Città del Vaticano , 25 June, 2016 / 3:00 PM
“Mi si chiede di “tornare a Gerusalemme” (cfr Lc 24): come agli Apostoli, dopo “i fatti accaduti a Gerusalemme” e l’incontro con il Risorto, anche a me il Signore, attraverso il Papa, chiede di tornare alla Città Santa dopo la mia esperienza di Custode”.
Si apre così il messaggio che Padre Pierbattista Pizzaballa ha inviato alla sua nuova diocesi, che poi è sempre Gerusalemme appunto. Da poco terminato il suo incarico di Custode di Terra Santa il francescano viene richiamato dal Papa per gestire come Amministratore apostolico la diocesi dei cattolici latini nelle stesse terre.
Mentre si moltiplicavano le voci di una sua possibile candidatura per la diocesi di Milano, dove il cardinale Scola a novembre dovrebbe cedere il passo, arriva invece la notizia che sarà lui a gestire alcune delle questioni scottanti soprattutto in Giordania.
Molto legato a Papa Francesco, Pizzaballa scrive nel suo messaggio alla diocesi “posso anche comprendere le tante vostre domande e forse anche qualche perplessità”. Che un italiano diventi vescovo di una diocesi di fatto araba è strano. Ma certo occorre “preparare la Via, altro non ci è chiesto. Vie aperte, spianate, libere da tutto ciò che ostacola l’incontro con Lui e tra di noi”.
Messaggio religioso che conferma la sinodalità e che guarda ai giovani “sono loro il futuro della nostra Chiesa e a loro guardiamo con speranza e con fiducia”. E siccome “la salvezza ha la “forma” dell’incontro: assecondando l’invito di Papa Francesco, vorrei che ripartisse da Gerusalemme, da questa Terra santa e ferita, per noi e per tutta la Chiesa, la capacità di incontrarci e di accoglierci gli uni gli altri, costruendo strade e ponti e non muri: tra noi e il Signore, tra vescovi e preti, tra preti e laici, tra noi e i fratelli delle diverse chiese, tra noi e i fratelli e amici ebrei e musulmani, tra noi e i poveri, tra noi e quanti hanno bisogno di misericordia e di speranza”.
In una intervista rilasciata al sito del Patriarcato, Padre Battista spiega: “Sono cosciente che, come Amministratore, avrò un periodo di tempo limitato e si dovrà quindi misurare con realismo il servizio da compiere. È per me evidente che non potrò fare nulla da solo, ma che la collaborazione di tutta la Chiesa, vescovi, sacerdoti e laici, sia prioritaria”. E sulla situazione politica aggiunge che “in un territorio ferito da divisioni e conflitti, è prioritario essere innanzitutto un segno di unità, tra noi e con le altre comunità cristiane. Essere poi in dialogo franco e amichevole con le comunità religiose musulmane ed ebraiche.
È importante cercare di capire le situazioni complesse, senza avere fretta di giudicarle. Avere un cuore desideroso di incontrare tutti. Lavorare serenamente con tutti, senza distinzione e senza paura, per la giustizia e la pace.
Coscienti che la soluzione dei problemi che affliggono il Paese è lontana, vogliamo insomma stare dentro questa situazione con il nostro stile cristiano: sereno, senza paure, caparbiamente desiderosi di accogliere chiunque”.
Milano può aspettare.
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