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Un servizio di EWTN News

Cristiani perseguitati, l'impegno delle nazioni islamiche

I firmatari della dichiarazione di Marrakech

Si chiama “Dichiarazione di Marrakech” ed è stata firmata lo scorso 27 gennaio da circa 250 tra leader musulmani ed evangelici riuniti in Marocco. È una dichiarazione che ha una portata storica: chiede alle Nazioni islamiche di difendere i cristiani dalle persecuzioni.

Si legge nella dichiarazione: “Chiediamo ai vari gruppi religiosi legati dalla stesso tessuto nazionale di affrontare il loro mutuo stato di armonia selettiva che blocca le memorie di secoli di convivenza sulla stessa terra. Chiediamo loro di ricostruire il passato nel ravvivare questa tradizione di convivialità, e di restaurare la nostra comune fiducia che è stata erosa dagli estremisti che hanno usato atti di terrore e aggressione”.

La dichiarazione è stata stilata in una conferenza a Marrakech, in Marocco, dove erano presenti non solo musulmani, ma anche rappresentanti di tutte le comunità religiose perseguitate, inclusi i cattolici caldei. L’idea era di dare una risposta alla persecuzione delle minoranze religiose da parte dell’autoproclamato Stato Islamico, che ha mietuto vittime e creato profughi specialmente tra gli yazidi e i cristiani in Iraq.

Il testo base è stata la Carta di Medina, una dichiarazione di Maometto che serviva a mettere fine ad un conflitto tribale e che includeva una serie di responsabilità per il mondo islamico, inclusa la protezione delle minoranze religiose.

Chi ha voluto e organizzato l’incontro è stato un pastore protestante del Texas, che più volte è stato in Marocco e ha creato un network con i leader musulmani, fino a creare la strada verso la conferenza di Marrakesch insieme al suo amico Imam Muhammad Magid.

Una conferenza musulmana a tutti gli effetti, che ha portato alla prima dichiarazione di protezione delle minoranze cristiane.

Più che un passo avanti nel dialogo interreligioso, si potrebbe definire un ponte teologico-diplomatico che serve a proteggere i cristiani rimasti laggiù. L’idea della diplomazia vaticana è piuttosto quella di avere una protezione internazionale sui cristiani e su tutte le minoranze perseguitate, e per questo motivo la Santa Sede si è impegnata in sede internazionale. A marzo 2015, l’Osservatore Permanente a Ginevra ha fatto firmare una dichiarazione al Consiglio dei Diritti Umani per “Sostenere i diritti umani dei cristiani e di altre comunità, in particolar modo nel Medio Oriente.” Era la prima volta che la persecuzione dei cristiani era riconosciuta formalmente, e da così tanti Stati, in una sessione ONU. 

Dall’altro lato, c’è il campo del dialogo interreligioso. Guidato da un diplomatico di professione e sensibilità come il Cardinal Jean Louis Tauran, il Pontificio Consiglio ha diramato due dichiarazioni dalla crisi dell’ISIS: la prima, ad agosto 2014, chiedeva ai partner nel dialogo di prendere una posizione forte in contrasto con le violenze perpetuate dal sedicente Stato Islamico; la seconda, a marzo 2015, sottolineava che ancora si poteva e doveva dialogare con l’Islam e con il mondo islamico.

Così, la dichiarazione di Marrakech può inserirsi più nel lavoro del dialogo che in quello delle relazioni diplomatiche. Senza mancare di considerare che c’è ancora un tavolo di dialogo islamico-cristiano, aperto dopo che 139 musulmani avevano scritto a Benedetto XVI dopo la lezione di Ratisbona e l’errata recezione che se ne era avuta nel mondo secolare.

Su questo tessuto – diplomatico, teologico, di dialogo – si costruiscono i rapporti della Santa Sede con l’Islam. Papa Francesco vi ha dedicato una particolare attenzione, e – forse ad aprile – sarà probabilmente in visita alla Moschea di Roma, il primo Papa a farlo.

Sempre sulla dichiarazione, vale la pena di notare cosa Padre Elias Mallon ha sottolineato sul blog CNEWA, ovvero che la dichiarazione chiede agli studenti musulmani di “sviluppare un concetto di giurisprudenza sul concetto di cittadinanza” che include diversi gruppi. Un dato “significativo, dato che i leader cristiani in Medio Oriente dal tempo della cosiddetta Primavera Araba hanno sottolineato l’importanza della cittadinanza, che è un concetto relativamente nuovo nella legge islamica”.

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