Yaoundè, 16 November, 2024 / 4:00 PM
Due messaggi del Papa, uno già dato, alla COP 29 di Baku, e uno da consegnare, al G20 di Rio de Janeiro. Nel mezzo, un convegno su Matteo Ricci alla Gregoriana, e la presentazione di un libro sul Cardinale Silvestrini a Roma Tre. Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, rappresenta Papa Francesco in due importanti consessi.
Il “ministro degli Esteri” vaticano, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, è stato invece a Lublino per una lectio magistralis sulla diplomazia pontificia e poi è volato in Camerun, per un atteso viaggio di quattro giorni in una nazione che attende una parola della Chiesa, e dove l’appello di pace del nunzio è stato trasmesso in televisione.
La Santa Sede, dunque, porta avanti la sua missione internazionale, e prosegue anche la sua attività nel multilaterale – da segnalare, questa settimana, l’udienza concessa da Papa Francesco a monsignor Richard Gyhra, rappresentante della Santa Sede all’OSCE.
Intanto, continua il ricambio degli ambasciatori presso la Santa Sede: si congeda in questi giorni Chiara Porro, dal 2020 ambasciatore di Australia presso la Santa Sede, e ha già lasciato Vaclav Kolaja, ambasciatore della Repubblica Ceca presso la Santa Sede che è riuscito, come ciliegina della torta del suo mandato, ad arrivare alla firma di un accordo tra Santa Sede e Repubblica Ceca, così come si è congedato Patrick Renault, che ha terminato il suo mandato con l’organizzazione del viaggio di Papa Francesco nel suo Paese (e in Lussemburgo).
Questa settimana, i nuovi ambasciatori di Repubblica Ceca, Romania e Belgio hanno presentato la copia delle loro credenziali. A fine mese, termina il suo mandato anche Marija Efremova, ambasciatore della Macedonia del Nord presso la Santa Sede. Durante il suo mandato, ha gestito la prima visita ecumenica dell’arcivescovo Stefan di Ocrida.
Ancora non è stato annunciato il viaggio del Papa in Corsica, per il quale c’era grande fermento sull’isola, e alcune fonti sostengono che la pista si sta raffreddando. Tutto è comunque possibile. Tra le attività del Papa, va segnalato l’incontro con sei ostaggi israeliani di Hamas liberati.
FOCUS SEGRETARIO DI STATO
Il cardinale Pietro Parolin in Azerbaijan, l’incontro con Alyev
Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha partecipato al COP 29, la 29esima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, che si tiene a Baku, in Azerbaijan, dall’11 al 22 novembre. Lo scorso anno, il Cardinale Parolin lesse l’intero discorso di Papa Francesco, che avrebbe dovuto partecipare di persona all’appuntamento del COP28, che si teneva negli Emirati Arabi Uniti. Questa volta, il Cardinale si è limitato a leggere un messaggio del Papa.
Il Cardinale è arrivato a Baku l’11 novembre, ed è stato accolto in aeroporto da Hassan Hasanly, viceministro per la Scienza e l’Educazione dell’Aszerbaijan.
Il 12 novembre, il Cardinale è stato ricevuto dal presidente Ilham Alyev. Durante l’incontro, riporta un comunicato della presidenza azerbaijana, i due “hanno riconosciuto che i rappresentanti delle varie religioni vivono in amicizia e armonia in Azerbaijan”. Le parole della presidenza vogliono anche rispondere all’allarme di un “genocidio culturale” nel Nagorno Karabakh, di cui recentemente l’Azerabaijan ha ripreso il controllo. L’Azerbaijan sottolinea da sempre di aver ricostruito tutti gli edifici religiosi, anche quelli cristiani, come la cattedrale di Shushi, colpita da un bombardamento durante il conflitto del 2022. La cattedrale di Shushi, però, non presenta più la croce sulla sua sommità.
Il cardinale Parolin avrebbe espresso gratitudine per aver designato e costruito la seconda chiesa cattolica in Azerbaijan, descritto come “un contributo al multiculturalismo e al diaogo tra le fedi nella nazione”.
Il presidente Alyev ha anche osservato che “l’antica eredità albaniana cristiana è preservata dal governo”, e che l’Azerbaijan è “casa per alcune delle più antiche comunità cristiane”. L’Azerbaijan sostiene infatti la presenza di una etnia albaniana, e di una Chiesa collegata a questa etnia, precedente alla presenza dell’etnia armena, che rivendica la sua presenza millenaria sul territorio.
Secondo il comunicato della presidenza azera, Parolin e il presidente “hanno riconosciuto il valoroso contributo del governo dell’Azerbaijan e della Fondazione Heydar Alyev al restauro dell’eredità cristiana in Vaticano e in molte regioni del mondo”.
La fondazione Alyev ha finanziato diversi progetti in Vaticano e più recentemente ha siglato un protocollo per il restauro della Basilica di San Paolo Fuori Le Mura.
Entrambe le parti – conclude il comunicato – hanno scambiato punti di vista su temi di comune interesse”.
COP29, il messaggio di Papa Francesco
Il Cardinale Parolin non è andato a Baku da solo, ma ha portato con sé un messaggio di Papa Francesco.
Nel suo messaggio, il Papa ha auspicato che il COP 29 abbia successo nel “dimostrare che c’è una comunità internazionale pronta ad andare oltre i particolarismi e di mettere al centro il bene dell’umanità e della nostra casa comune”.
Papa Francesco ha notato che i dati scientifici in nostro possesso ci impongono di non fare tardi, e chiede di riconoscere che la preservazione del creato è “correlato da vicino alla preservazione della pace”.
Il Papa ha anche messo in luce come il COP 29 abbia luogo “in un contesto condizionato da crescente disillusione nei confronti delle istituzioni multilaterali e pericolose tendenze a costruire i muri”, mentre i vari egoismi “alimentano un clima di sfiducia e divisione che non risponde ai bisogni del mondo interdipendente in cui dovremmo agire e vivere come membri di una famiglia che abita lo stesso interconnesso villaggio globale”.
Papa Francesco ha chiesto di “invertire la tendenza”, creando “una cultura di rispetto per la vita e per la dignità della persona umana”, e auspica che “le responsabilità storiche e presenti diventino impegni concreti e orientati al futuro”, andando a sviluppare un nuovo “New Collective Quantified Goal on Climate Finance”.
Nel messaggio viene sottolineato che esiste “un vero debito ecologico”, particolarmente tra Nord e Sud, che si collega agli “sbilanci commerciali che hanno effetti sull’ambiente”, e dunque ci vuole “una nuova architetture finanziaria che si concentri sull’essere umano”, e che sia “creativa” e “basata sui principi di eguaglianza, giustizia e solidarietà”.
La Santa Sede ha ribadito il suo impegno per le questioni ambientali, e ha detto che oggi “non c’è tempo per l’indifferenza. Non possiamo lavarcene le mani, con distanza e disinteresse. Questa è la vera sfida dei nostri giorni”.
(La storia continua sotto)
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Parolin al G20
Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, parteciperà al G20 di Rio de Janeiro il prossimo 18 e 19 novembre. In quell’occasione, porterà un messaggio di Papa Francesco.
Durante questo G20, sarà lanciata l’Alleanza Globale contro la Fame e la Povertà, una iniziativa brasiliana che ha l’intenzione di mobilitare le nazioni e le organizzazioni internazionali per accelerare gli sforzi nella lotta contro la fame e la povertà a partire dal 2030.
Si parlerà anche di una riforma globale della governance, in una discussione che sarà comunque ristretta ai capi di Stato, delineando proposte per modernizzare la principali istituzioni internazionali, come le Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio.
La mattina del 19 novembre si parlerà invece delle transizioni energetiche. Il Cardinale Parolin porterà, come di consueto, un messaggio di Papa Francesco.
Il presidente brasiliano Lula sperava anche di avere Papa Francesco al lancio ufficiale dell’Alleanza Globale contro la Fame e la Povertà.
Cardinale Parolin, il dialogo come risposta ai problemi globali
Parlando a margine di un evento alla Pontificia Università Gregoriana di Roma lo scorso 15 novembre, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di stato vaticano, ha ribadito la linea del dialogo per superare le grandi tensioni che agitano l’Europa.
L’evento, dedicato alla figura di Matteo Ricci, era intitolato “Un’eredità di amicizia, di dialogo e di pace”.
Il Cardinale Parolin ha affermato che “Matteo Ricci è sempre stata una figura di riferimento in tutto il processo di dialogo con la Cina, per la sua statura morale ma soprattutto per questo ruolo di ponte tra cultura occidentale e quella cinese e per il grande sforzo di inculturare la fede, dimostrando, con una formula che utilizziamo adesso ma che nella sostanza era già presente a suo tempo, che non c’è nessuna contraddizione tra l’essere autenticamente cinesi e buoni cittadini ed essere cristiani. Anzi, il Vangelo vivifica dall’interno la cultura cinese”.
Il Segretario di Stato vaticano non è caduto nella trappola di rispondere sull’amministrazione Trump, che sembra non voler avere un dialogo con la Cina, ma ha semplicemente sottolineato che “per noi il principio del dialogo rimane il principio fondamentale. Ieri sera abbiamo parlato del lavoro del cardinale Silvestrini per la pace e per il dialogo, dicendo che per prevenire e superare i conflitti, l’unica maniera è quella di parlarsi direttamente. Per noi, quindi, non è una questione solamente tattica ma di sostanza”.
Il cardinale si riferiva alla presentazione, il 14 novembre, del libro su “Il cardinale Silvestrini. Dialogo e Pace nello spirito di Helsinki” a cura di Carlo Felice Casula e Pietro Sebastiani, edito dalla Libreria Editrice Vaticana. Fu Silvestrini, tra l’altro, a portare la proposta di inserire la libertà religiosa alla conferenza di Helsinki del 1975.
Parolin ha sottolineato che “bisogna sperare contro ogni speranza come ha fatto il Cardinale Silvestrini”, e ha ribadito che “il dialogo è e sarà sempre la proposta della Santa Sede. “L’ho potuto constatare con mano anche per la guerra in Ucraina: non ci si fida l’uno dell’altro. Tutti siamo invitati a fare qualcosa”.
Dialogo è anche la parola chiave alla COP29, dove il cardinale ha portato un messaggio di Papa Francesco. “C’è consapevolezza da parte di tutti dell’urgenza del problema dei cambiamenti climatici ma molta più lentezza nel mettersi ad operare concretamente per i rimedi - ha detto a margine dell’appuntamento a Roma Tre - il grande tema di questa conferenza sarà quello di gestire un fondo per la mitigazione, per venire incontro ai danni e alle perdite provocate dai cambiamenti climatici, il fondo è stato istituito già dalla precedente conferenza di Dubai però di fatto scarseggiano i finanziatori. Si dovrebbero motivare i Paesi a contribuire in maniera più massiccia”
FOCUS MINISTRO DEGLI ESTERI VATICANO
Il viaggio dell’arcivescovo Gallagher in Camerun
Resterà in Camerun fino al 18 novembre, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher. Il viaggio, di cinque giorni, è molto atteso nel Paese, e vuole celebrare il decimo anniversario della firma dell’accordo quadro con il Paese africano. Ma si tratta anche di un segno di speranza in un Paese che vive una situazione difficile e dove la Chiesa è un punto di riferimento.
Arrivato il 14 novembre, l’arcivescovo Gallagher è stato accolto da una delegazione del Ministero delle Relazioni Estere del Camerun, rafforzata dalla presenza dell’arcivescovo Josè Bettencourt, Nunzio Apostolico in Camerun e Guinea Equatoriale, e delle massime autorità della Chiesa cattolica del Camerun, tra cui l’arcivescovo Andrew Nkea di Bamenda, e del vescovo Philippe Alain Mbarga di Ebolowa, rispettivamente presidente e vicepresidente della Conferenza episcopale nazionale del Camerun (CENC), nonché Anche Mons. Jean Mbarga, Arcivescovo Metropolita di Yaoundé.
Questa visita riveste un particolare significato diplomatico, perché mira a rafforzare un partenariato già ricco di scambi e di cooperazione, basato su valori condivisi di pace, giustizia e rispetto della dignità umana. Dalla firma dell'Accordo Quadro nel 2014, il Camerun e la Santa Sede hanno lavorato insieme per creare un clima di dialogo e rispetto reciproco, consentendo alla Chiesa cattolica di sostenere lo sviluppo umano e spirituale dei camerunesi nel rispetto delle leggi e delle istituzioni dello Stato .
Il 15 novembre, l’arcivescovo Gallagher ha incontrato il ministro degli Affari Esteri del Camerun. Lejeune Mbella Mbella, e poi il primo ministro Joseph Dion Ngute. Nella stessa giornata l’arcivescovo incontrerà i vescovi camerunensi.
L’arcivescovo Gallagher in Camerun, l’incontro con i vescovi
Nell’incontro con i vescovi del Camerun, il 15 novembre, l’arcivescovo Gallagher ha sottolineato prima di tutto che il camerun è “sempre stato considerato terra di speranza”, e ha poi ricordato i dieci anni dell’Accordo quadro della Santa Sede con il Camerun. Accordo definito dal presule come “uno strumento di capitale importanza” per consolidare “i legami tra la Chiesa e lo Stato locali” a favore dello sviluppo integrale dei camerunensi”, nonché “a favore della pace e della prosperità comune”.
Il “ministro degli Esteri vaticano” ha parlato anche della “necessità di costruire ponti che permettano di unire, e non muri di separazione, perché siamo tutti fratelli”, e ha lodato il “dinamismo della Chiesa camerunense”, che ha visto crescere “le parrocchie, le istituzioni cattoliche educative e sanitarie, le strutture socio-caritative, le vocazioni religiose e sacerdotali”, una conseguenza della “pastorale sociale” portata avanti dalla chiesa in Camerun “per rispondere sempre meglio ai bisogni delle persone, indipendentemente dalla loro provenienza e religione”.
L’arcivescovo Gallagher non ha mancato di mettere in luce la crisi e le violenze, dovute anche alla presenza degli islamisti di Boko Haram. I vescovi della provincia di Bamenda hanno rilasciato, recentemente, la situazione nella loro regione, descrivendo casi di tortura, estorsione, sfollamenti forzati”.
Per l’arcivescovo, “l’unica risposta valida è il Vangelo”, capace di convertire i cuore e di costruire la famiglia umana “in unità, giustizia e pace”. Gallagher ha dato ai presuli locali il compito di “non esitare a fare sentire la voce della Chiesa nel Paese”, di essere profetici, di essere “segno di consolazione e di speranza non solo per i vostri fedeli, ma anche per i vostri connazionali in generale”.
Si tratta, ha aggiunto, di essere “uniti nella diversità”, utilizzando come stella polare il vangelo, perché solo così si potranno affrontare “le numerose sfide pastorali che presentano la società e la cultura moderna”, tra cui “il fenomeno migratorio, la corruzione e l’ingiustizia”.
L’arcivescovo sottolinea anche che “il dovere di rispettare la libertà religiosa richiede che la comunità politica garantisca alla Chiesa il necessario spazio di azione”, ed è per questo che la Chiesa in Camerun “non può essere considerata come una organizzazione non governativa, né come una qualsiasi associazione, ma piuttosto come un partner nello Stato”, tanto che i vescovi sono incoraggiati a “inserirsi a pieno titolo nel dialogo sociale e politico e a confrontarsi senza esitazione con le autorità pubbliche” per far conoscere “la realtà e l’insegnamento della Chiesa”.
Guardando al tema del Giubileo 2025, dedicato alla speranza, l’arcivescovo Gallagher ha dunque invitato a “mantenere viva la fiamma della speranza”.
Gallagher in Camerun, la Messa a Yaoundè
Nella giornata di sabato 16 novembre, l’arcivescovo Gallagher ha celebrato la liturgia eucaristica presso la Basilica minore di Marie Reine des Apötres de Mvolye, nella capitale Yaoundé. lla presenza delle alte autorità camerunesi, questa celebrazione eucaristica offrirà un'occasione privilegiata per ringraziare per questo decennio di fruttuosa collaborazione e per rinnovare i reciproci impegni di cooperazione e sostegno tra Camerun e Vaticano.
L’arcivescovo Gallagher ha ricevuto la più alta onorificenza dello Stato. Il 16 novembre, il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati ha celebrato Messa nella Basilica Minore di Maria Regina degli Apostoli.
L’arcivescovo ha ricordato, nella sua omelia, che ci avviamo verso la fine dell’Anno Liturgico, e che dunque le letture ci portano in particolare a riflettere alla fine dei tempi, “e siamo tutti noi ad essere interpellati, io per primo, e tutti voi che partecipate a questa Santa Liturgia”.
Le due letture del giorno – che, sottolinea Gallagher, “ci presentano due modelli da imitare” – ricordano la generosità di Gaio che apre le porte della sua comunità agli estranei e la vedova che ottiene giustizia attraverso coraggio e tenacia.
Il “ministro degli Esteri” vaticano ha ricordato che “la firma, dieci anni fa, dell'Accordo Quadro è la prova tangibile della collaborazione dello Stato del Camerun che ha così riconosciuto giuridicamente l'identità della Chiesa cattolica”. L’arcivescovo Gallagher ricorda che “la Chiesa e la comunità politica, infatti, si esprimono in forme di organizzazione che non sono fini a se stesse, ma al servizio dell'uomo, per consentirgli di esercitare pienamente i suoi diritti, inerenti alla sua identità di cittadino e di cristiano, e per realizzare Autorità tradizionali che hanno voluto associarsi a questo grande evento della comunità cattolica che celebra il suo Signore in comunione con l'umile inviato del successore di Pietro”.
L’arcivescovo ha notato che “da decenni, la Chiesa cattolica in Camerun, in particolare attraverso le scuole e le istituzioni sanitarie, offre un notevole contributo allo Stato, contribuendo all’educazione dei bambini e dei giovani camerunensi su tutto il territorio”, ed è una missione che non si potrebbe compiere “senza la libertà che le è garantita dallo Stato”.
Gallagher si sofferma anche sull’accoglienza degli stranieri, che è tema di una lettura del giorno, ed è “in diretta linea con la missione della Chiesa in favore dei poveri”, e chiosa che “è vero che la caratteristica della società odierna è il rifiuto sistematico degli stranieri. Molti uomini e donne del nostro tempo hanno la fobia degli stranieri. Perché secondo loro lo straniero è portatore di tutti i mali possibili: è un ladro, un assassino, un disonesto, un terrorista...”
L’arcivescovo porta la gratitudine di Papa Francesco per l’accoglienza data agli stranieri, perché ci sono nazioni “che non vogliono accogliere gli stranieri nel loro territorio, e purtroppo nella lista ci sono anche i Paesi africani, mentre “in Africa stiamo assistendo niente meno che ad un esodo di migliaia di giovani verso terre sconosciute”, in fuga “dalla povertà, dalle ingiustizia e dalle persecuzioni di ogni genere”, che “corrono rischi enormi” per andare in Occidente, prima in Europa, poi in Canada e negli Stati Uniti, bloccati “in barche improvvisate” che fanno finire la loro ricerca della felicità “nel fondo degli oceani”, facendo del mare “il cimitero più grande del mondo”
Gallagher ricorda anche che “il Figlio di Dio si è fatto uomo non solo per mostrare la grandezza dell'uomo all'interno della creazione, ma anche per invitare tutti i suoi discepoli a porre la persona umana al centro di ogni loro preoccupazione”.
Per questo, non facciamo un favore “permettendo ad ogni essere umano l’accesso ai beni della terra, perché è un diritto innato”, ma va chiarito – aggiunge l’arcivescovo – che “se è vero che ognuno nasce con il diritto d’uso dei beni, è altrettanto vero che, per garantirne un esercizio giusto e ordinato, sono necessari interventi regolamentati, frutto di accordi nazionali. e internazionale, nonché un ordinamento giuridico che determina e specifica tale esercizio”.
Gallagher poi si sofferma sulla delicata situazione del Camerun, che da otto anni “vive una situazione di estrema violenza, di crisi sociopolitica nelle regioni del Nord Ovest e del Sud Ovest e di estremismo religioso radicale in alcune comunità delle regioni del Grande Nord”, disordini che hanno costretto a fuggire dalle loro terre.
Afferma Gallagher: “Grazie alla vostra apertura e ospitalità, in particolare nelle città di Douala, Bafoussam, Yaoundé e in altre città e villaggi, molti hanno potuto iniziare una nuova vita, contribuendo notevolmente alla crescita economica e sociale delle comunità ospitanti”. L’arcivescovo riconosce che “i migranti o gli stranieri in generale sono spesso considerati in alcuni paesi come merci, persone in situazione irregolare o semplicemente vittime”, ma “la Parola di Dio, però, ci chiede di considerarli tutti, sani o disabili che siano, come esseri umani che hanno diritto ad una considerazione globale dei loro bisogni”, e d’altronde “nessuno può negare, inoltre, che in molti Paesi gli stranieri hanno portato con sé anche specifici contributi in campo economico, sociale e culturale di cui occorre tenere conto quando si affrontano queste problematiche. uomo, e non semplicemente un diritto positivo, legato alla contingenza storica”.
In conclusione, l’arcivescovo Gallagher auspica: “Possiamo noi, attraverso la forza di questa Eucaristia, diventare porte aperte per i nostri fratelli stranieri, malati, nudi, prigionieri, affamati; e possiamo crescere sempre nella fede, nell'amore e nella speranza, con l'aiuto anche della Beata Vergine Maria, Regina degli Apostoli, come la invochiamo anche in questa sontuosa Basilica Minore”.
D’altronde, “in alcuni Paesi la fede cristiana sta perdendo slancio, la voce della Chiesa è diventata inudibile. La barca di Pierre viene attaccata da venti violenti che minacciano di ribaltarla. Le persone preferiscono riporre la loro fiducia nelle proprie ricchezze piuttosto che in Dio. Cristo non è più al centro della loro vita. Il Vangelo di oggi arriva dunque al momento opportuno per ricordarci il posto primordiale della preghiera nella nostra vita”.
Lunedì 18, il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati sarà ricevuto in udienza dal presidente della Repubblica, Paul Biya. Ultimo atto, la conferenza presso l’Université Catholique d’Afrique Centrale a Yaoundé: in quell’occasione a Gallagher verrà conferito il dottorato honoris causa.
La lectio dell’arcivescovo Gallagher a Lublino
Lo scorso 12 novembre, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha tenuto una lectio magistralis presso l’Università Cattolica di Lubino, in Polonia, sul tema “La diplomazia della Santa Sede nel mondo contemporaneo”.
L’arcivescovo Gallagher ha prima di tutto volute definire tre prospettive: quale posto e quali strumenti sono disponibili per la diplomazia della Santa Sede? Quale è la sua natura e quali modalità di azione porta avanti? In che modo la diplomazia di Papa Francesco si coinvolge attivamente nello scenario internazionale?
Per quanto riguarda lo scopo della diplomazia papale, l’arcivescovo Gallagher sottolinea che si tratta di una tradizione sviluppatasi nella “diplomazia permanente”, di cui la Santa Sede è sempre stata un attore, il cui scopo è prima di tutto di garantire la Libertas ecclesiae, attraverso un lavoro di comunione all’interno della Chiesa e impegnati in un dialogo che “anche nel mezzo delle situazioni più difficili apre percorsi di pace”.
Gallagher nota che “la Santa Sede ha l’obiettivo di cogliere ogni opportunità per promuovere la concordia e dissipare il confronto, di cercare soluzioni per le controversie piuttosto che esacerbarle, di non trascurare anche il più piccolo dettaglio che possa contribuire alla pace”.
Quelli di costruire i ponti e cercare il dialogo con tutti, iniziando processi di pace, viene descritta come “una diplomazia della misericordia”, laddove la misericordia è “il fattore costitutivo e garante dell’ordine internazionale”, e l’unica forza “in grado di rompere le catene dell’odio e della vendetta e di disperdere i mezzi dell’orgoglio e dell’arroganza umana, causa di ogni volontà belligerante”.
La misericordia, dunque, diventa, nelle parole di Gallagher, “un vero impegno politico per la solidarietà, con vista sulla promozione del bene umano”, perché la misericordia “fa de-scalare i conflitti, desidera cancellare il debito estero o al limite gestirlo in modo sostenibile, promuove politiche di cooperazione che sono sempre sensibili ai valori delle popolazioni e culture locali”.
Ma, aggiunge il “ministro degli Esteri” della Santa Sede, a “volte, la diplomazia della misericordia implica il mostrare la dignità della persona umana, anche davanti a gravi crimini”, e questo si vede in particolare nella richiesta dell’abolizione della pena di morte.
Partendo dalla “diplomazia della misericordia”, si può comprendere la natura pienamente spirituale della diplomazia del Papa, che “lavora basicamente per salvaguardare il carattere trascendente degli esseri umani e i suoi diritti fondamentali”, mentre afferma anche i più alti valori morali e sociali”.
Come è formata la diplomazia pontificia? Ha relazioni con 184 nazioni, si impegna con la maggioranza delle organizzazioni internazionali che rappresentano il network della governance globale, ha una rete di missioni attraverso le nunziature e le missioni permanenti.
Un meccanismo complesso, guidato dalla Segreteria di Stato, che però deve considerare il Papa come primo diplomatico, come dimostrato molto chiaramente nelle azioni dei pontefici.
La Santa Sede si approccia prima di tutto al mondo con “prudenza”, ed è così che può essere “una parte integrante del dibattito intorno alle tensioni che la comunità internazionale deve affrontare”, e allo stesso tempo è consapevole di “non difendere un potere temporale o una influenza e per questo non cercare privilegi di qualunque tipo”.
Gallagher spiega che la Santa Sede non è il Vaticano, perché la Santa Sede è “una persona morale di istituzione divina”, mentre non lo è lo Stato di Città di Vaticano, e il Papa è capo di Stato di entrambi, ma la Santa Sede esercita sovrana autorità sullo Stato di Città del Vaticano. È, dunque, la Santa Sede ad essere titolare della sovranità e dunque ad esercitare le relazioni diplomatiche,
Gallagher spiega anche la differenza tra diplomazia bilaterale e multilaterale, identifica lo strumento del concordato o dell’accordo come uno degli strumenti tipici delle relazioni bilaterali, che serve a “garantire ulteriormente la libertà di religione dei fedeli cattolici”.
Il ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati sottolinea che c’è una particolare attenzione per la cura pastorale anche in Paesi con i quali non ci sono ancora piene relazioni diplomatiche, e un esempio è “la recente estensione dell’accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Cina rguardo la nomina dei vescovi”, ma anche la conclusione dell’accordo sullo status del Rappresentante Papale residente in Viet Nam.
Nel multilaterale, aggiunge Gallagher, la Santa Sede ha sempre più intensificato la sua partecipazione, agendo in questi fora come una “forza di leadership etica”, il cosiddetto soft power che “permette alla Santa Sede di raggiungere risultati che anche le autorità globali più dominanti spesso lottano per ottenere da sole”.
In particolare, l’arcivescovo ricorda il sessantesimo anniversario della presenza della Santa Sede come Osservatore presso le Nazioni Unite, una presenza ininterrotta durante la quale la Santa Sede “si è particolarmente dedicata a perseguire l’elevato obiettivo della pace, in modi vari e sfumature diverse”, toccando temi come il disarmo e lo sviluppo, l’educazione e la proprietà intellettuale, il commercio e le comunicazioni, e cercando anche il supporto di Stati sensibili a quei temi, nonché in collaborazione con Organizzazioni Non Governative, specialmente quelle ispirate da principi cattolici.
È dunque chiaro, sottolinea Gallagher, che “la presenza unica della Santa Sede sul palcoscenico internazionale sorpassa la tradizionale abilità degli Stati e trascende il tradizionale ambito delle relazioni tra Stati”.
La Santa Sede può così essere “un mediatore degno di fiducia”, cosa di grande importanza “nell’affrontare i conflitti e sviluppare il dialogo sulle questioni globali”.
L’arcivescovo Gallagher descrive poi alcune delle attività diplomatiche della Santa Sede, dal lavoro per la risoluzione dei conflitti, agendo – si vede in Ucraina, Medio Oriente, Caucaso, Myanmar, Etiopia, Sudan, Yemen – da super partes, intervenendo “per supportare una idea di pace che è il frutto di relazioni, rispetto per le norme internazionali e la protezione di diritti umani fondamentali”, non cessando mai, in alcuno scenario di guerra, di “ribadire che il principio di umanità non può mai essere compromesso nel nome dei bisogni militari”.
Insomma, il principio umanitario prima di ogni cosa – si è visto anche nel sostegno alle possibilità di scambio di prigionieri tra Russia e Ucraina – che include anche il sostegno al disarmo nucleare, la richiesta di creare un fondo per la pace con un taglio delle spese militari (la proposta, a dire il vero, fu già di Paolo VI), la protezione dei diritti umani a partire dal diritto alla vita, ma anche a partire “dalla difesa contro le concezioni errate di diritti o tendenze ideologiche”, perché “troppo frequentemente nel contesto internazionale odierno, alcune nazioni o blocchi di nazioni cercano di imporre una visione dei diritti umani, della natura e della dignità che non corrisponde agli insegnamenti della Chiesa”, a volte persino collegando gli aiuti umanitari “alla volontà di una nazione di adottare queste ideologie”, in quello che Papa Francesco chiama “colonialismo culturale”.
Gallagher nota anche come la religione sia spesso “stata strumentalizzata per alimentare dispute politiche”, cosicché “espressioni non autentiche della religione hanno anche portato ad alcune delle più crudeli forme di discriminazione, violenza e guerra, mentre dall’atra parte “forse in reazione a tali atti di cosiddetto estremismo religioso, il secolarismo in occidente può a volte marginalizzare la libertà di religione, pensiero e credo, contribuendo all’intolleranza e alla discriminazione degli individui religiosi e le loro comunità”.
L'arcivescovo Gallagher nota che la Santa Sede difende la libertà religiosa, così come si impegna nella cura del creato, lamentando una “mentalità caratterizzata da un eccessivo consumismo e disponibilità”, che “non solo contribuisce al degrado ambientale”, ma anche “alimenta inefficienza economica dando priorità a guadagni a breve termine piuttosto che alla sostenibilità”.
La Santa Sede guarda anche agli avanzamenti tecnologici, e in particolare agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, notando che se questi sviluppi non saranno propriamente regolamentati “potrebbe avere serie implicazioni e conseguenze per l’intera umanità”.
Quindi, il tema delle migrazioni. Le statistiche suggeriscono che “quasi 120 milioni di persone nel mondo hanno lasciato le loro case per fuggire a persecuzioni, guerre, conflitti o povertà e trovare nuove opportunità di esistenza o un rifugio sicuro”, e per questo è “scoraggiante che, per molti, la costruzione di muri e il ritorno di migranti a luoghi non sicuri sembra essere l’unica soluzione per affrontare la mobilità umana”.
Altro tema al cuore della diplomazia della Santa Sede è l’accesso alle cure, tema affrontato più volte dalla Santa Sede nei fora internazionali, rigettando allo stesso tempo terminologie controverse come quella di “diritti sessuali e riproduttivi”, o anche un “diritto all’aborto”.
Quindi, la questione economica. Gallagher sottolinea che “la diplomazia della Santa Sede enfatizza il bisogno di sistemi economici che danno priorità alla chiarezza e alla giustizia, riconoscendo che l’ineguaglianza è la questione economica più significativa di oggi”. Per quanto riguarda la lotta alla povertà, “la Santa Sede chiede un approccio integrato che combini misure monetarie con politiche globali che affrontino le deprivazioni non monetarie affrontate da milioni di persone a livello educativo, sociale, politico, culturale e spirituale”.
L’arcivescovo Gallagher nota che la Santa Sede porta avanti una chiamata alla “globalizzazione della solidarietà”, che si allinea con la chiamata cristiana per la fraternità e unità”, mentre la globalizzazione della fraternità “aiuta a restaurare un senso di identità condivisa come una famiglia umana globale in una era di connettività, ma anche di alienazioni, crescenti”.
La lotta alla tratta è un altro tema centrale per la diplomazia della Santa Sede, così come la promozione del multilateralismo, che “ha bisogno di una riforma”.
Insomma, di fronte alla “terza guerra mondiale a pezzi” si trovano fenomeni come “la corsa agli armamenti, la minaccia nucleare e il terrorismo”, e la Santa Sede e le strutture diplomatiche ad essa collegate “sono unite dallo stesso scopo: essere un segno di speranza”.
FOCUS PAPA FRANCESCO
Papa Francesco incontra il presidente della Corte Europea per i Diritti Umania
Marko Bošnjak, presidente della Corte Europea per i Diritti Umani, ha fatto visita a Papa Francesco lo scorso 14 novembre. Non sono stati diffusi dettagli sul colloquio. Una nota della Corte sottolinea che il presidente si è anche incontrato con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e che è stato accompagnato dal giudice-eletto Raffaele Sabato e da Marialena Tsirli, Cancelliere della Corte.
Papa Francesco incontra gli ostaggi israeliani liberati
Il 14 novembre, Papa Francesco ha incontrato sei ostaggi israeliani, rapiti da Hamas il 7 ottobre 2023 e quasi tutti liberati a novembre in quello stesso anno nel corso dell’unica tregua tra Hamas e Israele dall’inizio del conflitto.
Dopo l’udienza, i sei ostaggi, accompagnati da Yaron Sideman, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, hanno tenuto una conferenza stampa presso la sede dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
I sei ostaggi liberati hanno guardato anche a quanti sono rimasti nelle mani di Hamas. Si stima il gruppo terroristico detenga 101 ostaggi, e la loro cattività è durata oltre 400 giorni. Gli ostaggi liberati hanno chiesto tutti che si arrivi presto ad un accordo che porti al rilascio immediato di quanti sono ancora nelle mani degli islamisti.
L’ambasciatore Sideman, ringraziando Papa Francesco per l’udienza privata, ha rimarcato che una priorità è propri quella di “riportare a casa i sequestrati”.
Elena Troufanov, 50 anni, ha un figlio ancora ostaggio, mentre solo dopo la liberazione ha appreso dell’uccisione del marito. Louis Har, argentino israeliano, era stato prelevato con tutta la famiglia dal kibbutz di Nir Yitzhak, ed è stato liberato dopo 129 giorni insieme al fratello della sua compagna Fernando, in una operazione militare dell’Israeli Defense Force, ha detto che “non può dimenticare chi è ancora rapito.
Gaya Calderon, che ha parlato per la sorella Sahar, di 17 anni, rlasciata insieme al loro fratello Erez, di 12, ha ricordato che il padre è ancora a Gaza, e anche lei chiede “un accordo per arrivare alla liberazione di tutti i 101 staggi.
Sharon Lifshitz è la figlia di Yocheved, fotografa 86 enne, rapita assieme al marito e diventata nota perché alla liberazione ha stretto la mano al suo carceriere, nonostante Oded, suo marito, sia ancora in mano degli islamisti. Lifshiltz ha ricordato che Nir Oz è una picocla comunità che “ha perso 57 membri, mentre altri 29 rimangono ancora detenuti”. Yoheved aveva persino incontrato, due o tre giorni dopo il rapimento, il leader di Hamas Yahya Sinwar, che è stato poi ucciso lo scorso 16 ottobre in una operazione militare israeliana. A lui, fu chiesto perché “stesero facendo del male a loro che sono persone pacifiche, ma senza ottenere risposta”.
Nessuno degli ex ostaggi ha subito violenze sessuali, a differenza di altri, e hanno affrontato anche il tema dell’antisemitismo, sottolineando che “il nostro nemico è l’odio verso l’altro”.
FOCUS SEGRETERIA DI STATO
Slovacchia, il segretario di Stato del ministero degli Esteri in Vaticano
Il 12 novembre, Marek Eštok, segretario di Stato del ministero degli Affari Esteri e degli Affari Europei della Repubblica slovacca, ha fatto visita in Vaticano, dove si è potuto incontrare con monsignor Daniel Pacho, sottosegretario per il Multilaterale della Seconda Sezione della Segreteria di Stato, e con monsignor Miroslav Wachowski, anche lui sottosegretario della sezione per i rapporti con gli Stati (in pratica, viceministro degli Esteri della Santa Sede).
Secondo un comunicato diffuso dall’ambasciata slovacca presso la Santa Sede, “i negoziati hanno confermato un alto livello di cooperazione tra Slovacchia e Santa Sede nel bilaterale. I partner hanno inoltre affrontato questioni di attualità internazionali e di sicurezza, tra cui il sostegno della soluzione pacifica delle controversie e il supporto ai principi del multilateralismo e delle attività umanitarie.
Croazia, il segretario di Stato del ministero degli Esteri in Vaticano
Il 13 novembre, Andreja Metelko-Zgombić, segretario di Stato del ministero degli Affari Esteri ed Europei di Croazia, ha fatto visita in Vaticano, dove ha avuto un bilaterale con monsignor Miroslaw Wachowski, sottosegretario vaticano per i Rapporti con gli Stati.
Il 12 novembre, il segretario di Stato ha partecipato ad una serata glacolitica organizzata dalla Ambasciata di Croazia presso la Santa Sede, in cui si è andati alle orgini dei primi scritti croati. La messa glacolitica è stata una delle prime messe in lingua non latina accettata dalla Chiesa cattolica.
Metelko-Zgombić ha anche incontrato il segretario generale per gli Affari Esteri dell’Ordine di Malta, l’ambasciatore Giampaolo Cantini. Nei colloqui a palazzo magistrale, si sono state sottolineate, secondo un comunicato dell’Ordine di Malta, “le solide relazioni, instaurate nel 1992, tra il Sovrano Ordine di Malta e la Croazia”, e si sono “esplorati modi possibili per intensificarle. Tra i temi principali, l’impegno reciproco negli sforzi umanitari e il potenziale contributo dell’Ordine di Malta ai progetti di inclusione sociale in Croazia, a conferma della nostra comune missione di sostenere le comunità più vulnerabili.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede a New York, la questione delle missioni di pace
Lo scorso 12 novembre, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore della Santa Sede presso la Missione alle Nazioni Unite, ha parlato alla Quarta Commissione ONU, che discuteva di una revisione globale della questione delle operazione di peacekeeping in tutti i loro aspetti.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Caccia ha riaffermato l’importanza che le operazioni di pace hanno nel restaurare la pace in regioni affette dal conflitto, proteggendo le popolazioni vulnerabili.
Secondo l’arcivescovo, nel contesto di crescenti tensioni geopolitiche, crisi ambientali e crescita di violazione dei diritti umani, queste missioni hanno spesso difficoltà nell’assicurarsi il supporto consistente e unificato degli Stati membri, e ha espresso preoccupazione per i recenti attacchi a missioni di peacekeeping, chiedendo agli Stati Membri di riaffermare il loro impegno condiviso ad assicurare la sicurezza del personale delle operazioni di pace e di restare uniti in supporto a queste operazioni vitali.
La Santa Sede a New York, la questione palestinese
Il 15 novembre, l’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha partecipato alla discussione della quarta commissione sul tema della United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA), l’agenzia ONU di aiuto alla Palestina.
Ribadendo la richiesta di un cessate il fuoco immediato già lanciato da Papa Francesco, così come l’appello per il rilascio immediato di tutti gli ostaggi, l’arcivescovo Caccia ha espresso “profonda preoccupazione per la crisi umanitaria catastrofica che attualmente si sta sviluppando nella Striscia di Gaza”, ricordando che la scia dei morti non tocca solo la Palestina, ma anche il Libano.
L’arcivescovo ha dunque chiesto di rispettare il consuetudinario diritto umano internazionale, facilitando la distribuzione di aiuti internazionali e assicurado la protezione di individui che non sono parte attiva delle attività.
Il nunzio ha sottolineato l’importanza del ruolo dell’UNRWA, che dà sollievo a 5 milioni di rifugiati palestinesi, e allo stesso tempo ha chiesto all’agenzia di rimanere politicamente neutra, imparziale ed efficace.
Secondo la Santa Sede, mettere a rischio il mandato dell’UNRWA non priva solo le popolazioni vulnerabili di un supporto essenziale, ma rischia anche di indebolire la cornice della legge internazionale.
La Santa Sede a Vienna, il bando dei testi nucleari
Lo scorso 11 novembre, si è tenuta la 63esima sessione della Commissione Preparatoria dell’Organizzazione per un Trattato per il bando globale dei Test Nucleari a Vienna.
Nel suo intervento, la santa Sede ha notato che la sua “pronta ratificazione” del trattato riflette la convinzione che “la proibizione dei test nucleari, la prevenzione della proliferazione nucleare e il processo del disarmo generale sono inestricabilmente collegati e richiedono attenzione particolare”.
Ricordando che Papa Francesco ha sottolineato più volte che l’uso dell’energia atomica per scopi bellici è “immorale”, la Santa Sede sottolinea che “l’entrata in vigore del trattato è più vitale che mai” oggi, quando nel mondo ci sono minacce di uso del nucleare e sforzi per modernizzare le armi nucleari.
La Santa Sede afferma che “è imperativo riconoscere hanno portato effetti significativi e a lungo termine sulla salute umana e sul benessere, così come sull’integrità dell’ambiente naturale, e anche sull’eredità culturale”, e che le conseguenze dei test “si estendono profondamente nelle aree come il cibo e la sicurezza alimentare, con impatto particolare sulle popolazioni indigene, le comunità locali, le donne, le ragazze anche i bambini non nati”, e portano anche nuove sfide a lungo termine, come “la confisca dei terreni e lo sfollamento forzato”.
Secondo la Santa Sede, “una pace vera e duratura è un desiderio fondamentale e una aspirazione al cuore di ogni società, persona, nazione, e anche della famiglia umana”, ma questa “non sarà mai raggiunta se ci si affida alla falsa logica che giustifica lo sviluppo, la modernizzazione, lo stoccaggio e la minaccia costante dell’uso delle armi nucleari”.
La Santa Sede comunque riconosce che “è sempre più difficile” uscire da questa logica, mentre ribadisce che, con la ratifica del trattato, “gli Stati hanno l’opportunità di dimostrare la saggezza, la leadership coraggiosa e un impegno per la pace e per il bene comune”, perché il trattato “non solo taglia i test nucleari, ma sviluppo confidenza tra gli Stati”.
Per questo, la Santa Sede incoraggia “tutti gli Stati firmatari a perseguire instancabilmente ogni possibile strada verso il difficile ma possibile obiettivo che porta alla piena entrata in vigore del trattato”.
La Santa Sede a Ginvera, la proibizione di alcune armi convenzionali
Il 14 novembre, si è tenuto a Ginevra l’incontro della Parti Contraenti la Convenzione sulla Proibizione e Restrizione dell’Uso di Alcune Armi Convenzionali che possono essere considerate come eccessivamente dannose o hanno effetti indiscriminati, abbreviata con la sigla CCW.
L’arcivescovo Ettore Balestrero, Osservatore della Santa Sede presso le organizzazioni internazionali di Ginevra, ha messo in luce come nel 2023 la spesa per gli armamenti ha superato solo negli USA i 2,4 trilioni di dollari, con una crescita del 6,8 per cento rispetto al 2022.
Da una parte, il rappresentante della Santa Sede nota che “il legittimo diritto e dovere degli Stati di difendere la sicurezza e la pace dei loro popoli deve essere pienamente rispettata”. Dall’altra, “la sicurezza globale ha bisogno di negoziati”, e per questo chiede di tenere in considerazione l’appello di creare un fondo globale con il denaro speso in armi e altre questioni militari per “porre fine alla fame e promuovere lo sviluppo integrale delle nazioni più impoverite”.
Parlando delle armi esplosive, “non ci sono dubbi sulle conseguenze catastrofiche del loro uso crescente in aree densamente popolate”, che aumenta “l’estensiva distruzione di aree abitate, scuole, ospedali, luoghi di culto e infrastrutture vitali per la popolazione civile”.
Per questo, i protocolli del CCW possono essere “una parte importante nella costruzione del Diritto Umanitario Internazionale”, che è un “mezzo di proteggere i civili innocenti, limitando e, per quanto è possibile, prevenendo la sofferenza umana causata dai conflitti armati, le cui conseguenze negative si riverberano per generazioni”.
La Santa Sede chiede una codifica e progressivo sviluppo delle regole della legge internazionale applicate in conflitti armati, e vuole che questa sia definita attraverso un approccio centrato sull’essere umano, cosa “particolarmente importante in luce di avanzamenti tecnologici e l’uso dell’intelligenza artificiale nella sfera militare, che sta rapidamente divenendo un elemento centrale nella conduzione delle ostilità”.
Le nuove tecnologie, sottolinea l’arcivescovo Balestrero, hanno molti benefici, ma anche possibili danni, ed è il motivo per cui si devono gestire con trasparenza, si devono fare revisioni legali costanti, ed è “fondamentale mantenere al cuore delle nostre deliberazioni le considerazioni etiche e i riferimenti alla inviolabilità e sacralità della dignità umana”.
Insomma, ci vuole un robusto “strumento legale vincolante” sulla questione delle armi, che si accompagni a una “moratoria immediata sullo sviluppo e l’uso dei sistemi di armi autonome letali”.
La Santa Sede chiede anche di “intensificare gli sforzi per universalizzare il CCW e i suoi protocolli con una cooperazione internazionale accresciuta per assistere le nazioni colpite in un vero spirito di fraternità”.
FOCUS AMBASCIATORI
Gli ambasciatori di Belgio, Romania e Repubblica Ceca presentano la copia delle credenziali
In questa settimana, gli ambasciatori di Belgio Repubblica Ceca e Romania hanno presentato la copia delle lettere credenziali al sostituto della Segreteria di Stato, il primo passo verso la presentazione delle credenziali al Papa, dopo il quale saranno ufficialmente in carica.
Il 15 novembre, l’arcivescovo Edgar Pena Parra ha ricevuto la copia di credenziali dall’ambasciatore del Belgio Bruno van der Pluijm e l’ambasciatore della Repubblica Ceca, Pavel Svoboda. L’11 novembre, l’ambasciatore di Romania presso la Santa Sede George Gabriel Bologan ha presentato copia di credenziali.
Chi sono i tre nuovi ambasciatori?
Van der Pluijm ha una lunga carriera diplomatica alle spalle, iniziata nel 1991. Dal 2016, è direttore generale in carica dell’Aiuto per la Cooperazione e lo Sviluppo e umanitario, e dal novembre 2018 al dicembre 2019 ha anche agito come segretario generale del Dipartimento per gli Affari Esteri, Commercio Estero e Sviluppo di Cooperazione.
È stato ambasciatore del Belgio in Canada dal 2010 al 2014 e in Tunisia dal 2014 al 2016, mentre tra il 1994 e il 2005 ha servito in varie ambasciate nel mondo – Libano, Costa Rica, Nazioni Unite a New York.
Ha poi lavorato come consulente per gli affari multilaterali al ministero degli Affari Esteri, e come capo dello staff del ministero per la cooperazione allo sviluppo. Classe 1960, quattro figli, è ache nel board di diverse istituzioni belghe.
Pavel Svoboda, nato nel 1962, ha un passato come europarlamentare della Repubblica Ceca tra il 2014 e il 2019.
È stato dal 2007 al 2009 ambasciatore della Repubblica Ceca presso il Consiglio d’Europa. Ha anche servito nel governo come ministro senza portafoglio per cinque mesi, dal gennaio 2009 al maggio 2009, ed è stato anche indicato dal governo ceco come commissario europeo.
Molto variegato il curriculum del nuovo ambasciatore di Romania presso la Santa Sede. George Gabriel Bologan viene dal ruolo di consulente del presidente Klaus Iohannis, che ricopriva dal febbraio 2024 rimpiazzando Bogdan Aurescu, che è stato eletto giudice della Corte di Giustizia Internazionale.
Bologan è nella carriera diplomatica dal 2003, ed è stato in precedenza console generale di Romania a Milano e Ambasciatore di Romania in Italia e poi in Spagna. Conosce bene l’Italia e la Santa Sede, avendo studiato filosofia e teologia alla Pontificia Università Gregoriana, il Pontificio Istituto Orientale, la Pontificia Università Urbaniana e al Pontificio Istituto Sant’Anselmo. Ha anche una laurea in Scienza della Comunicazione alla LUMSA di Roma.
FOCUS AMERICA LATINA
Nicaragua, un altro vescovo espulso
Il vescovo Carlos Enrique Herrera Gutierrez della diocesi di Jinotega, in Nicaragua, presidente della Conferenza Episcopale, è stato esiliato dal governo in Guatemala lo scorso 13 dicembre. È il terzo vescovo ad essere esiliato dal regime di Ortega. Prima di lui sono stati esiliati anche monsignor Rolando José Álvarez Lagos, vescovo della diocesi di Matagalpa, e monsignor Isidoro del Carmen Mora Ortega, della diocesi di Siuna, allontanato il 13 gennaio 2024.
Nel 2019, monsignor Silvio José Báez, vescovo ausiliare di Managua, ha dovuto andare in esilio dopo aver ricevuto minacce di morte. Vale la pena ricordare che anche il nunzio è stato espulso all’improvviso, mentre il personale della nunziatura è stato poi esiliato a San Salvador, mentre la nunziatura del Nicaragua è custodita dall’ambasciata italiana.
L’esilio di Herrera arriva dopo la sua pubblica denuncia del governo locale di Jinotega. Domenica 10 novembre, durante la Messa serale nella cattedrale San Juan Bautista, il presule ha espresso il suo malcontento per i continui eventi rumorosi organizzati dal comune che interrompono le celebrazioni liturgiche. Le sue parole durante la liturgia sono state: “È un sacrilegio quello che il sindaco e tutte le autorità comunali stanno facendo... Chiediamo perdono a Dio per loro e per noi”. La denuncia è stata fatta durante il rito penitenziale.
Mercoledì, prima dell’allontanamento del vescovo, è stata disattivata la pagina Facebook ufficiale della Diocesi di Jinotega, che veniva utilizzato soprattutto per trasmettere in diretta la messe domenicali, i giovedì eucaristici e altri eventi religiosi.
Secondo la stampa locale, tra le altre misure contro la Chiesa cattolica c’è il divieto per i sacerdoti di entrare negli ospedali pubblici per amministrare l’unzione degli infermi, anche se non c’è un documento ufficiale che lo attesti.
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