Ginevra, 03 June, 2016 / 3:00 PM
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro compie 100 anni. E la Santa Sede si prepara a celebrare l’anniversario esprimendo la “forte preoccupazione” per la mancanza di lavoro, specialmente tra le giovani generazioni. Il tutto in un discorso dell’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra, alla 105esima sessione della Conferenza Internazionale del Lavoro il 2 giugno.
“Sentiamo oggi il senso di urgenza alla pari con un senso di responsabilità”, ha detto l’arcivescovo Jurkovic. Perché – ha aggiunto – “le informazioni contenuti nei rapporti e nelle analisi dell’organizzazione riguardo l’incapacità di creare un numero sufficiente di lavori dignitosi e stabili è causa di seria preoccupazione”.
L’arcivescovo Jurkovic segnala come “obiettivo finale della Comunità internazionale” quello di essere “un centro di recupero basato su una sostanziale creazione di lavoro” con riferimento al principio di sussidiarietà che “permette ad ogni individuo e ad ogni affare di essere protagonista dello sviluppo della società nella sua interezza”.
Per far questo c’è bisogno di “nuovi, più inclusivi ed equi, modelli economici, che non puntino a servire i pochi, ma a dare beneficio alle persone ordinarie e alla società”. Si dovrebbe – insomma – “passare da una economia basata sul profitto, che trae vantaggio dalla speculazione e dal prestito a interesse, ad una economia sociale che investe nelle persone creando lavori e fornendo istruzione”.
Il problema è globale e non riguarda solamente la creazione di posti di lavoro, ma anche il modo in cui le nuove tecnologie “alterano il mercato del lavoro” con i loro servizi, e anche la questione ambientale. La cosa interessante è che la Santa Sede ha sempre mostrato le stesse preoccupazioni, e lo dimostra, l’arcivescovo Jurkovic, citando fino alla Rerum Novarum, l’enciclica sociale di Leone XIII che diede il via alla Dottrina Sociale della Chiesa, i cui temi si sono sviluppati e arricchiti nel corso del tempo – e in particolare, l’Osservatore fa riferimento alla Deus Caritas Est di Benedetto XVI e alla Laudato Si di Papa Francesco. Tutte fanno riferimento alla dignità umana come criterio ineludibile per il mondo economico-sociale.
Il punto – per la Santa Sede – è che creare un nuovo modello economico ci vuole una propsettiva più umana, mentre “la crisi economico-finanziaria mondiale ha mostrato” quanto grave è la “deficienza della prospettiva” che “riduce l’uomo semplicemente a qualcuno dei suoi bisogni, ovvero, ai suoi consumi”. E ancora peggio – aggiunge – “gli esseri umani stessi sono tuttora considerati come beni di consumo, che possono essere usati e rigettati”.
La globalizzazione ha allargato i mercati, e così la catena alimentare è gestita a livello internazionale, tanto che “è impossibile identificare una singola origine nazionale di un prodotto finito”. Le produzioni a ridosso dei confini, così come gli investimenti, il commercio e l’occupazione sono cambiate moltissimo: la catene di produzione alimentare globale hanno giocato un ruolo importante nella crescita economica del settore.
Eppure, sia i salari che il tempo di lavoro “sono sempre considerati come un atto di compravendita tra il compratore e il fornitore”, riflettendo spesso che le differenti posizioni dei due partner, perché coloro che acquistano possono cambiare facilmente fornitore. E così “i salari sono variabili che si possono aggiustare al termine della catena di produzione” .
Nel ragionamento della Santa Sede, rientra anche il tema del cambiamento climatico, perché anche questo incide sul mondo del lavoro. Il cambiamento climatico – e la conseguente “crescita di disastri che avvengono all’improvisso o lentamente” – pongono “sfide grandi ai governi delle nazioni in via di sviluppo e delle nazioni sviluppate”, e alcune di queste sfide riguardano proprio infrastrutture che sappiano reggere ai cambiamenti climatici (cosiddette clima-resilienti). “Gli effetti del cambiamento climatico – afferma l’arcivescovo Jurkovic – stanno avendo impatti negativi sugli sviluppi sociali ed economici in generale e sulle imprese e i lavoratori in particolare”, perché “mettono in crisi gli affari, distruggono i posti di lavoro e minano le opportunità di profitto”.
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