New York City, New York, 15 June, 2016 / 1:00 AM
La lotta all’AIDS non è finita: l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha parlato lo scorso 10 giugno al Palazzo di Vetro delle sfide date dallo sviluppo della malattia. Concedendo che sì, ci sono progressi nella lotta alla malattia. Ma che molto deve essere ancora fatto.
C’è un rapporto “On the Fast Track to End AIDS Epidemic” che segnala incoraggianti sviluppi. Ma c’è una nota cautelare nello stesso rapporto, che dice che “l’AIDS non è finito… nonostante notevoli prograssi” e che “se accettiamo lo status quo, l’epidemia rimbalzerà in molte nazioni dal reddito basso o meedio”. La delegazione della Santa Sede punta l’attenzione proprio su questa nota cautelare.
Forte dell’esperienza delle organizzazioni di ispirazione Cattolica, sempre in prima linea nel combattere l’epidemia, l’arcivescovo Auza nota che c’è “un persistente ostacolo” nell’accedere “a diagnosi precoci” e trattamenti medici. Non solo: somministrare farmaci ai bambini è difficilissimo, i dosaggi sono da definire – come è stato fatto notare anche in un recente convegno organizzato da Caritas Internationalis. L’Osservatore nota anche i cambiamenti nella distribuzione dei fondi, la mancanza di servizi per quelli che non si trovano nei cosiddetti “hot spots” anti HIV, le interruzioni del trattamento medico su donne e bambini che sono soggette a stigma, discriminazione ed abusi fisici ed emozionali perché sono ammalati di HIV.
C’è – nota la Santa Sede – una sorta di divario tra “gli obiettivi globali” che vanno avanti, e la realtà. E per questo, si dovrebbero integrare “le preoccupazione che ogni nazione ha nel considerare il benessere globale della loro gente”. Si deve “distinguire tra le politiche per discriminare e stigmatizzare e quelle messe in pratica per scoraggiare comportanmenti che prendano un rischio”:
L’accesso alle cure “deve essere garantito a tutti”, sottolinea la Santa Sede. Che ci siano così tante difficoltà nello sradicare l’AIDS – aggiunge l’Osservatore – è “dato dal fatto che in differenti parti del mondo, specialmente in molte regioni dell’Africa, la strutura sanitaria è ancora un privilegio”. E allora “la comunità internazionale deve trovare la volontà, la capacità tecnica, le risorse e i metodi che diano accesso a diagnosi e cure per tutti, e non solo per privilegiati”.
Oggi – aggiunge l’arcivescovo Auza – “quasi tutto il 50 per cento di bambini positivi all’HIV muore prima del secondo compleanno, perché non hanno accesso alle necessarie diagnosi e cure”. Anzi, la diagnosi non viene mai fatta prima del quarto anno di età.
Per questo, ci sono stati due meeting in Vaticano con “compagnie leader” che producono “farmaci e macchinari diagnostici” per trovare una risposta più adeguata e rapida al problema dei bambini che vivono con HIV e tubercolosi”. E questi leader commerciali “sono stati d’accordo” sul fatto che è “un obiettivo globale” fornire una risposta all’HIV in termini di medicine e diagnosi “appropriata, accessibile per tutti, e sostenibile in costi”.
“La Santa Sede e tutte le istituzioni della Chiesa cattolica – aggiunge l’Osservatore Auza – sono motivate più che mai nel considerare la difficile situazione dei bambini affetti da HIV”.
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