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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, la geopolitica del Concistoro

Il Palazzo Apostolico Vaticano

Con il concistoro del prossimo 8 dicembre, Papa Francesco include ben 20 cardinali elettori nel Collegio Cardinalizio. A fine anno, saranno dunque 140 i cardinali che potranno votare in conclave, e scenderanno a 127 nel corso del 2025.

Le scelte di Papa Francesco sul concistoro sono generalmente sorprendenti. In questo concistoro, ci sono alcune decisioni che hanno un particolare impatto geopolitico. Per esempio, la scelta di creare cardinale l’arcivescovo di Teheran / Ispahan, o la scelta di creare cardinale un esponente della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ma proveniente dall’Australia.  

In questa settimana, Papa Francesco ha anche incontrato l’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina Sviatoslav Shevchuk, mentre tra la fine di questa settimana e la prossima avrà possibilità di incontrare dei ministri argentini.

                                                           FOCUS CONCISTORO

Il peso diplomatico del concistoro

Nella scelta dei cardinali che saranno creati il prossimo 8 dicembre, Papa Francesco ha fatto alcune scelte che hanno un certo impatto geopolitico.

Il Papa ha deciso di non creare cardinale l’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina Sviatoslav Shevchuk, nonostante i suoi predecessori siano sempre stati cardinali. Ha invece preferito premiare la Chiesa Greco Cattolica Ucraina con una scelta a sorpresa, quella dell’eparca di Melbourne Mychola Bychok.

Ci sono varie ragioni che possono spiegare la scelta. Prima di tutto, Papa Francesco è sempre stato prudente nell’approcciarsi alla guerra in Ucraina e, in generale, alla Russia, ritenendo che in questo modo non si vadano a vanificare alcuni sforzi per la pace. L’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina non è patriarca per una scelta che fece la Santa Sede di non avere un patriarcato in un posto che poteva creare tensioni proprio con il Patriarcato di Mosca. Lo stesso Papa Francesco, in una udienza con i membri del Patriarcato di Mosca già nel 2015, sottolineò che l’unicità del loro patriarcato.

Inoltre, Sua Beatitudine Shevchuk è stato in prima linea, e né lui né il suo sinodo hanno risparmiato critiche forti al Patriarcato di Mosca e all’utilizzo ideologico che fa della religione, concentrandosi in particolare sull’ideologia del Mondo Russo, il ruskyi mir, che ha creato una ideologia, ritiene Sua Beatitudine, ruscista, un neologismo che combina le parole “russista”, “fascista” e “rascista”.

La Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha, per questo motivo, appoggiato anche la legge licenziata dalla Rada che abolisce il Patriarcato di Mosca sul territorio ucraino, più che altro denunciando che le organizzazioni religiose che utilizzano la fede per giustificare la guerra. È una legge di guerra, con i suoi limiti, ma che risponde anche alla cancellazione della Chiesa Greco Cattolica Ucraina nei territori occupati dai russi. Papa Francesco ha però fortemente denunciato la legge in un Angelus, senza entrare a fondo nelle questioni.

Così, Papa Francesco ha deciso di guardare all’Ucraina, ma di farlo a modo suo, dando la berretta cardinalizia all’eparca di Melbourne Mychola Bychok. È anche un modo per mettere in luce come la Chiesa Greco Cattolica Ucraina non sia una Chiesa nazionale, e dunque un messaggio per evitare il nazionalismo. Di certo, la scelta rischia di indebolire Shevchuk nel confronto con le autorità politiche in patria, anche se poi Sua Beatitudine ha una credibilità che ha un suo perché.

Non è casuale nemmeno la scelta di dare la berretta rossa all’arcivescovo Mathieu di Teheran – Ispahan. L’arcivescovo di origine belga è stato inviato alla diocesi della capitale dell’Iran dopo sette anni di vacanza. Sebbene le relazioni tra Santa Sede e Iran a livello diplomatico siano considerate buone, ci sono stati diversi problemi per la Chiesa locale, a partire dall’espulsione di alcuni religiosi cui non è stato rinnovato il visto. Ora, con la situazione di conflitto in Medio Oriente, la berretta cardinalizia a Mathieu permette alla piccola Chiesa locale di avere più forza e rappresentatività internazionale, con la speranza che comunque non si arrivi ad una escalation.

Anche la berretta rossa all’arcivescovo di Belgrado Laszlo Némét va letta in una chiave di rappresentanza territoriale. La Serbia non ha avuto per anni un cardinale. Stato a maggioranza ortodosso, ha visto nella gerarchia ecclesiastica locale uno dei più grandi oppositori alla canonizzazione del Cardinale Aloizije Stepinac, arcivescovo di Zagabria e più volte imprigionato.

Tuttavia, il rapporto con il mondo ortodosso, al di là dell’episodio Stepinac, sembra andare avanti bene, e il nuovo patriarca, Porifirije, sembra aver promosso un approccio più aperto. Si è parlato a lungo di un possibile viaggio di Papa Francesco in Serbia, e recentemente il cardinale Parolin ha fatto visita al Paese. La berretta cardinalizia all’arcivescovo di Belgrado dà dunque peso alla Chiesa locale. C’è da dire che nei balcani ci sono altri due cardinali, Bozanic e Puljic, entrambi emeriti, rispettivamente di Zagabria e Sarajevo. Mentre la Santa Sede guarda con attenzione ai Balcani occidentali, dunque, sarebbe stato forse interessante allargare il novero delle berrette rosse a tutti i Paesi della ex Jugoslavia.

Papa Francesco ha rinforzato anche la pattuglia latino-americana nel collegio dei cardinali, ed è importante specialmente per il Cile, che vede l’arcivescovo di Santiago Chomali diventare cardinale, dove il dramma degli abusi ha portato prima alla dimissione dei vescovi e poi a campagne mediatiche che si sono risolte anche in attacchi alle Chiese locali.

Il viaggio in Indonesia, e il suo lavoro sulla fraternità, ha garantito al vescovo di Bogor l’ingresso nel collegio cardinalizio.

Manca l’arcivescovo di Bruxelles tra i nuovi cardinali, e potrebbe aver influito anche la tensione che si è creata nel viaggio del Papa nel Paese con le autorità governative. Viene tenuta fuori ancora Parigi dalle sedi cardinalizie, e anche Lisbona non ha un cardinale.

Il Papa, insomma, non guarda alle capitali, ma guarda piuttosto ai messaggi. In questo concistoro, ha deciso di evitare ogni tipo di possibile scontro, e di privilegiare invece i luoghi dove ritiene ci possano essere ponti. È una strategia diplomatica anche questa.

                                                           FOCUS UCRAINA

Shevchuk da Papa Francesco, di cosa hanno parlato

Sono state soprattutto le questioni umanitarie al centro del colloquio tra Papa Francesco e Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, guida della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. Il 10 ottobre, il capo della più grande delle Chiese sui iuris ha potuto incontrare il Papa per un incontro approfondito. Shevchuk è a Roma per partecipare al Sinodo dei vescovi, ma la sua presenza è anche costellata da appuntamenti istituzionali in Vaticano e con autorità italiane per perorare la causa del suo popolo.

Secondo un comunicato della segreteria di Roma dell’Arcivescovado maggiore, “Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk ha presentato a Papa Francesco le decisioni dell’ultimo Sinodo dei vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina, durante il quale si è discusso dell’evangelizzazione nel contesto della guerra”

“Oggi – ha detto Sua Beatitudine a Papa Francesco – abbiamo da una parte il compito importante di opporci alla militarizzazione della religione, che vediamo nell'aggressione russa contro l'Ucraina. D’altra parte, però, siamo anche e soprattutto chiamati ad annunciare la Parola di Dio alle persone in tempi di dure prove, essendo portatori di speranza anche nelle condizioni disperate della guerra”.

L’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina ha ringraziato il Papa per il suo aiuto continuo e per la mediazione nel processo di liberazione dei prigionieri, in particolare dei sacerdoti greco-cattolici, Rev. Ivan Haleta e Bohdan Levytskyy, rilasciati dopo più un anno e mezzo di prigionia lo scorso 28 giugno. Sua Beatitudine raccontato al Santo Padre della loro terribile esperienza di prigionia nelle carceri russe e del loro ministero attuale.

(La storia continua sotto)

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Si è parlato anche dall’emergenza umanitaria che si svilupperà con l’arrivo dell’inverno, e Sua Beatitudine ha detto al Papa che “la Russia distrugge sistematicamente le infrastrutture civili delle nostre città e villaggi, colpisce i quartieri residenziali. Oggi è evidente a tutti che la denazificazione significa l'annientamento del popolo ucraino, significa un'Ucraina senza ucraini”.

Da parte sua, il Santo Padre ha promesso al Capo della Chiesa greco-cattolica ucraina che continuerà a sostenere l'Ucraina e ad attivare tutti i meccanismi diplomatici della Santa Sede per fermare la guerra in Ucraina. Papa Francesco ha prestato particolare attenzione alla necessità di mobilitare tutti gli sforzi per aiutare l'Ucraina alla vigilia dell'inverno e ha assicurato che “non permetterà al mondo di dimenticare l'Ucraina”.

                                               FOCUS PAPA FRANCESCO

L’11 ottobre, Papa Francesco non ha solo ricevuto il presidente ucraino Volodymir Zelensky e il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez, ma anche il segretario del Culto e della Civilizzazione di Argentina, Nahuel Sotelo.

Sotelo era in Italia per colloqui con il governo. La vicepresidente di Argentina Victoria Villaruel incontrerà Papa Francesco lunedì 14 ottobre.

Dopo l’incontro, Nahuel Sotelo ha chiesto di non “politicizzare la figura del Papa”. Sotelo ha definito l’incontro come “indimenticabile”.

Sotelo ha preso l’incarico lo scorso mese, ereditandolo da Francisco Sanchez. Ha definito l’incontro con il pontefice come “personale e che rimarrà per sempre nella mia memoria. Fa male al nostro Paese quando certi settori politicizzano la figura di Francesco e non traggono vantaggio dal’avere un Papa argentino”.

L’incontro ha avuto luogo alcune settimane dopo le critiche del Papa contro il governo Milei per l’uso di gas al peperoncino in manifestazioni. A metà settembre, in un incontro cui partecipava Juan Grabois, il leader dei movimenti popolari, Papa Francesco ha messo in discussioni le azioni della Casa Rosada nelle proteste sociali, dicendo: “Invece di pagare le giustizia sociale ha pagato il gas, era più conveniente.

                                                           FOCUS SINODO

Libano, il Patriarca armeno Minassian ringrazia il Papa

In una situazione complessa per il Libano, lo scorso 5 ottobre, Raphaël Bedros XXI Minassian, patriarca degli Armeni cattolici di Cilicia, ha avuto una udienza con Papa Francesco. Durante l’udienza, riferisce la sezione armena di Radio Vaticana, il patriarca Minasian ha chiesto al Papa di “esercitare pressioni sulla famiglia internazionale affinché metta fine alla guerra e alle sofferenze umane che il popolo libanese sta vivendo”.

Papa Francesco ha detto che farà tutto il possibile per raggiungere la pace.

Il Patriarca era accompagnato dai membri dell'organizzazione spirituale indiana “Radha Soami Satsang Beas”.

Fondata in India nel 1891, Radha Soami Satsang Beas è un'organizzazione religiosa guidata dalle credenze spirituali che costituiscono la base della maggior parte delle religioni. Al centro degli insegnamenti del RSSB c’è la convinzione che esista uno scopo spirituale nella vita umana, che porta a sperimentare la divinità di Dio in ognuno di noi. L'organizzazione opera in vari campi e ha realizzato vari progetti.

In una intervista al Sir lo scorso 7 ottobre, in occasione della giornata di digiuno e preghiera per la pace, Sua Beatitudine Minassian ha ringraziato Papa Francesco per il suo interesse e i numerosi appelli per la pace in Libano, e ha denunciato: “I politici? Stanno uccidendo innocenti. È una scusa dire di volere combattere quella corrente o quell’altra. In realtà quello che sta accadendo è la morte di innocenti e la distruzione di case. E allora pongo una domanda: chi siamo? Cosa vogliamo? Stanno combattendo per un pezzo di terreno, per avere un metro in più, un metro in meno. È un assurdo”.

Il patriarca armeno cattolico si è riferito anche al numero degli sfollati, il ministro degli Esteri libanese Fuad Hussein ha stimato in un discorso all’ONU come “vicini al mezzo milione”. Per Minassian si tratta di “un disastro. Non ho parole per descrivere quanto il nostro popolo sta vivendo. Ribadisco e ripeto sempre la stessa cosa: la guerra è il segno della debolezza dell’essere umano. C’è sempre la possibilità di trovare delle soluzioni dialogando, parlando gli uni con gli altri, in spirito di riconciliazione e con la disponibilità anche di cedere qualcosa per il bene comune, per il bene della società, per il futuro dell’umanità. E invece la guerra distrugge tutto. Non fa altro che sbriciolare la vita in macerie. Crea odio. Impedisce la possibilità di un futuro riconciliato. Solo nel dialogo, si possono mettere le basi per una società umana e sana e risolvere i problemi per il bene dell’uomo. Dio ci ha dato tutto. Ma noi abusiamo di quanto ci è stato donato”.

Minassian ha anche parlato di “una guerra mondiale in atto”, una guerra che “gira da un Paese all’altro. Solo la sofferenza che genera, cresce e rimane. Le vittime non sono solo da una parte, sono da tutte le parti. Alla fine la vittima è l’umanità intera”.

La testimonianza del vescovo maronita libanese

La settimana del Sinodo si è aperta con la giornata di digiuno e preghiera per la pace. Nella giornata, la conferenza stampa ha visto la toccante testimonianza del vescovo Mounir Khairallah di Batrun dei Maroniti. Questi, nonostante il padre e la madre siano stati uccisi e lo abbiano lasciato orfano insieme a tre fratelli e sorelle dai due ai sei anni, ha avuto parole di perdono, che gli insegnò una zia religiosa che li accolse in convento e spiegò loro che era importante cercare di perdonare.

Il vescovo Khairallah, che è stato nominato nel comitato di redazione del documento finale del Sinodo, ha sottolineato che “noi libanesi vogliamo sempre condannare l’odio, la vendetta, la violenza. Vogliamo costruire la pace. Siamo capaci di farlo. La guerra ci è stata imposta, ma il Libano è un Paese messaggio, come diceva San Giovanni Paolo II. Un Paese messaggio di convivialità, di libertà, di democrazia, di vita nel rispetto delle diversità. Anche Papa Francesco è convinto di questo”.

Khairallah ha aggiunto che “il Libano è un messaggio di pace e dovrebbe restare un messaggio di pace. È l’unico Paese del Medio Oriente dove possono vivere insieme cristiani, musulmani ed ebrei nel rispetto delle loro diversità, in una nazione che è una “nazione modello”, come diceva Benedetto XVI. Noi libanesi vogliamo sempre condannare l’odio, la vendetta, la violenza. Vogliamo costruire la pace. Siamo capaci di farlo”.

Nell’omelia della Messa del 9 ottobre, Paul Rouhana, vescovo ausiliare di Joubbé, Sarba e Jounich dei maroniti e vescovo titolare di Antarado, ha sottolineato che “è importante ricordare, nel corso del nostro cammino sinodale, che il futuro delle nostre Chiese e dei nostri rispettivi Paesi, in particolare quelli che vivono in tempi di crisi, non deve dipendere unicamente da calcoli e analisi geostrategiche e geopolitiche”.

Nel suo messaggio il presule libanese ha ricordato la figura di San Charbel Makluf, ed ha evidenziato come i conflitti, tutti, non solo quello in Medio Oriente, rappresentino “il fallimento” e la “rottura del dialogo" che "porta a un mostruoso rifiuto di ogni convivialità sociale”.

                                                           FOCUS LIBERTÀ RELIGIOSA

Berlino, un ministeriale sulla libertà religiosa

Si è tenuto in questa settimana il Ministeriale di Berlino della Alleanza per la Libertà religiosa o di fede internazionale. L’alleanza mette insieme 38 Stati che hanno l’obiettivo di promuovere la libertà religiosa e di credo in tutto il mondo. Il 10 ottobre, un evento organizzato dall’Osservatorio per l’Intolleranza e la Discriminazione contro i cristiani in Europa, dalla COMECE, dal Religious Freedom Institute e dalla Segreteria di Stato Ungherese per l’Aiuto ai Cristiani Perseguitati, ha discusso la crescente intolleranza contro i credenti che aderiscono agli insegnamenti tradizionali su matrimonio, famiglia, gender e natura umana in Europa e Nord America.

Titolo della serata era: “Libertà religiosa e tolleranza per la tradizione: la sfida per l’occidente pluralista”.

Anja Hoffman, direttore esecutivo dell’Osservatorio, ha sottolineato che “è molto preoccupante che l’espressione pacifica di credi religiosi personali in temi riguardanti il matrimonio e la famiglia siano diventati la potenziale fine di una carriera politica o di un impiego, e persino l’inizio di un iter processuale. Questa è una minaccia molto grave alla libertà religiosa, e porta ad una ampia autocensura tra i credenti tradizionali occidentali”.

Luis Bazán, consulente legale per le Migrazioni e l’Asilo e la libertà religiosa internazionale presso la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) ha detto che la “persecuzione educata” cui ha fatto riferimento Papa Francesco è pressante contro “le politiche e le legislazioni, nonché la pressione sociale, che minacciano e limitano la possibilità dei cristiani di esprimersi e vivere secondo i suoi principi morali e religiosi nella società liberali contemporanee”.

I promotori dell’evento hanno anche redatto una dichiarazione agli Stati membri dell’Alleanza, in cui si afferma che “la libertà religiosa per tutti, inclusi quelli che sposano gli insegnamenti religiosi tradizionali su matrimonio, famiglia e natura umana”, come annunciato da Todd Huizinga, ricercatore per l’Europa all’Istituto per la libertà religiosa.

Osumane Diagne, ministro della Giustizia del Senegal, ha sottolineato l’importanza della libertà religiosa nello sviluppare coesione e pace nella società.

Márk Aurél Érszegi, consulente speciale per la Diplomazia e la Religione nel Ministro per gli Affari Esteri e Commercio di Ungheria, ha messo in luce la necessità di mantenere un “equilibrio culturale”, che si basi sulla tradizione e i valori di ogni singola regione del mondo occidentale. Questo approccio, ha detto, può proteggere dalla “colonizzazione ideologica che andrebbe a cancellare le differenze”.

Katharin von Schnubein, coordinatore della Commissione Europea per la Lotta all’Antisemitismo, ha sottolineato l’importanza di sostenere e mettere in sicurezza la pratica della libertà religiosa in Europa, affermando che c’è bisogno di “trovare modi di riconciliare la libertà religiosa con altri valori, perché sono di fatto riconciliabili e non sono contrapposti l’uno all’altro”.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede ai dialoghi della Dimensione Umana, su Tolleranza e Non Discriminazione

L’8 ottobre, la Conferenza sulla Dimensione Umana di Varsavia ha continuato la sua plenaria, affrontando il tema della Tolleranza e della non discriminazione. È la missione della Santa Sede presso l’OSCE di Vienna a partecipare ai Dialoghi.

Nel suo intervento, la Santa Sede ha notato che tutti gli indicatori “confermano che l’intolleranza e la discriminazione motiva da antisemitismo e pregiudizio anti-religioso contro Musulmani, cristiani e membri di altre religioni sono in crescita” sia ad Oriente che a Occidente”.

Inoltre, la risposta di Israele ad Hamas scaturita dal massacro di cittadini israeliani lo scorso 7 ottobre hanno portato ad ondata di discriminazione e odio antisemita e anti islamico.

Per questo, la Santa Sede ha lamentato che l’agenda dell’incontro non facesse una menzione specifica dell’antisemitismo né dell’intolleranza e discriminazione contro crstiani, musulmani e membri di altre religioni. Questo, si legge nel discorso della Santa Sede, dà “un messaggio sbagliato” perché “il punto di partenza per lo sviluppo di ogni risposta deve essere prima di tutto il riconoscimento che queste sfide sono di preoccupazione comune”.

In particolare, la Santa Sede si dice “particolarmente allarmata” dal crescente numero di attacchi con obiettivo sinagoghe, moschee, chiese, altri luoghi di culto, cimiteri e luoghi religiosi. Questi attacchi costituiscono “una grande proporzione degli atti di violenza motivati dall’antisemitismo e dal pregiudizio anti-religioso”.

La Santa Sede nota anche che la discriminazione contro i cristiani, come sottolineato da diversi rapporti, è in crescita eppure c’è una resistenza da parte di alcuni Stati dell’OSCE di affrontare questo fenomeno – come spiega il rapporto della Personale Rappresentante del CiO Polak.

Insomma, denuncia la Santa Sede, “specialmente ad Ovest di Vienna, certi sentimenti e manifestazioni di intolleranza e discriminazione contro i cristiani rappresentano l’ultimo pregiudizio accettabile e sembrano ricevere meno attenzione di altre forme di intolleranza, presumibilmente perché il cristianesimo è considerato ancora una religione dominante”.

Ma, nota la Santa Sede, tutte le forme di intolleranza religiosa e discriminazione dovrebbero ricevere attenzione uguale, evitando approcci parziali e selettivi”.

La Santa Sede a New York, la prevenzione dei crimini

Il 7 ottobre, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede nelle Nazioni Unite, ha preso due volte la parola al Terzo Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, affrontando i temi della prevenzione dei crimini e del controllo internazionale della droga.

Parlando della questione della prevenzione dei crimini, l’arcivescovo Caccia ha riaffermato che prevenire e contrastare i crimini è indispensabile per costruire società sicure, giuste e stabili.

Notando che il crimine colpisce in maniera sproporzionata coloro che vivono in situazioni vulnerabili e che povertà, scarsa educazione e disoccupazione sono tutti fattori che possono portare al crimine, l’Osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite ha sottolineato l’importanza di una educazione di qualità e di standard di lavori chiari, e allo stesso modo il ruolo critico della famiglia.

Il nunzio ha anche sottolineato alcuni reati che destano particolare preoccupazione, come il traffico di organi e la tratta e lo sfruttamento dei bambini, e ha chiesto agli Stati di rafforzare i loro codici legislativi e legali.

Caccia ha anche sottolineato che la dignità umana deve essere rispettata anche nell’imposizione di sanzioni penali, perché la vera giustizia non può essere raggiunta solo punendo i criminali, ma ha valore solo se aiuta i criminali a reintegrarsi nella società.

Per quanto riguarda il tema del controllo internazionale della droga, l’arcivescovo Caccia ha posto l’attenzione sull’attuale crisi globale della droga, e in particolare sulla epidemia degli oppioidi e la nascita di nuove sostanze psicoattive.

L’arcivescovo ha chiesto di rinnovare l’impegno internazionale per combattere il traffico di droga che si adatti alle sfide in evoluzione ora.

In questo senso, la Santa Sede propone un approccio su tre linee guida. La prima è di supportare sistemi penali efficaci e umani, che diano priorità alla riabilitazione e reintegrazione del criminale, e allo stesso tempo si oppongano alla pena di morte e alla tortura.

Il secondo approccio prevede una attenzione per programmi di trattamento globali per consumatori di droga che ne rispettino la dignità e forniscano un supporto olistico.

Il terzo approccio riguarda il riconoscimento del ruolo chiave dell’educazione nel prevenire la dipendenza dalla droga, con lo stabilimento di iniziative che instillino valori e informino i bambini riguardo i pericoli dell’suo della droga, a partire dalle famiglie e dalla scuola.

La Santa Sede a New York, la promozione della donna

Il 9 ottobre, la Santa Sede ha preso la parola al Terzo Comitato della 79esima assemblea generale delle Nazioni Unite sul tema “La promozione della donna”.

La Santa Sede ha chiesto una risposta comune, che coinvolga sia uomini che donne, per combattere lo scempio della violenza contro le donne, e in particolare la violenza domestica. Ha condannato, in particolare, quelli che fanno profitti dalla tratta e dallo sfruttamento sessuale delle donne, e ha denunciato l’idea che normalizzare pornografia e prostituzione prevenga il trattamento degradante delle donne.

Secondo la Santa Sede, la donna non sarà mai pienamente promossa se non verranno rispettate le sue capacità uniche, inclusa la maternità. Ma tragicamente, anche oggi, “la povertà preclude a molte donne l’accesso a personale ostetrico e abile e cliniche adeguatamente equipaggiate che possono prevenire le morti materne.

Quella povertà – nota la Santa Sede – è spesso presidiata dall’abuso e anche dalla pressione di praticare un aborto. Inoltre, sta crescendo una prevalenza di maternità surrogata, per la quale la Santa Sede ha chiesto un bando internazionale.

Infine, la Santa Sede ha enfatizzato che l’educazione è “la chiave per permettere a donne e ragazze di sviluppare i loro talenti e realizzare il loro potenziale nella società”, e per questo “la Santa Sede è impegnata a supportare l’eguale dignità di ogni donna e ragazza, assicurando che possa pienamente sviluppare i propri doni in tutte le sfere della vita”.

                                                           FOCUS TERRASANTA

Terrasanta, dichiarazione dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme

Lo scorso 10 ottobre, l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme ha diramato una dichiarazione che marca il primo anniversario del massacro perpetuato da Hamas il 7 ottobre 2023, che ha causato la risposta israeliana.

L’Ordine nota che la situazione per la popolazione in Terra Santa continua ad essere estremamente difficile”.

La nota informa che il Gran Magistero dell’Ordine si è riunito attorno al Cardinale Fernando Filoni, Gran Maestro e al Governatore Generale, Ambasciatore Leonardo Visconti di Modrone, in presenza dell’Assessore Mons. Tommaso Caputo, per la riunione semestrale.

Questa riunione – nota il comunicato – “che normalmente vede partecipare anche il Gran Priore dell’Ordine, il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, che purtroppo, a causa dell’aggravarsi delle condizioni internazionali, non ha potuto essere presente di persona, ma ha inviato un videomessaggio nel quale ha ringraziato i Membri dell’Ordine per il loro sostegno e per la loro preghiera, fondamentali in questo momento drammatico. I morti aumentano giorno dopo giorno ma non possiamo dimenticare come ad essi si aggiungano tragicamente in numeri spaventosi anche i feriti, gli orfani, gli sfollati e chi non ha più modo di assicurare alla propria famiglia la sopravvivenza quotidiana”.

L’Ordine è composto da 30 mila membri, e come ogni anno si è impegnato a corrispondere al Patriarca una cifra di quasi 1 milione di dollari al mese. Questa cifra serve a coprire: spese istituzionali di questa grande Diocesi che copre quattro paesi – Israele, Palestina, Giordania e Cipro -; sostegno al network di oltre 40 scuole gestite dal Patriarcato e che offrono un’educazione di qualità a circa 20.000 giovani di Terra Santa, cristiani e musulmani che crescono insieme e nel rispetto reciproco; spese associate al seminario diocesano; contributi per le attività pastorali; e aiuti umanitari.

L’Ordine ha anche stabilito un “fondo speciale per aiuti umanitari per l’emergenza a Gaza e in Cisgiordania”, che ora conta un milione e mezzo di dollari, e che vuole rispondere anche alla crisi della disoccupazione a Gaza a causa del blocco del turismo e alla perdita di lavoro di tanti palestinesi che lavoravano in Israele.

Inoltre, la Commissione per la Terra Santa che è costituita nel Gran Magistero dell’Ordine e che abitualmente visita di persona i progetti, si è riunita online per quattro giorni, rimanendo impossibile vedere i progetti. Si tratta di incontri che sono stati “particolarmente significativi”.

Il comunicato ricorda che “tra i vari progetti specifici portati avanti dal Patriarcato Latino di Gerusalemme con i contributi inviati dall’Ordine del Santo Sepolcro in questo momento vari mirano a creare posti di lavoro specialmente in Cisgiordania affinché chi è nel bisogno e chi ha perso il proprio impiego non riceva solo un sostegno economico, ma venga messo nelle condizioni di avere un reddito. Importante anche la consulenza psicologica offerta da parte dei centri che sono stati creati per aiutare famiglie a superare i traumi”.

                                               FOCUS AFRICA

Santa Sede e Burkina Faso perfezionano il loro accordo

L’accordo tra Santa Sede e Burkina Faso è stato firmato il 12 luglio 2019 e ratificato il 7 settembre 2020. L’11 ottobre, Santa Sede e Burkina Faso hanno firmato il secondo protocollo addizionale dell’accordo sullo statuto giuridico della Chiesa Cattolica nel Burkina Faso.

L’accordo è stato sottoscritto a Ouagadougou, presso la sede del Ministero degli Affari Esteri. Per la Santa Sede, ha firmato l’arcivescovo Michael Crotty, nunzio apostolico, e per il Bukrina Faso Karamoko Jean Marie Traoré, Ministro degli Affari Esteri, della Cooperazione Regionale e dei Cittadini all’Estero del Burkina Faso.

Un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede informa che “il Protocollo Addizionale, che consiste di un preambolo, sette articoli e un allegato, disciplina ulteriormente la procedura per il rilascio del certificato di personalità giuridica nel diritto di Burkina Faso alle persone giuridiche canoniche pubbliche con sede in quella nazione, facilitando così la loro missione evangelica nella promozione del bene comune. Esso è entrato in vigore il giorno stesso della firma”.

Per quanto riguarda accordi e concordati, si contano 261 accordi bilaterali della Santa Sede. Tra questi, alcuni sono modifiche di accordi, mentre altri sono accordi ancora in vigore.

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