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Un servizio di EWTN News

Papa Francesco a Papua Nuova Guinea, “cessino le violenze tribali”, lo sguardo a Dio

Papa Francesco si rivolge alle autorità civili di Papua Nuova Guinea, APEC Haus, Port Moresby, 7 settembre 2024
Papa Francesco firma il Libro d'Onore nella Casa del Governatore di Papua Nuova Guinea, Port Moresby, 7 settembre 2024

In una Papua Nuova Guinea ancora scossa dalle violenze tribali, e in una situazione politica instabile anche per via delle spinte indipendentiste di Bouganville, Papa Francesco chiede che cessi ogni forma di violenza, che le istituzioni siano stabili e che ci si apra allo sguardo verso qualcosa di più grande, perché solo se c’è qualcosa di più grande si riesce a creare una nazione pacifica.

Papa Francesco incontra corpo diplomatico e autorità civili della Papua Nuova Guinea. Arrivato ieri nel Paese, ha cominciato la giornata con la solita trafila di saluti istituzionali. La Papua Nuova Guinea è parte del Commonwealth Britannico, e dunque la sua guida è formalmente il re di Inghilterra, ma è un territorio indipendente, con un governatore, Bob Dadae, che la guida dal 2017. Ed è dal governatore che il Papa va per il primo incontro della mattina, con firma del libro d’onore e scambio di doni, prima di spostarsi alla APEC Haus per l’incontro con il mondo diplomatico.

Il Papa si rivolge ad una nazione principalmente cristiana, ma in maggioranza protestante – e di quel protestantesimo che ha una marca molto locale – composta da un arcipelago di centinaia di isole con una grade diversità culturale, tanto che vi si parlano oltre 800 lingue, tanti quanti sono i gruppi etnici.

È questa – dice Papa Francesco – “una straordinaria ricchezza culturale”, cui si aggiunge la ricchezza in “risorse della terra e delle acque”, destinati “all’intera collettività”, anche se poi per il loro sfruttamento “è necessario coinvolgere più vaste competenze e grandi imprese internazionali”, chiamate a comunque “nella distribuzione dei proventi e nell’impiego di mano d’opera” a tenere conto delle esigenze delle popolazioni locali.

Sono ricchezze che chiamano a grande responsabilità, e che richiedono di “dare vita ad uno sviluppo sostenibile ed equo che promuova il benessere di tutti, nessuno escluso”, e la cui condizione necessaria è “la stabilità delle istituzioni”.
Papa Francesco dà dunque l’obiettivo di “accrescere la solidità istituzionale e costruire il consenso delle scelte fondamentali”, essendo questo “un requisito indispensabile per uno sviluppo integrale e solidale”, che richiede “una visione di lungo periodo e un clima di collaborazione tra tutti, pur nella distinzione dei ruoli e nella differenza delle opinioni”.

Il Papa auspica la cessazione delle violenze tribali – a febbraio, gli scontri nelle regioni delle Terre Alte avevano causato 64 vittime – “affinché si interrompa la spirale di violenza e si imbocchi invece risolutamente la via che conduce a una fruttuosa collaborazione, a vantaggio dell’intero popolo del Paese”. Il Papa non manca di citare un conflitto dimenticato, quello di Bougainville, isola che ha votato per l’indipendenza nel 2019 e dove ci sono varie dispute riguardo lo sfruttamento di una miniera chiusa da decenni, tanto che il Papa chiede di evitare “il riaccendersi delle antiche tensioni”.

Solo consolidando la concordia e solo quando ciascuno sarà disponibile “a sacrificare qualcosa delle proprie posizioni a vantaggio del bene di tutti” si potranno “mettere in moto le forze necessarie a migliorare le infrastrutture, ad affrontare i bisogni sanitari ed educativi della popolazione e ad accrescere le opportunità di lavoro dignitoso”.

Papa Francesco però ricorda che c’è bisogno, oltre che del necessario per vivere, “anche di una grande speranza nel cuore”, perché “l’abbondanza dei beni materiali, senza questo respiro dell’anima, non basta a dar vita a una società vitale e serena, laboriosa e gioiosa, anzi, la fa ripiegare su sé stessa”.

Il Papa ammonisce che “l’aridità del cuore le fa perdere l’orientamento e dimenticare la giusta scala dei valori; le toglie slancio e la blocca fino al punto – come accade in alcune società opulente – che essa smarrisce la speranza nell’avvenire e non trova più ragioni per trasmettere la vita e la fede alle generazioni future”.

Serve, così, guardare a realtà più grandi, affinché “i comportamenti siano sostenuti da una forza interiore, che li metta al riparo dal rischio di corrompersi e di perdere lungo la strada la capacità di riconoscere il significato del proprio operare e di eseguirlo con dedizione e costanza”.

Papa Francesco sottolinea che non a caso il motto della visita è “Pregare”. “Forse qualcuno – chiosa il Papa - troppo osservante del ‘politicamente corretto’, potrà stupirsi di questa scelta; ma in realtà si sbaglia, perché un popolo che prega ha un futuro, attingendo forza e speranza dall’alto”.

E poi, “anche l’emblema dell’uccello del paradiso, nel logo del viaggio, è simbolo di libertà: di quella libertà che niente e nessuno può soffocare perché è interiore, ed è custodita da Dio che è amore e vuole che i suoi figli siano liberi”.

Il Papa poi si rivolge ai cristiani, auspicando per loro che “la fede non si riduca mai all’osservanza di riti e di precetti, ma che consista nell’amare Gesù Cristo e seguirlo, e che possa farsi cultura vissuta, ispirando le menti e le azioni e diventando un faro di luce che illumina la rotta”, perché così “la fede potrà aiutare anche la società nel suo insieme a crescere e a individuare buone ed efficaci soluzioni alle sue grandi sfide”.

In conclusione, il Papa si congratula “con le comunità cristiane per le opere di carità che svolgono nel Paese, e le esorto a cercare sempre la collaborazione con le istituzioni pubbliche e con tutte le persone di buona volontà, a partire dai fratelli appartenenti ad altre confessioni cristiane e ad altre religioni, a favore del bene comune di tutti i cittadini della Papua Nuova Guinea”, e ricorda la testimonianza del beato Pietro To Rot, il beato papuasiano.

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