Oggi la Chiesa ricorda San Giovanni Paolo II, nel giorno in cui iniziò il suo pontificato nel 1978. Sono tante le diocesi e le parrocchie in tutta Italia che lo ricordano con messe, eventi e celebrazioni.
Gli incontri tra i due Santi nel mirabile Disegno di Dio.
Forse, se non ci fosse stata la relazione stretta tra Ronald Reagan e Giovanni Paolo II, se entrambi non si fossero trovati dalla stessa parte nel lavorare dei fianchi dell’Unione Sovietica, ci sarebbe ancora il Muro di Berlino. E soprattutto, se non ci fosse stata quella straordinaria partnership, forse non ci sarebbero nemmeno le relazioni diplomatiche tra Stati unite e Santa Sede, aperte proprio durante la presidenza Reagan.
Per la prima settimana sociale del Terzo Millennio, svoltasi a Bologna nell'ottobre 2004, Giovanni Paolo II non volle far mancare la sua voce, inviando una lettera al Cardinale Camillo Ruini, allora Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Il tema scelto è quello della democrazia.
Per celebrare i 40 anni dal primo raduno dei giovani in Piazza San Pietro, convocato da San Giovanni Paolo II nell’Anno Santo della Redenzione, il Centro Internazionale Giovanile San Lorenzo con il patrocinio del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, e della Fondazione Giovanni Paolo II per la Gioventù, organizza due giornate dedicate al ricordo e all’attualità di quello che fu il seme delle Giornate Mondiali della Gioventù. Un comunicato stampa spiega di che si tratta.
Una buona notizia arriva dalla gelida Siberia in Russia: un vescovo ha consacrato una chiesa cattolica dedicata a San Giuseppe, che ora ha anche un calice donato da San Giovanni Paolo II. A raccontare questa storia è ACI Prensa.
“Il figlio dell’uomo troverà la fede sulla nostra terra?” È la domanda che fa da sfondo alla Ecclesia in Europa, l’esortazione post-sinodale di San Giovanni Paolo II che concludeva il Sinodo sull’Europa del 1999. Era l’ultimo dei sinodi continentali che volevano preparare al Giubileo del Millennio guardando a speranze ed attese di ciascun continente. Ma era, soprattutto, il secondo Sinodo sul continente europeo in un decennio, dopo il primo nel 1991 che serviva ad analizzare, per la prima volta, la situazione del continente europeo dopo il crollo del Muro di Berlino e l’apertura alla fede di un mondo nuovo, quello degli Stati di là della Cortina di Ferro, dove la fede era stata conservata nonostante l’oppressione, o forse solo per quello.
E dovevano essere gravi perché Stanislaw Grygiel, docente emerito di Antropologia Filosofica e primo Direttore della Cattedra Karol Wojtya, di Giovanni Paolo II era intimo amico fin dalla gioventù.
"Giovanni Paolo II e il cardinale Joseph Ratzinger, ambedue giganti della fede, erano legati da una sincera amicizia e da un profondo desiderio di servire la Chiesa", così ha scritto il cardinale Stanisław Dziwisz in una dichiarazione dopo la morte del Papa emerito.
"La mancata misura punitiva da parte del tribunale ecclesiale non annulla il reato né cancella la colpa" – ha scritto nel 1971 l’allora Cardinale Karol Wojtyła, Arcivescovo Metropolita di Cracovia al rev. Józef Loranc, accusato di abusi sessuali su alcune ragazzine, dopo aver lasciato il carcere. La lettera è stata trovata dai giornalisti di ‘Rzeczpospolita’ Tomasz Krzyżak e Piotr Litka negli archivi dell’Istituto di Memoria Nazionale (IPN). Insieme ad altro materiale a cui hanno avuto accesso – come affermano i giornali nell’edizione odierna – esso getta luce sul modo di comportarsi del futuro Papa con coloro che hanno commesso reati sessuali nel periodo del suo ministero a Cracovia. "Nell’opinione degli specialisti di diritto penale ecclesiastico – si legge – questo comportamento differisce in modo significativo dalla pratica allora comune di indulgenza nei confronti di chi aveva commesso tali reati".
Il modo di Giovanni Paolo II di intendere la collegialità nasce dal Concilio Vaticano II. Giovane vescovo, che durante le sessioni diventa arcivescovo e trova posto meno lontano dalla porta come racconta lui stesso, Wojtyła impara a vedere il mondo come una grande cattedrale. E’ per questo che per il papa polacco visitare le diverse Chiese non significa solo aiutare a puntare i riflettori della stampa sulle realtà sociali, economiche, politiche, a volte molto critiche di un paese. Per il Papa la parte più importante della visita è la preparazione. Ogni comunità locale prende al volo l’occasione della visita per “tirare a lucido” catechesi, liturgia, e pastorale giovanile, del lavoro, della famiglia. Per questo le visite vengono programmate in grande anticipo. In alcuni casi le Chiese locali hanno anche un anno di tempo per svolgere una pastorale mirata. La preparazione di un viaggio richiede molto impegno anche per il Papa. Giovanni Paolo II non solo impara un po’ la lingua del posto per potere celebrare la messa, almeno in parte, in lingua locale ( applicando così la riforma liturgica conciliare), ma prepara dei discorsi totalmente centrati sui temi caldi del momento in quel particolare paese o comunità visitata. Questo gli permette di conoscere a fondo la storia di un popolo, ma anche di ritrovare gli amici del Concilio. Tra i più di 2500 padri sinodali ci sono dei veri testimoni della fede.Vescovi che hanno fatto lo storia. Wojtyła ne ha conosciuti alcuni. E ritrovarli nei suoi viaggi significa vivere di nuovo quella esperienza non solo di “collegialità”, ma di vera comunione, che è stato il Concilio. É lui stesso a ricordarlo, ad una cena con i vescovi della Guinea Konakry nel 1992. Perché al Concilio aveva incontrato un personaggio che ha fatto la storia dalla Chiesa in Africa. Una storia che ha come protagonista il vescovo Raymond-Marie Tchidimbo. Siamo nel 1992, Giovanni Paolo II è per la ottava volta in Africa. Un viaggio che tocca tre paesi: Senegal, Gambia e Guinea Conakry. Ex colonia francese, indipendente dal 1958 la Guinea Conakry ha una situazione politica che oscilla tra dittatura e colpi di stato. Il Papa visita la Chiesa, è invitato dai vescovi. Il programma è intenso, ma il pranzo con l’episcopato è ormai un appuntamento consueto che diventa per il papa polacco l’occasione di aprire il cuore ai ricordi. Non tanto per pensare al passato. Ma per indicare ai vescovi in quella precisa situazione quale sia la strada da seguire. Oltre al ricordo del Concilio come grandiosa esperienza di comunione, c’è nel pensiero del papa anche quel rapporto tra generazioni episcopali e sacerdotali che crea e segna la universalità della Chiesa. Vi devo raccontare come sono arrivato in Guinea Conakry. E’ stato un lungo cammino che è iniziato nel 1962. La prima sessione del Concilio Vaticano II, ero un giovane vescovo. In quell’epoca ero vicario capitolare di Cracovia. Ed ero situato piuttosto alla fine della basilica, vicinissimo della “porta di bronzo”, più facile da cacciare! Allora un giorno un vescovo nero si avvicina e mi dice: “lei è il vescovo di Cracovia?” Io rispondo: “sì!” E lui: “Sono monsignor Tchidimbo sono il vescovo di Conakry. E vi volevo trovare perché una sorella che è a Cracovia mi ha raccontato di voi e mi ha obbligato a trovarvi.” Allora lui è venuto e si è presentato, e il colloquio si è facilitato da quel momento. Io non sapevo molto della Guinea Conakry. Tutta la prima sessione del Concilio, la prima sessione e le sessioni ulteriori sono state una grande rivelazione della Chiesa, dell’episcopato mondiale e soprattutto dell’episcopato africano. Vedendo i vescovi africani come monsignor Tchidimbo o gli altri, si vedeva che non ci sono differenze, è la stessa Chiesa, è la stessa formazione. E quando si tratta di lingue, parlano meglio di noi. Monsignor Tchidimbo parlava francese meglio di me. E se si studia un po’ la sua biografia si capisce bene perché. Così abbiamo passato quattro anni di Concilio incontrandoci più volte. E devo aggiungere che monsignor Tchidimbo come arcivescovo era seduto molto più avanti di me, poi sono avanzato anche io, dopo la nomina ad arcivescovo di Cracovia sono avanzato. Ma ero sempre vicino al mio collega disagiato l’arcivescovo Kominek che dopo é diventato cardinale, il primo arcivescovo polacco di Breslavia, eravamo uno accanto all’altro. Era il Concilio... Dopo il Vaticano II ci siamo incontrati ancora durante i sinodi. Ad esempio nel sinodo del 1969, il sinodo straordinario, e dopo qualche tempo ho saputo la triste e preoccupante notizia: monsignor Tchidimbo era stato arrestato. Sapevo bene che il sistema politico che si era installato dopo la indipendenza qui in Guinea Conakry era un sistema comunista. Comunismo africano. Allora ci siamo trovati sempre ancora più vicini, perché dopo il Concilio siamo tornati a casa. Io sono tornato in Polonia e lui è tornato qui, ma siamo tornati un po’ in situazioni simili. Situazione simili, evidentemente con delle differenze. Differenze specifiche ma in tutti i casi situazioni similari. Io feci allora una po’ di rumore da noi a proposito di monsignor Tchidimbo, che era stato imprigionato dal suo presidente Sékou Touré, un uomo un po’ leggendario. Voi sapete che era un fanatico marxista. Un uomo che non so se si possa dire normale, era straordinario, ma nel senso piuttosto peggiorativo. E con lui monsignor Tchidimbo è dovuto restare come vescovo e poi come testimone di Cristo in prigione. Era un vescovo imprigionato e sappiamo che in quella epoca il numero dei preti cattolici è diminuito a circa nove persone. Sono stati cacciati tutti i missionari europei, e si è cercato di distruggere la Chiesa cattolica. E’ un po’ la stessa lezione che abbiamo conosciuto da noi in Europa in Polonia e nei paesi vicini, in Cecoslovacchia, Ungheria, Ucraina, Lituania. In tutti i casi ci sentivamo molto più fratelli per questo. E io ho camminato con monsignor Tchidimbo ogni giorno. Ho accompagnato la sua via crucis che mi ha portato qui a Conakry. Mi hanno fatto vedere ieri la prigione dove era stato imprigionato. Gli avvenimenti sono passati ed è arrivato il momento che questo vescovo di Cracovia, poi cardinale, è diventato Giovanni Paolo II, è un po’ la Provvidenza che scrive sempre sulle righe storte. E così finalmente, era il 1979, Tchidimbo viene liberato dopo 10 anni di prigionia ed è venuto a visitarmi a Castelgandolfo. E ci siamo rincontrati una domenica di agosto, era stato liberato da pochissimo. Io l’ho riconosciuto, era sempre la stessa persona, lo stesso uomo, un vescovo, ma era differente. Prima lo conoscevo come un uomo molto allegro, gioioso, pieno di umore. Aveva perso tutto, e si vedeva bene che questi dieci anni di prigione pesavano su di lui anche fisicamente. Allora in questi giorni a Conakry sentivo la necessità, l’obbligo di raccontare tutto questo, quale era stato il mio cammino, anzi il nostro cammino per arrivare alla giornata di oggi e di ieri, perché la Guinea Conakry lo merita per molti motivi ed uno di questi motivi è esattamente la sofferenza, questa testimonianza il martirio di questo suo primo arcivescovo africano, monsignor Tchidimbo che ha inaugurato la vita della Chiesa africana in Guinea Conakry. L’ha inaugurata come pastore e come prigioniero. Sono convinto che la Chiesa che è stata costruita da queste sofferenze, è costruita attraverso questa via crucis che voi avete vissuto, questa Chiesa ha un avvenire... Poi una volta si è presentato da me un giovane uomo, un “ragazzo”, e mi ha detto: io sono il nuovo arcivescovo di Conakry. Era l’ultimo sacerdote ordinato da monsignor Tchidimbo. E questo era molto significativo, il legame tra il vescovo martire e prigioniero e il suo giovane successore che era l’ultimo sacerdote che aveva ordinato che ha vissuto ancora qualche anno qui con il dittatore. Ma è passato il tempo della dittatura, è arrivato il tempo della liberazione, è arrivato anche il momento della visita del papa. Ed è bene che questa si faccia tra voi e monsignor Tchidimbo che è presente qui. La sua presenza è piena di significato. E devo ancora aggiungere, oggi abbiamo ordinato tre sacerdoti perché ci sono tre diocesi e ci sono solo due vescovi. Allora faccio un piccolo appello alla Congregazione di Propaganda: bisogna cercare il terzo vescovo! Io so che mi state per dare dei regali e vi ringrazio in anticipo. Ma il il regalo più grande è quello che ho ricevuto attraverso monsignor Tchidimbo e la sua via crucis! Da: Il mistero dei Dodici, I vescovi del mondo a tavola con Giovanni Paolo II Tau Editrice - a cura di Angela Ambrogetti
La Regina Elisabetta II è morta pacificamente nel pomeriggio, nel castello di Balmoral, ed è come se fosse caduto un mondo. Ha conosciuto cinque Papi, inaugurando la serie con Pio XII quando non era ancora regina e concludendola con Papa Francesco, che incontrò in un inusuale incontro più informale e lontano dai protocolli di Stato nell’Auletta Paolo VI, arrivando un po’ in ritardo dopo un pranzo con il presidente Napolitano da lei definito “delizioso”.
La collaborazione scientifica e di ricerca con il Policlinico Gemelli e con l’Università „La Sapienza” a Roma è garanzia dell’alto livello di studi di medicina alla KUL, che cominceranno a breve
“La Chiesa in Polonia, ma soprattutto la nostra Conferenza Episcopale, ha nei confronti del Monsignore, un enorme debito di gratitudine, che desideriamo colmare con la nostra preghiera, la nostra benevolenza e la buona memoria”.
Papa Francesco non potrà recarsi come previsto a Firenze e non celebrerà la messa a Santa Croce, ma negli ultimi decenni la basilica ha ricevuto la visita di due Pontefici.
Oggi la Chiesa celebra la festa liturgica di San Giovanni Paolo II, Papa perché Vescovo di Roma, uomo del Concilio che ha sviluppato quell’insegnamento senza tradirlo. E come vescovo di Roma aveva una cura speciale per il “suo” Seminario, il Romano Maggiore, quello dove si formano i sacerdoti romani che dovrebbero essere un modello per gli altri seminari.
105 anni fa, il 7 luglio 1916, nasceva Olga Maria Wojtyła, sorella maggiore di Giovanni Paolo II, a Biała (oggi Bielsko-Biala). La bambina è vissuta solo 16 ore, ma il suo ricordo è rimasto vivo – ha ricordato sul suo profilo Facebook il Museo della Casa di Famiglia del Santo Padre Giovanni Paolo II a Wadowice.
“La nostra Chiesa continua a vivere la primavera, perché abbiamo riconquistato tante chiese, e ne stanno nascendo anche di nuove. Stiamo ordinando nuovi sacerdoti. Abbiamo anche l'opportunità di creare nuove parrocchie”, così ha affermato al settimanale Echo Katolickie Monsignor Mieczysław Mokrzycki, Arcivescovo Metropolita di Leopoli, già segretario personale di Giovanni Paolo II, parlando della Chiesa in Ucraina.
Estonia, Lettonia, Lituania, i Paesi Baltici come ha vissuto la Chiesa cattolica in quei paesi il passaggio dall’ Unione Sovietica alla indipendenza?
Il pontificato di Giovanni Paolo II ha costruito ponti tra l’ Est e l’ Ovest dell’ Europa divisa. Questa è ormai un certezza sia per gli storici che per i politici.