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Cardinale Vesco: “La Chiesa in Algeria è una Chiesa di servizio”

Il Cardinale Jean-Paul Vesco, arcivescovo di Algeri

Il sogno di una visita di Papa Francesco ad Algeri. La responsabilità di essere cardinale in una terra come l’Algeria, dove i cristiani sono una minoranza. Il principio della diaconia come cardine della Chiesa in Algeria. Il cardinale Jean Paul Vesco, arcivescovo di Algeri dal 2021 e prima ancora vescovo di Oran, la diocesi dei martiri di Tibherine, è tra i nuovi porporati creati da Papa Francesco nel concistoro dello scorso 7 dicembre. Domenicano, ha mantenuto il suo abito anche durante il concistoro in cui è stato creato cardinale. La sua è  stata una vocazione tardiva, è di origine francese, ma ormai algerino e immerso fino in fondo nella realtà algerina.

Cosa significa essere cardinale della Chiesa d’Algeria che ha un’importante tradizione cardinalizia?  

Venire a sapere che sarai stato creato cardinale è stata una sorpresa assolutamente inattesa.  La Chiesa d’Algeria ha una tradizione cardinalizia: il cardinal Duval è stato infatti arcivescovo di Algeri dal 1954 al 1988 e la sua figura evoca ancora qualcosa nella memoria collettiva del popolo algerino. Non oso compararmi a lui. Essere creato cardinale mi ha toccato profondamente perché, nella fiducia che mi è fatta, significa un ulteriore responsabilità nella Chiesa universale.  

Quale è la sua responsabilità? 

La mia responsabilità è innanzitutto di essere sincero con me stesso, nella presa di coscienza che non è vero che non cambia niente. Il termine «creazione» non è scelto a caso: essere creato cardinale è essere una «nuova creazione», permettere la novità di Dio. Non voglio passare accanto a questa opportunità. Dopo tante altre responsabilità, questa creazione potrebbe apparire come la ricompensa dell’atleta a fine corsa, ma la mia corsa non è ancora finita. Allora mi chiedo: che cosa il Signore attende da me? Veramente non so perché il Papa mi abbia creato cardinale, certamente ritiene importante dare una particolare attenzione ad una «Chiesa di periferia». Essere cardinale, poi, ha sicuramente un peso per l’Algeria: in segno di riconoscimento, sono stato ricevuto dal Presidente della Repubblica 

Qual è il carattere della Chiesa di Algeria? Come possiamo spiegare lo spirito della Chiesa? 

È veramente una “Chiesa al servizio”. Non è né inconsistente, né è silenziosa. È una Chiesa composta essenzialmente da stranieri, concentrata in pochi luoghi. La sua vita si gioca su due campi: il campo pastorale e il campo della diaconia, ossia la presenza nella società. Secondo me, lì è una vera testimonianza del Vangelo. Lì infatti, nella società, noi cristiani collaboriamo con le altre confessioni religiose, nel nostro caso con i musulmani algerini, e le nostre organizzazioni si prendono cura di tutti, indistintamente. È parte della nostra vocazione evangelica. Siamo al servizio di tutto il popolo algerino.  

Ma quanto è difficile essere «diaconi» in una società non cristiana, in cui l’intero sistema civile e sociale non è cristiano?  

Non è difficile. Perché il servizio è sempre il servizio! E si traduce in azioni molto simili a quelle che si sono create nelle società tradizionalmente cristiane: dall’attenzione alle persone più vulnerabili o l’educazione dei bambini e dei giovani, alla valorizzazione della donna. Ma tutte queste attività diventano per noi occasione di incontro con «l’altro», di un’altra appartenenza religiosa. 

Lei era vescovo di Orano quando sono stati beatificati i martiri di Tibhirine. Come questo martirio ha contribuito a plasmare e fortificare la Chiesa di Algeria? 

Nel cuore di una guerra civile che ha fatto più di 200 000 morti, la morte dei monaci di Tibhirine è stato uno shock per la popolazione algerina. Oggi però, Tibhirine è un luogo straordinario: il luogo del martirio parla, e ci parla della strada da percorrere. Come i monaci siamo chiamati a vivere la fraternità. Il monastero è oggi un vero polmone spirituale per la nostra Chiesa. 

E quali sono le sfide più grandi che vive la Chiesa? 

La sfida più grande è quella di costruire una Chiesa veramente cattolica, vale a dire una Chiesa dal volto universale. Le nostre assemblee cristiane possono riunire 50 nazionalità differenti e diverse confessioni cristiane! La sfida è proprio quella di essere «cattolici», di rimananere una sola Chiesa di Cristo. 

La seconda sfida è profetica. Secondo l’espressione del beato Pierre Claverie, viviamo “sulla linea di frattura” tra nord e sud, tra mondo arabo-musulmano e mondo occidentale, tra paesi colonizzatori e paesi colonizzati. Come essere un vero segno di fraternità per il mondo intero? 

Avete invitato Papa Francesco in Algeria? 

Sarebbe un sogno per me se decidesse di venire!  

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