Ginevra, 17 May, 2016 / 9:00 AM
Non solo “ospedali da campo”. Caritas Internationalis presenta al Forum Umanitario Mondiale la richiesta per progetti più a lungo termine in campo umanitario, insieme alla rivendicazione dell’importanza delle cosiddette “Faith-Based Organization”, vale a dire le organizzazioni di ispirazione religiosa, che conoscono problemi e situazioni specifiche del territorio, creano comunità, aiutano a superare i conflitti.
Il Forum Umanitario Mondiale è organizzato dalle Nazioni Unite, ed è il primo del tema a così vasto raggio. Si tiene il 23 e 24 maggio a Istanbul, e vede la partecipazione non solo degli Stati che aderiscono alle Nazioni Unite, ma anche della società civile, dei cosiddetti corpi intermedi, e ovviamente della Santa Sede sia come osservatore diplomatico sia attraverso le tante organizzazioni cattoliche che si battono sul territorio per risolvere le crisi umanitarie. Un impegno spesso nascosto.
E in questo impegno nascosto, c’è quello di Caritas Internationalis, la confederazione di 165 “sigle” umanitarie cattoliche che hanno il mandato morale di rispondere a bisogni umanitari senza distinzione di razza, credo o religione. Un impegno a 360 gradi che viene portato al Summit di Istanbul con la speranza di avere un impatto Una speranza condivisa da Papa Francesco, che più volte – a partire dal discorso di inizio anno agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede – ha fatto riferimento al World Humanitarian Summit nei suoi discorsi.
Il documento che Caritas Internationalis ha inviato in preparazione al Summit risponde a tre temi in particolare: l’efficacia della risposta umanitaria, la riduzione della vulnerabilità e i rischi di gestione delle risorse; e il servizio ai bisogni delle persone che sono in conflitto.
Caritas ricorda che le organizzazioni locali sanno rispondere ai bisogni delle persone, ne conoscono i bisogni, praticano una “solidarietà” che sa “applicarsi al contesto locale”, nonostante abbiano significative limitazioni finanziarie perché “vengono spesso bypassate dall’arrivo di organizzazioni internazionali, e per questo messi ai margini nella capacità di accedere ai fondi” e diventano solo “fornitori di servizi per le organizzazioni internazionali”.
Caritas Internationalis chiede invece una maggiore cooperazione proprio con le organizzazioni locali, basandosi sulla sua esperienza, che è poi una esperienza di sussidiarietà: ci si affida, e si affiancano, le Caritas locali nel rispondere alle crisi. Per quanto riguarda la questione dei fondi, sono stati stabiliti dei Management Standards dal 2014, e in questo modo tutti i membri dell’organizzazione si trovano sullo stesso livello di cooperazione, e possono darsi una mano l’un l’altro.
Ma serve soprattutto pianificazione. Caritas Internationalis nota che la comunità umanitaria non riesce a rispondere “ai primi segnali di crisi potenziali”, e che ha piuttosto una “prospettiva a breve termine” che “salva vite, senza ombra di dubbio”, ma che dovrebbe essere accompagnata da una strategia a lungo termine.
Per questo, Caritas Internationalis chiede ai donatori di attivarsi subito, anche prima, quando i disastri sono in previsione, e chiede alle nazioni del mondo di prendere l’iniziativa, con un programmi a lungo termine di riduzione dei rischi.
Infine, Caritas Internationalis plaude al ruolo delle Organizzazione di fede, che “hanno una profonda comprensione delle attitudini e delle pratiche della popolazione locale”, guardano tutto da un punto di vista olistico (cioè, complessivo) e i leader religiosi ricevono un generale rispetto che permette loro “di influenzare positivamente le prospettive e motivare il comportamento degli attori locali attraverso le loro funzioni religiose”. Per questo, la speranza di Caritas Internationalis è che venga riaffermato il ruolo delle organizzazioni di ispirazione religiosa durante il summit di Istanbul. Un passo importante per mostrare come le religioni, in fondo, possono essere la soluzione dei problemi, e non il problema, come spesso viene detto.
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