Ginevra, 15 July, 2016 / 10:00 AM
Un “documento cruciale” di fronte a un dibattito assente. La Fondazione Caritas In Veritate lancia un “working paper” sul tema dell’eutanasia tutto concentrato su come il tema della “morte con dignità” stia operando un cambio di terminologia che porta ad una accettazione latente dell’eutanasia. Si chiama “La morte e la dignità. Nuove forme di eutanasia”, e include una vasta selezione di testi della Santa Sede che mostrano come la posizione della Chiesa sul tema è sempre stata fissa e immutabile: nessuna vita può essere considerata indegna di essere vissuta.
Eppure, si nota nel documento, il tema della morte con dignità ha preso sempre più piede non solo nell’opinione pubblica, ma anche nei documenti delle Nazioni Unite. Ed è questo il dato più pericoloso. Può sembrare assurdo, ma attraverso un “cambiamento di vocabolario” nei documenti delle Nazioni Unite si possono operare quelle aperture che poi ricadono sulle linee guida degli Stati, trasformando in diritti cose contrarie alla dignità umana. La guerra per la vita si gioca nei dettagli.
Nota la Fondazione Caritas In Veritate che è lo stesso concetto di “morte degna” a contrastare con l’ispirazione originaria delle Nazioni Unite. Perché – si legge nel documento – “la nozione di identità inerente e universale è una delle pietre miliari del sistema dei Diritti Umani. Assegnare livelli di dignità umana a un tipo di morte è perciò alterare il modo in cui sono sempre stati comunemente interpretati la Carta delle Nazioni Unite e la Convezione”.
Insomma, “la dignità non cambia né viene alterata con la malattia o con l’avanzare dell’età. Se è un dato inerente, non si può qualificare”.
La domanda retorica è se ci si può permettere di minare i diritti umani. E la risposta implicita è no. Il problema messo in luce, però, è proprio nella contraddizione dei nuovi documenti, che promuovono i cosiddetti “nuovi diritti”. “In tutti i testi delle Nazioni Unite – scrive la Fondazione Caritas In Veritate – si considera la dignità come un dato obiettivo, universale, innegabile, non legato alla reale capacità di un individuo di fare degli atti in maniera autonoma”.
Per questo – prosegue – “bambini, dementi, persone con disabilità sono considerate avere un essenziale e intoccabile dignità che nessuno Stato, nessun gruppo di persone, nessuna legislazione può negare. Questa è una delle grandi lezioni lasciate in eredità dalle due Guerre Mondiali. Questo è il progresso morale!”
Eppure “il dibattito sul diritto a morire che ha luogo nelle corti nazionali e internazionali mostra quanto l’interpretazione del concetto di dignità sia andato velocemente lontano dal fatto che fosse considerato come parte della ontologia umana al fatto che ora viene considerato come una autonomia personale che non deve avere restrizioni”.
Nel documento, vari contributi di studiosi del tema, che spiegano nei dettagli come un diritto alla morte sia impossibile. Nota con amarezza padre Xavier Dijon, sj, professore emerito dell’università di Namur, che “anche se questo va contro il bando dell’omicidio considerato una delle fondazioni della civiltà”, l’eutanasia “appare così ragionevole ad alcuni di quelli che l’appoggiano da essere considerata addirittura un diritto umano, non esattamente con un diritto all’eutanasia (un concetto che ha ancora connotazioni negative), ma un diritto di “ottenere la morte con dignità”.
Il concetto cruciale però – spiega Dijon - è che “un diritto umano non è ciò che dà o toglie la vita; è la vita che dà o toglie il diritto”. Perché “la vita è un fatto primario” e non esiste “alcuna autorità precedente all’apparizione della vita” in base alla quale questi soggetti “possono supporre che abbiano un diritto di disporre di essa.
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