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I documenti di Papa Pio XI e San Paolo VI su San Francesco di Sales

San Francesco di Sales



San Francesco di Sales, patrono di scrittori e giornalisti che narrano la Chiesa, il Vangelo. Patrono della Comunicazione cattolica, in estrema sintesi. Tanti, infatti, sono i mezzi con i quali - da tempo - il Messaggio “viaggia” per arrivare al cuore della gente. Una figura, quella del Santo Vescovo di Ginevra, che ha affascinato diversi Pontefici che, in una maniera o in un’altra, hanno dedicato a lui parole e documenti. 

 

Due, soprattutto, sono i Pontefici che hanno scritto riguardo questa importante figura: il primo, Papa Pio XI che il 26 gennaio 1923, “anno primo del Nostro Pontificato” (suo, pontificato) dedicò una Lettera Enciclica dal titolo Omnium perturbationem inviata ai “venerabili fratelli patriarchi, primati, Arcivescovi, Vescovi ed altri ordini locali che hanno pace e comunione con la Sede Apostolica”. Questa Lettera Enciclica rimane fondamentale per comprendere come si sia arrivato a proclamare San Francesco di Sales patrono di “tutti quei cattolici, che con la pubblicazione o di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la cristiana dottrina”, così recita il testo pontificio. 

 

Il ritratto che ne esce fuori è bene ricordarlo: “Fin dai primi anni, egli fu modello da una santità non austera e cupa, ma amabile e accessibile a tutti, potendosi con tutta verità dire di lui: La sua conversazione non ha nulla di amarezza, né il convivere con lui dà tedio, ma letizia e gioia. Adorno di ogni virtù, brillava tuttavia per una dolcezza di animo così propria da poterla rettamente dire la sua virtù caratteristica; dolcezza però ben diversa da quell’amabilità artefatta che consiste tutta nella ricercatezza dei modi e nello sfoggio di un’affabilità cerimoniosa, e affatto aliena sia dall’apatìa, che di nulla si commuove, sia dalla timidità che non ardisce, anche quando bisogna, indignarsi”. Un ritratto che subito cattura il lettore e lo pone di fronte - catapultato nel secolo del Santo - di fronte alla sua personalità. Poi, il Papa, pone l’accento su alcuni caratteri della sua missione apostolica. Si tratta del suo contrasto con le tesi di Calvino che andavano propagandandosi in quell’epoca: “E così fu solito riprovare con evangelica libertà i vizi pubblici e smascherare l’ipocrisia, simulatrice di virtù e di pietà; e, benché rispettoso, quanto altri mai, verso i sovrani, giammai si piegò a lusingarne le passioni o ad accondiscendere alle loro smodate pretese”. 

 

Troviamo, poi, una critica letteraria dello stile del Santo: “Sempre con stile dignitoso e scorrevole, ma altresì vario per ingegnosa acutezza di pensiero e grazia di dettato, onde più accetti e di più piacevole lettura riescono i suoi insegnamenti, dopo avere esposto come dobbiamo tenerci lontani dalla colpa, combattere le cattive inclinazioni e scansare le cose inutili e le nocive, passa a spiegare quali siano gli esercizi che nutrono lo spirito e quale il modo di tenere unita l’anima con Dio. Dopo di che indica la scelta di una particolare virtù da coltivare di proposito e costantemente, sino ad averla acquisita”. Uno stile che diviene contenuto. La Lettera si concentra sulle due opere maggiori di San Francesco di Sales: “Filotea” e il “Trattato dell’amor di Dio”. Una produzione che Papa Pio XI descrive, nel dettaglio, più avanti del documento pontificio: “Che se talvolta le sue parole sembrano alquanto forti, da esse però spira sempre, come gli stessi avversari ammettevano, quel soffio di carità, che era la virtù regolatrice di ogni sua disputa; giacché anche quando ai figli erranti rinfaccia la loro defezione dalla fede cattolica, si vede chiaramente come egli non ha altra mira che di aprirsi la strada per scongiurare più caldamente di ritornare alla stessa fede”. 

 

Infine, l’esortazione: “Sull’esempio del Sales, adoperatevi a far bene intendere ai fedeli che la santità della vita non è un privilegio di pochi, a esclusione degli altri, ma che ad essa tutti sono chiamati, e che a tutti ne incombe l’obbligo; che l’acquisto delle virtù poi, sebbene non sia senza fatica — la quale trova, nondimeno, anche un meritato compenso nella consolazione dell’anima e nei conforti d’ogni genere che l’accompagnano — pure è reso a tutti possibile con l’aiuto della grazia divina, a nessuno negata”.

 

Altro testo fondamentale, quello di Papa Montini, San Paolo VI: all’indomani del Concilio Vaticano II, la Lettera apostolica Sabaudie gemma (29 gennaio 1967). La Lettera venne scritta in occasione del IV centenario della nascita di San Francesco di Sales. “San Francesco di Sales, gemma della Savoia e della Svizzera, è una grandissima gloria di Annecy, - città rinomata per i suoi monti, per il lago e i suoi dintorni, ma ancor più per i suoi storici monumenti sacri e profani, - poiché il vicino villaggio di Thorens si gloria di avergli dato i natali”, questo l’incipit. Dopo aver citato il precedente scritto di Papa Pio XI, San Paolo VI, fa riferimento proprio al Concilio Vaticano II: “Dalla storia ecclesiastica appare chiaro che i Concili Ecumenici ebbero il loro pieno risultato adeguato alle speranze, quando, durante o dopo la loro celebrazione, santi ecclesiastici e pastori di esimia virtù cercarono di rendersi essi stessi legge viva e parlante e di eseguire le volontà e le deliberazioni dei Concili. Tutti i migliori cristiani oggi desiderano ardentemente che tali uomini, esimii per santità, sorgano a risplendere e a combattere. E forse tra voi sta per apparire l'aurora di questo splendido giorno”. “Splendido giorno”, così lo definisce Papa Montini. 

 

In San Francesco, un lume per la nuova Chiesa uscita dal Concilio: “Noi siamo certi che la verità, gioconda a conoscersi, convincerà tutti, se è studiata. Nessuno più e meglio del Sales, tra i recenti Dottori della Chiesa, ha saputo con il profondo intuito della sua sagacia, prevenire le deliberazioni del Concilio. Egli sarà di aiuto con l'esempio della vita, con l'abbondanza di una dottrina pura e sana, e con il suo sicuro metodo di spiritualità, aperto alla cristiana perfezione di persone di ogni stato e condizione. Tre cose si propongono: imitare, abbracciare, seguire”. Il testo è assai prezioso perché riesce a farci comprendere quali furono le linee guida che Paolo VI voleva evidenziare alla “nuova” Chiesa: “dottrina pura e sana, con il suo sicuro metodo di spiritualità”. 

 

Ma il testo pontificio è anche motore di riflessione sul tema della santità. Montini prende spunto da Sales per parlare al mondo di ogni epoca: “La santità non è prerogativa dell'uno o dell'altro ceto; ma a tutti i cristiani è rivolto il pressante invito: «Amico, sali più in alto»; tutti sono vincolati dall'obbligo di salire il monte di Dio, anche se non tutti per la stessa via”. Cita San Luca e subito dopo lo stesso San Francesco di Sales nella sua Filotea: “La devozione dev'essere esercitata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal cameriere, dal principe, dalla vedova, dalla giovane, dalla sposa. Ancor più, la pratica della devozione deve essere adattata alle forze, agli affari e ai doveri di ognuno. Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente che il Vescovo volesse vivere solitario come un Certosino?”. 

 

Infine, l’esortazione ai giornalisti e scrittori: “Dato agli scrittori e giornalisti cattolici quale efficace Patrono celeste, li richiami con l'esempio, li diriga con l'autorità, affinché, non mai fallaci a motivo di lucro né ingannati da pregiudizi, ma imbevuti dello spirito di Cristo e onesti cultori della verità, compiano il loro dovere per il bene comune, e possano rendersi benemeriti della fede cattolica, della quale sono servitori. Così facendo ottempereranno lodevolmente al Decreto sui mezzi di comunicazione sociale del Concilio Ecumenico Vaticano II, e non tradiranno dolorosamente la speranza e l'attesa in loro riposta”.

Parole di ieri. Che ogni giorno si rinnovano, ad ogni rullo di stampa.

 

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