Ariccia, 10 March, 2016 / 11:09 AM
Vedere, fermarsi, toccare. Sono i tre verbi della compassione secondo P. Ermes Ronchi che ha offerto al Papa e alla Curia Romana la settima ed ottava meditazione nel corso degli Esercizi Spirituali di Quaresima.
“Vedere: il samaritano - ha spiegato il religioso secondo quanto diffuso dalla Radio Vaticana - vide ed ebbe compassione. Vide le ferite di quell’uomo, e si sentì ferire. La fame ha un perché, i migranti hanno dietro montagne di perché, i tumori della terra dei fuochi hanno un perché. Interrogarsi sulle cause è da discepoli. Essere presenza là dove si piange e poi cercare insieme come giungere alle radici del male e strapparle”.
“La vera differenza - ha aggiunto P. Ronchi - non è tra cristiani, musulmani o ebrei, la vera differenza non è tra chi crede o chi dice di non credere. La vera differenza è tra chi si ferma e chi non si ferma davanti alle ferite, tra chi si ferma e chi tira dritto. Se io ho passato un’ora soltanto ad addossarmi il dolore di una persona, lo conosco di più, sono più sapiente di chi ha letto tutti i libri. Sono sapiente della vita”.
Infine la concretezza del toccare. “Lo sguardo senza cuore - ha concluso il Padre Servita - produce buio, e poi innesca un’operazione ancor più devastante: rischia di trasformare gli invisibili in colpevoli, di trasformare le vittime – i profughi, i migranti, i poveri – in colpevoli e in causa di problemi. E se vedo, mi fermo e tocco. Se asciugo una lacrima, io lo so, non cambio il mondo, non cambio le strutture dell’iniquità, ma ho inoculato l’idea che la fame non è invincibile, che le lacrime degli altri hanno dei diritti su ciascuno e su di me, che io non abbandono alla deriva chi ha bisogno, che tu non sei gettato via, che la condivisione è la forma più propria dell’umano. Perché la misericordia è tutto ciò che è essenziale alla vita dell'uomo. La misericordia è un fatto di grembo e di mani. E Dio perdona così: non con un documento, con le mani, un tocco, una carezza”.
Nella meditazione di ieri sera, invece, P. Ronchi si era concentrato sul tema del perdono.
“Il Signore - aveva ammonito - non sopporta ipocriti, quelli dalle maschere, dal cuore doppio, i commedianti della fede e non sopporta accusatori e giudici. E’ la cura dei fragili, è la cura degli ultimi, dei portatori di handicap e l’attenzione alle pietre scartate che indica il grado di civiltà di un popolo, non le gesta dei forti e dei potenti”.
Gesù sconvolge perché con la croce dimostra che Dio non è “giudice e punitore” ma “un Dio nudo, in croce, che perdona, sarà il gesto sconvolgente e necessario per disinnescare la miccia delle infinite bombe sulle quali è seduta l’umanità. Non il Dio onnipotente, ma l’Abbà onni-amante. Non più il dito puntato, ma quello che scrive sulla pietra del cuore: io ti amo”. In definitiva - ha spiegato ancora P. Ronchi - il Signore perdona “non come uno smemorato, ma come un liberatore” e con la sua grazia rimette “in cammino una vita”.
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