Chicago, 18 April, 2015 / 8:35 AM
E’ morto in un letto, come aveva previsto, mangiato da un cancro che lo ha portato via a soli 78 anni. Ma la profezia del Cardinal Francis George, il primo arcivescovo di Chicago effettivamente originario di Chicago, andava anche oltre. E forse deve un po’ tremare il suo successore Blaise Cupich, che secondo molti è stato inviato a Chicago per impersonare una linea pastorale completamente opposta a quella del Cardinal George. Perché, se la profezia del cardinale dovesse avverarsi, il successore di George dovrebbe morire in prigione. E quello dopo ancora martire in una piazza pubblica. Ma per quello dopo ancora, le cose sarebbero state migliori.
Non era una visione pessimista, quello del Cardinal George. Ma era una visione profondamente radicata nella verità. “La Chiesa non è questione di destra o sinistra, ma di vero o falso,” disse senza mezzi termini in una delle sue ultime interviste, lo scorso novembre. Promotore dell’idea di nuova evangelizzazione, protagonista nei dialoghi interfede, il Cardinal George era un uomo che viveva la Chiesa. E che, nonostante tutto, aveva fiducia nella Chiesa.
Lo aveva dimostrato in quella profezia che l’ha reso celebre. Parole dette a braccio, rispondendo alle domande di un gruppo di sacerdoti, ma che proprio da qualcuno di quei sacerdoti furono registrate e trascritte. “Io mi aspettavo di morire in un letto, ma il mio successore morirà in prigione e il suo successore morirà martire in una piazza pubblica.” Lui stesso ha poi aggiunto, dal suo spazio internet, una frase che era stata omessa, che invece è fondamentale per capirne il pensiero. Perché il successore del vescovo martire – disse George – “raccoglierà i resti di una società in rovina e lentamente aiuterà a ricostruire la civiltà, come la Chiesa ha fatto tante volte lungo la storia.”
In questo, era simile a Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI. Perché la fiducia nella Chiesa li veniva dalla consapevolezza culturale, e dalla conoscenza della storia. La Chiesa si sarebbe rialzata. Con il suo nome, Benedetto XVI aveva indicato la strada: quella del ‘quaerere Deum’, cercare Dio, andando nei conventi come San Benedetto, e da lì ricostruire una nuova civiltà. E la ricerca di Dio, la volontà di costruire civiltà a partire dalla periferia di chi comprende e non viene mai capito, è stata la cifra del Cardinal Francis George.
Non a caso è stato chiamato “il Ratzinger americano.” Molte battaglie sono le stesse: l’attaccamento al concetto di verità, che lo ha portato a battagliare con l’amministrazione Obama su temi come la contraccezione e l’aborto; la lotta agli abusi, caratterizzata dalla tolleranza zero; la volontà di sviluppare un dialogo tra le fedi.
Nato nel 1937 a Chicago, fu rifiutato dal seminario di Chicago a causa di una poliomielite che aveva contratto a 13 anni, e così decise di entrare negli Oblati Missionari di Maria Immacolata, dei quali poi diventò vicario generale – incarico grazie al quale visse a Roma per 12 anni.
Non è banale. La permanenza a Roma è fondamentale per comprendere come gli organi centrali della Chiesa funzionano e quale è la loro importanza. E il Cardinal George era perfettamente consapevole di questo. In una delle sue ultime interviste, data in occasione della sua uscita dalla diocesi di Chicago a Novembre 2014, sottolineò ad esempio l’importanza dell’Istituto delle Opere di Religione, la cosiddetta ‘banca vaticana’, proprio in virtù dell’aiuto che questo dava alle missioni.
Il Cardinal George aveva 53 anni quando fu ordinato vescovo di Yakima, una nomina a sorpresa, dato che era stato per tanti anni lontano dalla sua patria. Rimase lì 5 anni e mezzo, aiutò i lavoratori messicani e organizzare un sindacato, e fu nominato membro del Sinodo per la Vita Consacrata, che si tenne nel 1994.
Nel 1996, il Cardinal George diventò arcivescovo di Portland, in Oregon. Ci rimase solo un anno. Nel 1997, venne nominato arcivescovo della sua città, Chicago. Raccolse la difficile eredità del Cardinal Joseph Bernardin, popolarissimo per la sua attività sui temi della giustizia e del disarmo.
Il Cardinal George improntò il suo ministero sulla questione dell’identità. Puntò ad una liturgia più centrata sull’Eucarestia, più sobria, e fu membro di Vox Clara, una commissione vaticana che supervisionava una nuova traduzione inglese della Messa.
Dal 2007 al 2010, è stato presidente della Conferenza Episcopale dei Vescovi USA; e si è distinto per la sua battaglia all’amministrazione Obama sui temi della riforma sanitaria. Una battaglia per la quale il Cardinal George è stato attaccato fino alla fine, giudicato colpevole di aver portato la Chiesa su un crinale di poco dialogo e troppa battaglia.
Ma lui non si scompose. A novembre 2014, sottolineò che “tutto quello che i vescovi hanno detto è diventato realtà. Abbiamo detto che i cambiamenti sarebbero stati usati come veicoli per inviare denaro federale verso il finanziamento diretto dell’aborto, e lo sono stati.”
Quell’intervista resta comunque un modo straordinario di comprendere i problemi della Chiesa di oggi. Il Cardinal George si chiese se Papa Francesco si rendeva conto che a volte le sue parole “avessero creato l’impressione che la dottrina cattolica può essere cambiata.” Sottolineò che le parole del Papa “chi sono io per giudicare” erano state mistificate “dato che il Papa stava parlando di qualcuno che ha già chiesto perdono e ha avuto l’assoluzione.” E questo è “completamente differente dal parlare a qualcuno che chiede di essere accettato piuttosto che chiedere perdono,” disse.
E poi spiegò che la Chiesa aveva a che fare con la verità, non con questioni di fazioni. “La dicotomia conservatore/progressista è distruttiva per la missione della Chiesa e per la sua vita.”
Parole che suonano come un testamento per il Cardinale americano innamorato della verità, che non voleva essere un profeta. Le sue parole sui suoi successori erano intese – spiegò – come una consolazione per quei sacerdoti che gli chiedevano come reagire alla montante secolarizzazione. Ma quella speranza finale consegnava l’immagine della Chiesa costruttrice di civiltà. Una Chiesa di cui spesso ci si dimentica.
Papa Francesco in un telegramma inviato all’attuale arcivescovo di Chicago, mons. Blase Cupich, ha ricordato con “gratitudine” la testimonianza di vita consacrata del cardinale George come Oblato di Maria Immacolata, il suo servizio all’apostolato educativo della Chiesa e i suoi anni di ministero episcopale nelle Chiese di Yakima, Portland e Chicago”.
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