del Natale: la bellezza di essere amati da Dio”. E davanti a quel Bambino - ha concluso Francesco - “diciamogli grazie: grazie, perché hai fatto tutto questo per me”.
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