Roma, 11 May, 2015 / 3:25 PM
Che cosa significa davvero e in senso teologico “povertà”? Una domanda cui ha cercato di rispondere l’annuale convegno della Pontificia Facoltà Teologica "San Bonaventura" Seraphicum organizzato dalla Cattedra Kolbiana: “Da Kolbe a papa Francesco: una povertà per l’uomo”.
Sesto di una serie di convegni che negli anni si sono sviluppati, ha avuto diversi relatori che hanno raccontato ad esempio il ruolo della povertà nella santità cristiana, intesa come per Santa Teresa d’ Avila come distacco dalle cose, e anche dagli affetti parentali, per essere centrati su Gesù Cristo “senza distrazioni”.
Di Massimiliano Kolbe ha parlato Padre Massimo Vedova che ha messo al centro unil tema dell’ “Immacolata come fine, la povertà come capitale”, che troviamo in una lettera del santo polacco. Per san Massimiliano la povertà come forma della fede, è segno concreto della fiducia filiale nel Padre celeste con l’affidarsi totalmente all’Immacolata.
Cultura dello scarto e Papa Francesco altro tema significativo che mette in luce come in un contesto segnato da crisi economica, che in realtà è crisi antropologica, e da una globalizzazione con aspetti positivi e negativi, la Chiesa di papa Francesco sia tornata a parlare con credibilità e insistenza di povertà.”
Fra Domenico Paoletti Preside della Facoltà ne trae almeno due spunti di riflessione. “La povertà è il termometro più adatto per misurare la sincerità e la profondità della riforma nella Chiesa, in particolare nella vita religiosa” spiega e pone delle questioni: “ noi francescani come stiamo a povertà? Come stiamo con il “privilegium paupertatis”?” Ed aggiunge:” La “fuga mundi” del vecchio linguaggio religioso va ripensata e vissuta come l’andare verso i poveri, gli ultimi e i sofferenti; mescolarsi con questo mondo della sofferenza che vive nelle periferie, per dirla con papa Francesco. L’andare tra i poveri è il vero modo di vivere la “fuga mundi” perché è andare là dove il mondo fugge e scarta. La “fuga mundi”, intesa come separarsi dal principio mondano che è l’egoismo, è sempre attuale. Essere nel mondo, ma non essere del mondo, è segnalato molto bene dalla povertà!”
Come seconda riflessione teologica Fra Paoletti spiega che la povertà significa comunione: “Non basta vedere i poveri, occorre accorgersi dei poveri (e dei vari tipi di povertà: materiale, relazionale, spirituale); ma soprattutto occorre, come cristiani, sentirsi coinvolti attraverso una chiara e decisa scelta preferenziale dei poveri.
L’opzione preferenziale per i poveri non è, e non deve essere, una scelta ideologica, ma è, e deve essere, una scelta teologica in quanto l’opzione preferenziale per i poveri e dei poveri è intrinseca alla nostra fede cristiana.”
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