Città del Vaticano , 08 June, 2016 / 6:00 PM
“Il cristiano dovrebbe essere come un’oasi di pace in un mondo striato dal sangue dell’odio e della guerra”. E’ uno dei temi principali che ritroviamo nel libro del presidente del Pontificio Consiglio della cultura Gianfranco Ravasi: “Le beatitudini. Il più grande discorso all’umanità di ogni tempo”.
A chi sono destinate le Beatitudini? Come dobbiamo leggerle? In una prospettiva religiosa o sociale?
L'autore ricorda l'universalità dell'impegno di vita che le parole di Cristo propongono. Il contenuto rivoluzionario delle Beatitudini, nucleo centrale della "buona novella". Il cardinale Ravasi esplora i più suggestivi sentieri dello spirito, cercando le tracce delle Beatitudini già tra le righe dell'Antico Testamento, e proponendo un confronto con le Beatitudini ebraiche.
Per esempio la settima beatitudine dedicata agli “operatori di pace”. Il cardinale la compara al verso “la pace è per il mondo quello che il lievito è per la pasta”, comparazione che si trova nel Talmud, il testo che raccoglie l’eredità spirituale e culturale della tradizione giudaica, che può idealmente introdurre alla beatitudine degli “eironopoioí”, gli artefici, gli operatori, i costruttori dell’eiréne, la “pace”.
“Purtroppo però – continua Ravasi nel suo libro - la storia umana è segnata costantemente dal sangue di guerre e di violenze e la Bibbia, che è la rivelazione di Dio nella storia e sulla storia, non può non essere attraversata dalle battaglie e dalle ingiustizie: almeno seicento passi evocano guerre e uccisioni e oltre mille descrivono l’ira divina giudicatrice sul male perpetrato dall’umanità”.
Dunque è qui che si dovrebbe rimarcare il ruolo del cristiano, costruttore di pace.
Ma chi porta l’unica pace è Dio. “È significativo registrare un dato biblico costante – si legge nelle beatitudini raccontate dal cardinale - il nome simbolico di Dio, del Messia e di Cristo è proprio “pace”, per cui si intuisce che questa realtà è per eccellenza dono divino, essendo qualità personale di Dio, che la irradia sull’umanità. Anche il Messia ha come titolo ”Principe della pace” (Isaia 9, 5) ed è per questo, come si diceva, che il suo avvento vede la nascita di un mondo pacificato e armonico”.
Infine Gesù che riconcilia tutti alla pace morendo sulla croce e facendosi suoi figli: “Poi c’è il passaggio al Nuovo Testamento e alla via susseguente alla proclamazione di Cristo come “Figlio di Dio”. “Infatti - commenta Ravasi - è per opera sua che anche i cristiani possono diventare figli adottivi di Dio, come sottolinea san Paolo e come vedremo subito, ricorrendo proprio al titolo giuridico dell’ “hyiothesía”, cioè dell’adozione. Nel Figlio diveniamo anche noi figli, sia pure a un livello diverso. È per questo che san Giovanni usa due diversi vocaboli greci per indicare il Figlio per eccellenza, Cristo, che è l’ ”hyiós unigenito”, e i figli che siamo noi, i tékna”.
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