Roma, 19 April, 2016 / 9:00 AM
“La politica ha come scopo il perseguimento del bene comune, categoria che mai deve essere svuotata fino a diventare un puro nominalismo; né deve essere piegata a letture di tipo ideologico”.Lo ha ribadito ieri a Roma il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Cei, nel suo intervento agli Stati Generali dell’Esecuzione Penale.
Per questo – ha spiegato il porporato - “è necessaria un’autorità politica capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso l’individuazione del bene comune, ma non in forma meccanica o dispotica, bensì innanzitutto come forza morale alla luce della libertà e della coscienza del compito ricevuto. In tale prospettiva, la Chiesa da sempre stima degna di considerazione l’azione di quanti si dedicano al bene della cosa pubblica in tutti i suoi aspetti, e assumono il peso delle relative responsabilità”.
Nell'insieme del bene comune rientrano diversi valori tra i quali anche “l’ordine e la sicurezza sociale” che “richiedono un ordinamento, strumenti e strutture coerenti, al fine di assicurare anche pene adeguate, che siano in grado di ristabilire l’ordine personale e sociale ferito, che abbiano una funzione deterrente, e nello stesso tempo tendano al riscatto umano del colpevole. La pena, pertanto, deve sempre avere una intenzionalità non solo preveniente e compensativa, ma anche medicinale affinché nessuno sia abbandonato ai bordi della strada e la comunità civile svolga il proprio ruolo verso tutti. E’ da sottolineare che, in una società intesa come rete di relazioni, non esiste un atto criminoso che resti isolato: anche quello che colpisce una singola persona ha sempre una ricaduta generale”.
“Senza giustizia – ricorda l'Arcivescovo di Genova - è impossibile perseguire il bene comune e quindi una società ordinata e vivibile. L’uomo giusto è colui che vive nella verità: vive di fronte alla verità, la riconosce, si inchina a lei, e quindi cerca di viverla mettendola in atto con comportamenti adeguati. Il legislatore anche con leggi coerenti. Lo Stato con un ordinamento rispettoso. Riconoscere a ciascuno il suo non può significare la codificazione di desideri, pulsioni, preferenze, gusti dei singoli soggetti individuali o associati, ma il riconoscimento di ciò che compete ad ogni soggetto in quanto tale, nelle istanze di fondo comuni agli altri, istanze che, pur essendo comuni perché ineriscono alla natura o verità delle cose non omologano tutto e tutti, ma sono in grado di tradursi con discernimento e equità”.
Nonostante la cronaca quotidiana riporti “ombre sui nostri giorni”, nonostante “possiamo essere indotti a vedere solo oscurità e a perdere la fiducia” dobbiamo “reagire, poiché, se da una parte non possiamo chiudere gli occhi sul buio, dall’altra non possiamo chiuderli sulla luce. E la luce – come la foresta che cresce – non fa rumore, non urla, paradossalmente questo tipo di luce a volte si vede poco! Si tratta – aggiunge il porporato – della luce del bene, della vita nella verità, e quindi dell’agire morale. Sotto la superficie spumeggiante che fa emergere il peggio, sta la vita che brulica, il bene nascosto, l’onestà a tutta prova, il gusto di andare a testa alta non per alterigia ma per onestà nel lavoro, nella famiglia, nel sentirsi parte di una storia, di una fede, di una cultura, di un popolo con gioia, senza alterigia e senza complessi”.
In che modo – si chiede il Cardinale Angelo Bagnasco - “possiamo reagire alla realtà della violenza, del sopruso, del colpevole disinteresse, del raggiro?”. “Certamente le leggi e le pene – sostiene il Presidente della Cei – sono una risposta doverosa” tuttavia bisogna ragionare anche a livello di coscienza personale, “nucleo intimo di ciascuno è stato il punto di forza per ogni riforma, lo scatto per pensare il futuro. Non sempre è stata la coscienza collettiva una coscienza sana – l’albero si vede dai frutti – ma molto più spesso questo spazio segreto ha determinato cambiamenti epocali”.
Di fronte a tutto questo – conclude Bagnasco - “bisogna ritornare alle verità semplici e note, a quei valori genuini che soprattutto i giovani desiderano. Bisogna far brillare ideali alti, veri e belli, per cui vale la pena di lottare e soffrire: occorre riscoprire l’alfabeto dell’umano che si vuole stravolgere sulla spinta di colonizzazioni che vengono da lontano. Ma non dobbiamo dimenticare né sottovalutare la forza della coscienza: essa può essere corrotta da una cultura diffusa e menzognera, ma non può rimanere corrotta per sempre: si autorigenera, all’improvviso si risveglia, fino a diventare un detonatore. Ogni piccolo gesto nella verità trascende chi lo compie e fa luce attorno a sé: contesta il mondo della menzogna e, anche se non ha risonanza, pur tuttavia ha un potenziale di contagio. Alla sua radice vi è qualcosa di vivo e indistruttibile: il desiderio di bene e il bisogno di verità”.
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