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Marco Frisina, grazie a Giovanni Paolo II per la mia vocazione

Oggi voglio ricordare i 70 anni di un sacerdote che deve la sua vocazione a San Giovanni Paolo II, sia quella sacerdotale che quella artistica. Monsignor Marco Frisina ha raccontato il suo ricordo speciale del Papa polacco nella prefazione del mio libro "Giovanni Paolo II, cronaca di un pontificato". Buona lettura!

Ero anche io in Piazza San Pietro quel 16 ottobre del 1978, il giorno dell’elezione di Giovanni Paolo II, appena un mese dopo il mio ingresso al Seminario Romano. Ricordo ancora l’entusiasmo di noi seminaristi alla vista della fumata bianca che si stagliava sul cielo vespertino di Roma. Eravamo tutti incollati al televisore in attesa di questo momento; appena il fumo bianco uscì dal comignolo della Sistina, un gruppo di noi si precipitò fuori correndo per il Lungotevere intasato dal traffico serale. Il Cardinal Felici aveva già annunciato il nome del nuovo Papa: alcuni dicevano che era straniero; altri, data la difficoltà di comprensione della pronuncia del nome, pensavano addirittura fosse cinese. Tutti vivevamo il momento con un entusiasmo bellissimo e percepivamo una ventata nuova dello Spirito capace di dare corpo alle nostre speranze, ai nostri desideri, un dono sorprendente capace di irradiare luce nel periodo cupo e difficile di quegli anni che in seguito sarebbero stati definiti “di piombo”. Ci trovavamo in Piazza, in attesa che il nuovo Pontefice uscisse sulla loggia della Basilica, sospesi tra la curiosità e la gioia, tra lo stupore e l’entusiasmo poiché lo Spirito ci stava meravigliando ancora una volta.

Quel giorno non immaginavo che quell’uomo avrebbe tanto segnato il percorso di gran parte della mia vita sacerdotale. Come giovane seminarista, vidi nel nuovo Papa un modello sacerdotale, un punto di riferimento certo per il mio cammino vocazionale. Ben presto scoprii che il “Papa che veniva da lontano” era anche un poeta, aveva un cuore d’artista, cosa che instaurò immediatamente in me un legame speciale con lui, anche se, di fatto, era ancora una persona sconosciuta e - pensavo - irraggiungibile. Stavo concludendo la mia formazione musicale presso il Conservatorio di S. Cecilia raggiungendo, dopo dieci di anni di studio, quello che era il mio sogno di sempre: divenire un compositore. Nello stesso tempo, iniziavo un cammino spirituale così apparentemente diverso e lontano da quello artistico, ossia divenire prete della Chiesa di Roma. Cercavo, dunque, di coniugare le due cose nel mio cammino vocazionale ed intuii che Giovanni Paolo avrebbe potuto aiutarmi nell’impresa. Lui era poeta e sacerdote, artista e pastore, e ciò significava che le due cose potevano coincidere anche per me, che la musica e la vita pastorale potevano divenire un unico servizio in un sentiero tutto nuovo da percorrere e, anno dopo anno, fu proprio il Papa a farmelo comprendere.

Appena entrato in Seminario fui incaricato dell’animazione musicale liturgica della comunità: dovevo preparare il Coro e organizzare la musica delle Celebrazioni. Fu proprio in una di queste occasioni che incontrai per la prima volta personalmente il Papa partecipando alla celebrazione della S. Messa nella Cappella Paolina per l’inizio dell’anno pastorale del Seminario, in occasione della quale diressi i canti. Fu per me un’emozione grande e tutta nuova: fino a quel momento la musica era per me fatta di studio, di ricerca di un linguaggio con cui poter esprimere il mio mondo e le mie idee; ora mi trovavo a esprimere con la musica la preghiera e la fede della mia comunità, e con noi pregava il Papa! Cominciò allora quella svolta spirituale e artistica che orientò sempre più la mia vita verso un nuovo modo di concepire la musica, ma anche la mia vocazione.

In occasione delle visite annuali che il Vescovo di Roma faceva al suo Seminario, cominciai a comporre canti per Liturgie, ma anche a musicare alcuni testi poetici del Papa stesso da eseguire davanti a lui. Fu allora che si instaurò con Giovanni Paolo II un legame bellissimo fatto di poesia, fede e musica. In Seminario esisteva da anni un’esperienza straordinaria di animazione spirituale, una Scuola di Preghiera per i giovani della Diocesi a cui partecipavano centinaia di ragazzi provenienti dalle Parrocchie romane. Per questi momenti quindicinali scrissi molto, soprattutto musicai Salmi e composi canti a tema vocazionale.  Quando dal 1982 iniziai a comporre ogni anno un Oratorio su figure bibliche o di Santi, mi lasciai ispirare dalle parole del Papa e dalle tematiche che affrontava durante i suoi viaggi o nelle sue encicliche. Fu un appuntamento fisso che divenne tradizione per ben 24 anni, fino al pontificato di Benedetto XVI. Era la festa della Madonna della Fiducia, molto sentita dagli ex alunni del Seminario Romano, la cui celebrazione solenne culminava proprio con la visita del Papa. Per Giovanni Paolo II era un momento di festa e - credo - anche di riposo: aveva l’occasione di incontrare i giovani seminaristi, di rimanere a cena con loro, di vivere un pomeriggio sereno, lontano dai problemi pastorali e dalle tensioni del mondo che in quegli anni si facevano sempre più gravi. Per noi significava far festa con il padre che ci mostrava la via del nostro sacerdozio, che ci apriva gli occhi sul significato dell’evangelizzazione, della carità e della fraternità. Vedevamo il suo entusiasmo e questo ci incoraggiava a fare della nostra vita qualcosa di nuovo e coraggioso per il mondo.

L’attentato avvenne proprio durante uno di quei mercoledì di preghiera con i giovani, pertanto quella sera ci organizzammo in tutta fretta cambiando il tema dell’incontro in una preghiera per il Papa. Quando egli venne in visita al Seminario, nel febbraio successivo, scrissi un Oratorio sull’Annunciazione (era infatti il 25 marzo del 1982). Tra i canti inseriti nella composizione c’era “Non temere”, la cui ultima strofa fa allusione proprio a Pietro: “Pietro, no, non temere se il Signore ha scelto la tua fede povera per convincere il mondo. Apri il cuore, non temere: Egli sarà con te!”. Chiaramente avevo usato queste parole alludendo al momento terribile che Giovanni Paolo II aveva vissuto nei giorni dell’attentato e al fatto che niente avrebbe potuto fermare la sua missione. Alla fine della cena in Seminario, lui mi mandò a chiamare. Ero emozionatissimo e mi disse: “Il Papa non deve temere!”: aveva compreso perfettamente il senso di quello che avevo voluto esprimere in quel canto e me lo voleva dire! Non dimenticherò mai i suoi occhi penetranti mentre pronunciava quelle parole. Tante altre volte mi disse brevi frasi come quella, al termine degli Oratori o delle Liturgie che dirigevo alla sua presenza. Furono sempre parole importanti per me, capaci di indicarmi la via, di farmi scorgere il senso di quello che si stava facendo. A volte erano parole di incoraggiamento; altre volte di affettuosa “presa in giro”, come un padre che scherzando parla con confidenza al figlio. Momenti indimenticabili che hanno segnato per sempre la mia vita di uomo e di prete.

Le grandi celebrazioni, le feste con i giovani, soprattutto le Giornate Mondiali della Gioventù, erano momenti di crescita, di scoperta sempre più chiara di come la musica potesse porsi a servizio dell’evangelizzazione e della preghiera. Compresi sempre più che il Signore desidera raggiungere ogni uomo, rompere ogni muro che impedisce il dialogo, l’amicizia, la fraternità. La musica è uno strumento straordinario per compiere questo prodigio, perché va direttamente al cuore dell’uomo che non ha né colore né nazionalità, non segue ideologie o religioni. Da lì si può accedere all’immagine di Dio impressa nel profondo dell’anima; lì la musica ci tocca e da lì ci muove e ci commuove. Il Papa capiva tutto questo e mi incoraggiava ad andare in questa direzione. Dopo quarant’anni, posso affermare che quella sua intuizione è stata fondamentale per la mia vita. Ricordando tutti gli incontri e le parole di incoraggiamento, i suggerimenti e gli orizzonti che lui mi ha dischiuso con i suoi discorsi e i timori che ha rimosso, ringrazio Dio per avermi aiutato a scoprire il senso della mia vocazione attraverso S. Giovanni Paolo II.

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