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Chi ha Dio non manca di nulla. XXIX Domenica del Tempo Ordinario

Il brano di Vangelo di questa domenica ci aiuta a scoprire l’identità di Cristo e del discepolo. I due fratelli e apostoli Giacomo e Giovanni rivolgono a Gesù una richiesta: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10,35-37). Giacomo e Giovanni dimostrano non solo di non avere ancora compreso la missione Cristo, ma di essere animati anche da una buona dose di presunzione. Il loro comportamento li pone in cattiva luce davanti ai loro compagni e suscita la reazione polemica e negativa degli altri apostoli. Non dimentichiamolo mai: l’ambizione, la ricerca del prestigio, il gusto del potere generano divisioni, gelosie, invidie, che sono la morte della comunità e dell’amore fraterno. La petizione di questi due apostoli, inoltre, lascia intravvedere la mentalità dei tanti che hanno la pretesa di piegare il Signore alla propria volontà, ai propri desideri, ai propri sogni e non invece a rendersi disponibili ad accogliere la Sua volontà, nella quale, come insegna Dante, è la nostra pace. La mentalità dei due discepoli potremmo sintetizzarla in questa modo: “Signore, esaudisci le nostre attese, non le tue promesse”.

 Gesù, contrappone alla mentalità mondana dei due discepoli, il suo esempio. Lui, il Figlio di Dio, è venuto come servitore, come Colui che dona la vita. Possiamo dire che il mio bene è il Suo “primo lavoro”, la sua prima preoccupazione. Il Signore fa sua la nostra causa. Egli, infatti, è venuto non per fare il padrone, non per essere servito, ma per fare il servo. Un padrone fa paura, un servo no. Un padrone esige e pretende per sè, il servo invece si impegna per un altro; il padrone castiga il servo invece soccorre.

E ci invita a fare altrettanto. Alla luce di questo insegnamento di Cristo, siamo ora in grado di rispondere alle due domande cruciali: “Chi è Gesù? Chi è il discepolo?”. Gesù è il Figlio di Dio che rivela tutto il suo amore per l’uomo non solo rinunciando alla sua condizione divina, ma morendo in Croce. Il discepolo è colui che, imitando il Maestro, accetta la propria croce come via di salvezza per sè e per gli altri. La sequela di Cristo, dunque, non porta con sé particolari privilegi e non è neppure la strada per difendere diritti personali o acquisire privilegi, ma è una strada che insegna “semplicemente” a perdere, per amore, la propria vita, come ha fatto il nostro Maestro.

"C'è più gioia nel dare che nel ricevere" ha detto Gesù. E’ l’amore che rende bella la nostra vita e quella degli altri. Riconosciamolo: tante tristezze, tante solitudini, scoraggiamenti, crisi, fallimenti si possono evitare se invece di pensare solo a noi stessi cominciassimo ad amare gli altri e ad offrire le nostre fatiche e sofferenze al Signore per il bene dei fratelli. Il Signore con la sua chiamata ci invita a scegliere tra la “bella vita” e una “vita bella“, tra una vita che vogliamo tenere stretta tra le nostre mani, con inevitabili ansie e paure di ogni genere, e una vita consegnata a Dio, nel quale è possibile riposare in pace come un bimbo in braccio a sua madre. Quando questo accade, anche noi con santa Teresa d’Avila possiamo ripetere: «Niente ti turbi, niente ti spaventi. Chi ha Dio non manca di nulla. Niente ti turbi, niente ti spaventi. Solo Dio basta».   

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