Città del Vaticano , 24 March, 2016 / 5:36 PM
Sono più di mille sul piazzale davanti al casermone grigio. Rifugiati, volontari, operatori, tutti insieme per la messa in Coena Domini che apre il Triduo Pasquale. E a celebrare la messa è il Papa. Un “gesto di misericordia” e una abitudine per il Papa che ogni Giovedì Santo andava in un luogo di emarginazione a Buenos Aires. Con il Papa il sostituto alla Segreteria di Stato Becciu, e Fisichella, presidente del pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione e segretari del Papa.
Volti attenti e commossi ascoltano le parole del Papa nella breve omelia. Due gesti che vengono dalla lettura della Parola di Dio. Perché, dice il Papa, contano i gesti più che le parole.
“Gesù che serve e lava i piedi, lui che era il capo lava i piedi ai sui ai più piccoli. Un gesto e il secondo gesto, Giuda che va dai nemici di Gesù, quelli che non vogliono la pace con Gesù a prendere del denaro con il quale lo ha tradito le 30 monete.
Ci sono anche oggi due gesti. Questo di tutti noi insieme musulmani indù cattolici copti evangelici ma fratelli figli dello stesso Dio che voglio vivere in pace...
Un gesto. E poi tre giorni fa un gesto di guerra di distruzione in una città dell’Europa, gente che non vuol vivere in pace...Ma dietro a qual gesto, come dietro a Giuda, c’erano quello che hanno dato il denaro...e dietro quel gesto ci sono i trafficanti delle armi che vogliono il sangue non la pace che vogliono la guerra non la fratellanza...
Noi tutti insieme, diverse religioni e cultura ma fratelli e là, poveretti quelli che comprano le armi per distruggere la fratellanza...
Oggi in questo momento quando io farò lo stesso gesto di Gesù di lavare i piedi...
Tutti noi stiamo facendo il gesto della fratellanza e tutti noi diciamo siamo diversi siamo differenti ma siamo fratelli e vogliamo vivere in pace...
E questo è il gesto che io faccio con voi ognuno di noi ha una storia addosso...
Tante croci, tanti dolori, ma anche un cuore aperto che vuole la fratellanza ognuno nella sua lingua religiosa preghi il signore perché questa fratellanza si contagi nel mondo perché non ci siamo le 30 monete per uccidere il fratello, ma ci sia sempre la fratellanza e la bontà”.
Su dodici sgabelli di legno tre mussulmani, un indù, tre donne cristiane copte e cinque cattolici, quattro maschi e una femmina. Le loro storie sono di dolore fisico e psichico. Sira ha 37 anni, è musulmano proviene dal Mali, è arrivato da meno di due anni dopo essere passato per il Niger e la Libia. Mohamed è arrivato due mesi fa, è nato in Siria, terra dalla quale è scappato varcando i confini della Libia fino ad approdare a Lampedusa lo scorso 11 gennaio. Khurram, compirà 26 anni l’1 giugno, ed è originario del Pakistan. Kunal di 29 anni, ha seguito le stesse tappe di Khurram ma ha iniziato il suo viaggio dall’India. Tre donne eritree hanno compiuto un tragico percorso dall’ Etiopia, al Sudan, alla Libia fino in Italia. Luchia, è arrivata il 7 ottobre dello scorso anno, Kbra, 23 anni il primo aprile, è approdata sulle coste dell’isola il 5 novembre e l’appena ventenne Lucia il 4 dicembre. Cinque fedeli sono cattolici. L’unica donna cattolica è Angela Ferri, 30 anni, proveniente da Stigliano, è una operatrice. Gli altri cattolici sono quattro giovani nigeriani, due fratelli sono Shadrach Osahon ed Endurance rispettivamente di 26 e 21 anni. E poi c’è Miminu Bright che compirà 27 anni il prossimo 15 giugno e il ventiduenne Osma, già laureato in fisica.
“Il Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo” ospita, in totale, 892 persone di cui 554 di religione mussulmana, 337 cristiana e 2 hindù. Il Papa incontra anche tre famiglie di profughi: Amin, originaria della Palestina, Haron e Mesfun che arrivano dall’Eritrea. La famiglia degli Amin è composta dalla bisnonna Taqia, che nel lontano 1948 si era rifugiata in Iraq e poi nel 2012 in Siria, dal figlio Hassan che è sposato con Sawsan con cui ha avuto una figlia, Tahani. Tahani a sua volta si è sposata con Dardir con il quale ha avuto due figli di otto e sei anni, Roshdi e Mohammad. Infine, la bisnonna Taqia ha anche un altro nipote di nome Hani. E ci sono gli eritrei Mesfun, una mamma e una figlia: Merhawit, il cui significato in italiano è libertà. Madre e figlia, infatti, sono state protagoniste, nell’ottobre passato, di un altro viaggio pericoloso e difficoltoso. Luchia ha affrontato la traversata proprio nei giorni del parto: arrivata in Italia il 7 ottobre, il 9 ha dato alla luce a Grosseto Merhawit. Dalla Toscana poi l’ennesimo trasferimento al Centro dove sono state accolte il 12 dicembre 2015. Ora si sono integrate e partecipano attivamente alla vita del C.A.R.A come per esempio alla giornata del Migrante, lo scorso 17 gennaio, quando sono anche passate attraverso la Porta Santa.
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