Città del Vaticano , 24 April, 2015 / 11:42 AM
15 gennaio 1919, padre François-Marie Dominique Berré, superiore della missione domenicana a Mosul in Iraq, prende carta e penna e manda un resoconto a “monsieur le ministre”, probabilmente in Europa. E dall’Europa chiedevano informazioni sui fatti di Mardin, una cittadina armena dove vivevano poco più di diciassettemila cristiani su una popolazione di 42 mila persone. E’ solo una delle tante storie del martirio armeno che tra il 1915 e il 1919 ha devastato una intera popolazione. In un articolo su Avvenire il Prefetto di Propaganda Fide il cardinale Ferdinando Filoni, rilegge le pagine più significative del resoconto di Padre Berré conservate nel Fondo della Nunziatura apostolica in Iraq ora nell’ archivio segreto vaticano.
Un breve passaggio riporta le cifre, ma pone anche le domande per le quali ancora la storiografia non ha trovato tutte le risposte. Anche per questo sulla parola “genocidio” gli animi si scaldano.
Nel 1919 François-Marie Dominique Berré scrisse nel suo resoconto che i turchi “il momento di liberare la Turchia dai suoi nemici interni, che sono i cristiani”. Massacri erano già avvenuti tra la indifferenza delle nazioni europee tra il 1894 e il 1896. Così Barré racconta della folle mattanza di uomini, donne e bambini, motivata da falsità e delazioni.
Un esempio significativo è quello della Congregazione di San Francesco d’Assisi: la polizia turca la esibì come setta segreta francese a prova del tradimento dei cristiani di Mardin. “Nel 1914 padre Berré- scrive Filoni- era stato deportato da Mosul a Mardin e rinchiuso, insieme ai confratelli Jacques Rhétiré e Hyacinth Simon, nell’arcivescovado sirocattolico. Vi rimase per due anni e per tale ragione i tre furono testimoni di numerosi eventi ed in particolare dei massacri di Mardin orditi contro i cristiani.” Barrè era in missione dal 1884, come superiore durante la guerra fu confinato a Mardin, dovette aspettare la fine della guerra per riavviare la missione e fu Benedetto XV a nominarlo arcivescovo di Baghdad dei Latini, mente Pio XI gli affidò anche l’ufficio di delegato apostolico di Mesopotamia, Kurdistan e Armenia Minore.
Nel 1914 le cifre che Berré riporta sono dettagliate: 18mila caldei, 2.700 siro-cattolici, 100mila siro-ortodossi, 7mila armeni. Non sa bene quanti siano i morti dei villaggi vicini, ma alla fine commenta: “la cifra di un milione di morti, riportata da numerose pubblicazioni, non è esagerata.”
A questo punto cominciano le domande. Si certo esisteva un Comitato rivoluzionario armeno che cercava l’autonomia a livello internazionale e che il motivo scatenante delle uccisioni del 1895/96 ma perché considerare colpevoli tutti gli armeni? E i cattolici che non facevano parte dei comitati? Il primo ad essere colpito era stato proprio l’arcivescovo Malayan di Mardin, che non aveva nulla a che fare con gli indipendentisti. “Berré - scrive il prefetto Filoni riassumendo i documenti - commenta: le autorità ottomane conoscevano perfettamente ciò, sapevano chi erano i rivoltosi. Allora, perché non li hanno condotti in tribunale? E quando questo è accaduto, perché li hanno liberati? La ragione – scrive Berré – fu addotta dal generale Djebar Pacha, governatore del distretto di Van, ossia, «che si sarebbe gridato in Europa se li avessimo detenuti»; così si creò il pretesto
per sterminare tutta la nazione armena. Si domanda ancora Berré: perché prendersela con donne e bambini? Perché si sono andati a cercare i cristiani lontano dalle zone di guerra, come Urfa, Mardin, Séert, Djézireh?” La conclusione del rapporto di Padre Berré è che i responsabili dei massacri sono il governo ottomano e il comitato “Unione e progresso”; ma anche i germanici, il cui governo fu almeno complice.
“Il futuro arcivescovo di Baghdad- conclude il cardinale- in conclusione, si augurava che la coscienza delle nazioni civili potesse un giorno mettere in funzione delle commissioni d’inchiesta per rendere giustizia alle innumerevoli vittime.”
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