Città del Vaticano , 12 December, 2016 / 2:00 PM
Forse è presto per parlare di una enciclica sulla non violenza, come si era detto all’evento organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace che ha poi portato all’idea di stendere questo messaggio. Ma il tema entra prepotentemente nell’agenda diplomatica della Santa Sede, diventa cruciale quando si parla di mediazioni, e forse diventa anche oggetto di ulteriori discussioni ad alto livello. “Magari – dice il Cardinale Peter Turkson, presidente di Giustizia e Pace – parte dei colloqui di un sinodo sui migranti, dato che il Santo Padre ha testimoniato grande interesse sul tema delle migrazioni”.
Niente, tutto sommato, è ancora deciso. In un incontro informale, senza testi prestabiliti, il Cardinale Turkson e l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, segretario delegato di Giustizia e Pace, situano i temi del Messaggio all’interno del contesto internazionale. È un passaggio necessario, perché il messaggio viene distribuito nelle Cancellerie di tutto il mondo, e spesso funziona anche da linea guida per il primo discorso papale dell’anno, quello con gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede.
Il Cardinale Turkson si riferisce all’Angelus dell’11 dicembre, segnato dall’attacco al Cairo, dall’attentato a Istanbul. “Il Papa – dice il Cardinale - ha fatto l’elenco di diverse situazioni difficili e ha concluso dicendo che c’è l’unica cosa che accomuna questi episodi sono la violenza. E questa è proprio la questione”.
La non violenza è una strada – dice il Cardinale Turkson – che “ha già tanti esempi, come quello del Mahatma Gandhi, come quello di Martin Luther King”, e quindi “c’è bisogno di scuotere un po’ la coscienza dell’umanità”.
Nota, il Cardinale, che all’incontro Nato di Varsavia a luglio “il segretario della NATO aveva allora detto che il dialogo non è una strategia. Per noi il contrario. La vera strategia è la cultura dell’incontro e del dialogo, per risolvere e trovare la via della pace”.
È in questo senso che il messaggio propone una via diplomatica, e potrebbe essere definito la via della Santa Sede alla mediazione. “Da sempre – sottolinea l’arcivescovo Tomasi – la Santa Sede si è impegnata nella mediazione quando è stata richiesta di mediare per riconciliare persone o Stati in conflitto tra di loro. Lo ha fatto dai tempi di Leone XIII con la mediazione sulle isole Caroline fino a Giovanni Paolo II nella contesta tra Cile e Argentina, fino a Papa Francesco per facilitare rapporti normali tra Cuba e Stati Uniti e in Colombia tra i rappresentanti della guerriglia e il governo. La mediazione e il dialogo sono parte della tradizione diplomatica della Santa Sede”.
Per l’arcivescovo Tomasi, si tratta piuttosto di creare uno scarto con la teoria della “guerra giusta”. Una teoria – spiega – che deve essere capito come un tentativo in realtà di limitare i danni della guerra. Oggi puntando sulla non violenza focalizziamo l’impegno internazionale nel prevenire possibili scoppi di violenza, provvedendo di lavorare per una società più umana, più rispettosa dei diritti umani, più aperta al dialogo con le persone e le culture diverse in modo da facilitare l’incontro”.
L’arcivescovo ricorda anche che “ci sono attualmente una decina di guerre in corso, dallo Yemen alla Siria al Sud Sudan, ma possiamo dire che c’è una diminuzione costante della violenza a partire dalla Seconda Guerra Mondiale. Questo crea un ottimismo, che ci fa pensare che attraverso la non violenza si può ottenere qualcosa di concreto nella civiltà umana”.
L’arcivescovo si sta anche occupando di coordinare la preparazione del nuovo dicastero per il Servizio allo Sviluppo Umano Integrale, che prenderà il posto del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e di altri tre dicasteri e che dall’anno prossimo firmerà il messaggio. Ma cosa cambierà? “Nell’enciclica Laudato Si il Papa dice che tutti i problemi sono legati tra loro e il nuovo dicastero cerca di rispondere a questa esigenza, mettendo insieme la soluzione dei problemi e quindi anche cercando di creare un messaggio che abbracci tutte le esigenze della società contemporanea, e quindi questo sarà l’accento che verrà messo. Non è un cambiamento di qualità: si tratta di camminare in avanti, rispondendo in maniera più efficace alle complicazioni e alle esigenze della cultura contemporanea”.
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