Roma, 03 August, 2024 / 12:30 AM
“La speranza cristiana è un giudizio storico che trae da un avvenimento storico il suo criterio (avvenimento storico immediato nella propria vita, da riconoscere, e mediato nel passato preciso di duemila anni fa) e che nel tempo della storia trova la sua conferma, e nella completezza della fine della storia troverà la sua evidenza senza nube. E’ questo il valore della speranza cristiana, è questa la verità, la misura della verità, nella nostra vita, di ‘Cristo nostra speranza’. E’ in quella misura che noi possiamo inserirci nella storia come fattori trasformanti, incidenti, determinanti il volto del mondo, il moto degli uomini. E, a differenza di qualunque altro intervento, di qualunque altra incidenza, tanto più potente risulterà questo nostro influsso sulla società e sul mondo, quanto più in noi la prestazione avverrà nella pace, perché non è sulle nostre forze di immaginazione, di pensiero, di dedizione, di sacrificio, di intelligenza e d’azione, che tutte le nostre azioni poggiano o poggeranno, ma è su un Altro, su un forte Amico che, dal profondo della storia di duemila anni fa, irresistibilmente viene, emerge dentro la nostra esistenza”.
Questa riflessione è tratta dal nuovo volume di mons. Luigi Giussani, ‘Una rivoluzione di sé. La vita come comunione (1968-1970)’, nella cui prefazione il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, prof. Davide Prosperi, docente di biochimica all’università Bicocca di Milano, ha scritto: “Ma la forza dirompente della proposta giussaniana si rivela intatta nella situazione presente, di fronte ai suoi limiti e al- le sue urgenze, ai disagi e alle solitudini che la feriscono, con nuove e forse più insidiose forme di individualismo, determinate dall’azione pervasiva delle tecnologie e dalle profonde lacerazioni del tessuto sociale, con la conseguente mancanza di luoghi generativi dell’umano. Solo un cristianesimo fedele alla sua natura può infatti costituire un concreto punto di riscatto e di speranza per una umanità così affaticata, alla ricerca travagliata e oscillante di una via”.
Partendo da queste affermazioni gli chiediamo di raccontarci il carisma di don Luigi Giussani: “Don Giussani è stato un uomo di grande carisma, capace di toccare il cuore di migliaia di giovani. ‘Aveva intuito, non solo con la mente ma con il cuore, che Cristo è il centro unificatore di tutta la realtà, è la risposta a tutti gli interrogativi umani, è la realizzazione di ogni desiderio di felicità, di bene, di amore, di eternità presente nel cuore umano. Lo stupore e il fascino di questo primo incontro con Cristo non lo hanno più abbandonato’, ha ricordato papa Francesco durante l’udienza concessa a Comunione e Liberazione in piazza san Pietro il 15 ottobre 2022 nel centenario della nascita di don Giussani. Per lui il cristianesimo era un incontro, qualcosa di sperimentabile qui e ora in ogni ambito dell’esistenza. L’essenza del nostro carisma si esprime ancora oggi nelle dimensioni fondamentali della cultura, della carità e della missione. E la visione integrale del carisma (la scoperta dell’intero carisma) è la meta costante del nostro cammino come movimento: per questo seguiamo con fiducia e stima la strada che costantemente la Chiesa ci indica”.
Per quale motivo aveva a cuore i giovani?
“Don Giussani cominciò la sua attività di ‘educatore al cristianesimo’ nel 1954, entrando come insegnante di religione in un liceo statale, il Berchet di Milano ‘con il cuore tutto gonfio dal pensiero che Cristo è tutto per la vita dell’uomo’, come scrive in ‘Un avvenimento di vita, cioè una storia’. Stupì da subito gli studenti con la sua decisione e al tempo stesso grande umanità, e con la sua proposta rivolta innanzitutto alla ragione e alla libertà di ciascuno. Li sfidava all’incontro con la bellezza, attraverso la musica, la poesia, la natura, e a non censurare le esigenze fondamentali che costituiscono il cuore dell’uomo. Lo stesso avverrà nei lunghi anni di insegnamento all’Università Cattolica di Milano. Anni dopo, come riportato nel volume ‘Realtà e giovinezza. La sfida’, sarà lui stesso a dire: ‘Ho quasi 64 anni ed anch’io sono passato per la vostra età e ho un po’ la presunzione di essermela portata dietro… Essere giovani vuol dire avere fiducia in uno scopo. Senza scopo uno è già vecchio. Infatti la vecchiaia è determinata da questo: che uno non ha più scopo. Mentre chi ha quindici, vent’anni, magari inconsciamente, è tutto teso a uno scopo, ha fiducia in uno scopo. Questo rivela un’altra caratteristica dei giovani. È la razionalità. Essi lo sono molto più degli adulti. Un giovane vuole le ragioni. E lo scopo è la ragione per cui uno cammina. Per dire la parola grossa, che può sapere di romantico, l’ideale. Se uno non l’ha, è vecchio’”.
In quale modo don Giussani invitava a vivere il carisma nella Chiesa?
“Una delle cose che mi ha sempre colpito della sua personalità, certamente appassionata ed energica, era il suo costante richiamo alla sequela e all’obbedienza alla Chiesa, al Papa in primis, e all’autorità. Diceva sempre che la più grande virtù dell’amicizia è l’obbedienza. Tra l’altro è proprio parte dell’integralità del carisma la coscienza dell’ecclesialità: il metodo che don Giussani ha sempre indicato è seguire la strada maestra e la strada maestra è indicata oggettivamente da chi guida. Scriveva nel volume ‘Il movimento di Comunione e Liberazione. 1954-1986’: “Il grande strumento del cambiamento del mondo è l’unità ecclesiale, non l’intelligenza della coscienza individuale o la scaltrezza della propria cultura o il progressismo del proprio spirito’. Per lui l’obbedienza non era remissività, ma un legame e un’amicizia dentro cui seguire chi aiuta a camminare verso il destino come amava spesso ripetere”.
Perché diede vita al movimento di Comunione e Liberazione?
“Una risposta la possiamo trovare nelle parole che don Giussani stesso scrisse a san Giovanni Paolo II nel 2004: ‘Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta’, come è riportato da Alberto Savorana nel volume ‘Vita di don Giussani”.
Recentemente papa Francesco ha invitato a custodire l’unità oltre le ‘interpretazioni personalistiche’: Comunione e Liberazione come vive quest’unità?
“In obbedienza e cordiale sequela alla Chiesa, come è sempre stato, stiamo lavorando molto sul tema dell’unità così come indicato dal Santo Padre. Le sue parole, che abbiamo accolto con gratitudine, sono state per noi un segno incoraggiante e prezioso della sua amicizia e sono al centro di un percorso che continua nelle nostre comunità a tutti livelli. L’unità non è intesa solo al nostro interno, ma con tutta la Chiesa a partire da chi è chiamato a guidarla. Questo ci rende liberi nelle correzioni e desiderosi di crescere: da chi ci ama non ci si difende, ma si è grati e disponibili. Io ho capito così il costante richiamo del papa ai movimenti a non essere autoreferenziali. Questo si declina anche in una corresponsabilità nella conduzione del movimento secondo il metodo, valorizzato dal papa, della guida comunionale e in uno slancio più vigoroso nella dimensione culturale e missionaria. Del resto la questione dell’unità si gioca in tutte le dimensioni e le età della vita e per noi questo significa vivere la comunione, innanzitutto con il papa e con la Chiesa, e poi tra di noi. Perché se è vero che l’unità nasce da un dono, è altrettanto vero che un dono senza adesione, senza uno slancio di sequela autentica, è un dono sprecato”.
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