Trieste, 31 October, 2024 / 9:00 AM
Il primo nemico dell’Europa è l’Europa stessa. Perché è dall’interno dell’Europa che si muovono forze che ne fanno erodere l’identità, privilegiano la cultura della morte, impongono una economia che non può che creare divisioni e una agenda politico-energetica che è anche causa di conflitti.
Per il 16esimo anno, la Fondazione Van Thuan pubblica il Rapporto sulla Dottrina Sociale nel Mondo, e il titolo è eloquente. “Finis Europae? Un epitaffio per il vecchio continente”. È davvero la fine dell’Europa? E di quale Europa si sta parlando?
Il rapporto è chiaro sin dall’inizio: Europa non significa Unione Europea, anche se “è proprio l’Unione a privare l’Europa del suo popolo, privandola dei popoli”. L’accusa è che “nell’Unione Europea è in atto un sistematico progetto di pedagogia delle masse che utilizza la lunga esperienza americana in questo settore e che si avvale delle nuove tecnologie. I popoli europei sono controllati, sorvegliati e la loro vita è indirizzata dall’alto”.
Lo scenario è piuttosto cupo. Il modello socialdemocratico è definito “in fase terminale” nei Paesi Scandinavi dove “la Svezia paga gli immigrati perché se ne pagano”, in Germania “le politiche green e l’accentuato immigrazionismo” hanno “indebolito la locomotiva di Europa”, l’Olanda è all’avanguardia nella legislazione pro-aborto, eutanasia e maternità surrogata, la Polonia è descritta come “ostaggio di un governo liberal aiutato a tornare al potere dalla Commissione dell’Unione Europea, inteso a distruggere il cattolicesimo della nazione polacca e a imporre, anche con la violenza, il disprezzo della legge e il controllo dell’informazione, una transizione velocissima verso il relativismo e il laicismo”.
E poi, la rivoluzione socialista in Spagna che ne fa “un Paese pienamente allineato agli stile di vita di un occidente morente”, la Francia vive “una decomposizione etica e sociale”, con l’aborto tra le libertà costituzionali e “le stesse Olimpiadi usate come propaganda woke”.
I vescovi cosa fanno? Il rapporto accusa che sia la Commissione dei Vescovi dell’Unione Europea a Bruxelles (COMECE) e quelli del Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa (CCEE), nonché le singole conferenze episcopali nazionali “hanno assunto un atteggiamento di cieco allineamento verso le politiche del potere ufficiale in quattro ambiti: l’agenda gender, l’agenda sanitaria, l’agenda climatica e l’idea di Europa”.
Il rapporto arriva così a dire che “il primo nemico dell’Europa è dentro l’Europa, ma non fuori”. Ma nota anche che “nella Chiesa nascono nuove realtà indisponibili a cancellare l’obbligo di rispettare i principi non negoziabili nella pubblica piazza, una sana religiosità di popolo permane sotto gli aggiornamenti spericolati dei vertici ecclesiastici, la consapevolezza critica circa l’esistenza di un potente sistema di controllo sta aumentando”.
Non solo. “Si nota anche un certo recupero di concetti e idee proprie del diritto naturale – continua – e nell’Europa orientale alcune nazioni, seppure in modo non sempre coerente, cercano di stabilire alleanze contrarie al sistema imperante, l’espansione dell’Unione Europea ad Est incontra varie difficoltà, molte voci si sollevano per criticare le scelte ideologiche in campo economico e le loro ripercussioni sulla pelle dei cittadini fa aprire molti occhi, nasce in vari modi un pensiero alternativo ed anche opere concrete che cercano di muoversi in modo libero rispetto al sistema che intruppa e condiziona”.
È una speranza che nasce da un dato, sottolineato dall’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, presidente onorario della Fondazione: che, sebbene il cristianesimo sia “geograficamente nato in Oriente”, è qui in Europa che “è diventata possibile una ‘civiltà cristiana’ con caratteristiche proprie ed uniche, tali da garantire alla ragione naturale la sua legittima autonomia senza con ciò assolutizzarla, ma ponendola in dipendenza rispettosa dalla rivelazione e dalla grazia”.
Sebbene anche chi nega la centralità della fede cristiana per l’edificazione culturale dell’Europa riconosca che il cristianesimo a parte delle radici di Europa, quello che si vive oggi è un fenomeno “inedito”, ovvero “una cultura non religiosa, ossia non derivante da una religione, ma irreligiosa e atea”.
Viene da lì il “ripensamento radicale della vita sociale e della politica”, che ha fatto sì che “in Europa sono esplose le grandi ideologie anticristiane dei gulag, ma si è anche fatta strada una rivoluzione non esplosiva, ma non meno pericolosa fondata sulle libertà moderne assolutizzate, su una secolarizzazione proposta e accettata come positiva o addirittura condivisa da molti cristiani, e sulla separazione della libertà rispetto alla verità, tante volte denunciata da San Giovanni Paolo II. Nelle società democratiche europee si sono attuati progetti di nuovo totalitarismo contrario alla vita umana che viene colpita soprattutto nella sua fase iniziale e finale”.
Un rapporto, insomma, da leggere per guardare all’Europa con altri occhi. O anche solo per non guardare all’Europa semplicemente con gli occhi del mainstream.
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