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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, la Santa Sede e l’Ucraina

Il Cardinale Parolin durante il suo intervento alla Conferenza di Alto Livello sull'Ucraina

È stata la settimana del Summit di Alto Livello per la Pace in Ucraina, tenutosi in Svizzera. Il summit, voluto fortemente dall’Ucraina che voleva presentare il suo piano di pace giusta, ha visto la presenza ad alto livello della Santa Sede, con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, che ha anche tenuto un discorso finale. La Santa Sede ha partecipato al summit come osservatore, e dunque non ha firmato la dichiarazione finale. L'attenzione della Santa Sede sull'Ucraina è altissima, e il Cardinale Parolin si recherà nel Paese per la prima volta dall'inizio dell'invasione il prossimo 21 luglio, per il pellegrinaggio del santuario di Berdychiv.

Al summit partecipava anche il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, che si è intrattenuto anche in un incontro con il presidente ucraino Volodymir Zelensky, mentre in Ucraina i membri del Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese e delle Organizzazioni Religiose hanno avuto un incontro con gli ambasciatori dei Paesi del G7 in occasione dell’incontro di Borgo Egnazia, sotto la presidenza italiana – in quell’occasione, Papa Francesco ha avuto un bilaterale con il presidente Volodymir Zelensky.

Di grande impatto diplomatico è stata anche la visita in Vaticano del Catholicos armeno di Cilicia Aram I, che ha chiesto anche una azione per la liberazione dei prigionieri di guerra armeni catturati durante il conflitto in Nagorno Karabakh.

                                                           FOCUS UCRAINA

La Santa Sede al Summit di Alto Livello sulla pace in Svizzera

Il 15 e 16 giugno si è tenuto in Svizzera, vicino Lucerna, un Summit di Alto Livello per la Pace in Ucraina. Il summit non vedeva la presenza della Russia e della Cina, con quest’ultima che aveva preferito non partecipare, ed era stato organizzato attivamente dell’Ucraina. Anche il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, ha definito “un limite” l’assenza della Russia dal vertice.

Il presidente Zelensky aveva parlato degli obiettivi del summit e in particolare del suo piano per una pace giusta in un bilaterale con Papa Francesco a margine del G7 di Borgo Egnazia il 14 giugno, mente il capo dell’ufficio del presidente Andriy Yermak era stato in Vaticano il sabato precedente, con una serie di incontri istituzionali che avevano anche lo scopo di promuovere l’agenda ucraina.

La Santa Sede è stata invitata al summit dalla presidente della Confederazione Svizzera Viola Amherd e dal presidente Zelensky, e vi ha partecipato come osservatore. La delegazione della Santa Sede era composta dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, dall’arcivescovo Martin Krebs, nunzio apostolico in Svizzera, e da monsignor Paul Butnaru, officiale della Seconda Sezione della Segreteria di Stato che ha anche partecipato alle missioni del Cardinale Zuppi in Ucraina.

La Santa Sede non ha firmato il comunicato finale, perché osservatore e perché ha la prassi di non firmare dichiarazioni congiunte. Il cardinale Pietro Parolin ha comunque pronunciato un intervento nella Sessione Plenaria finale in cui ha espresso sostegno alle conclusioni del vertice.

Il Segretario di Stato vaticano ha definito il summit come “un evento di importanza globale”, preparato da una Ucraina che “mentre impiegava un enorme sforzo per difendersi dall’aggressione, ha anche lavorato continuamente sul fronte diplomatico, con la volontà di raggiungere una pace giusta e durevole”.

La Santa Sede ha sottolineato che “davanti alla guerra e alle sue tragiche conseguenze” è importante di “non mollare mai”, ma piuttosto di “continuare a cercare strade per terminare il conflitto con buone intenzioni, fede e creatività”, che è poi il messaggio di Papa Francesco.

Il Segretario di Stato vaticano ricorda che l’unico modo di avere una pace vera, stabile e giusta è “il dialogo tra tutte le parti coinvolte”, ed esprime speranza che “gli sforzi diplomatici attualmente promossi in Ucraina e supportati da così tante nazioni siano migliorati”, per “raggiungere i risultati che le vittime meritano e che il mondo intero spera”.

La Santa Sede – spiega ancora Parolin – chiede il rispetto della legge umanitaria e “riafferma la validità del principio fondamentale del rispetto della sovranità di ogni nazione dell’integrità del suo territorio”. Allo stesso tempo, la Santa Sede è preoccupata “dalle tragiche conseguenze umanitarie del conflitto”, ed è in prima linea nel lavoro per facilitare il rimpatrio dei bambini e incoraggiare il rilascio dei prigionieri, “specialmente i soldati e civili che sono stati seriamente feriti”.

Il cardinale Parolin afferma che “il ricongiungimento dei minori con le loro famiglie o custodi legali deve essere preoccupazione primaria di tutte le parti, e ogni sfruttamento della loro situazione è inaccettabile”, mentre è “imperativo che ogni canale disponibile sia rafforzato per facilitare questo processo”.

La Santa Sede è anche osservatore nella Coalizione Internazionale per il Rimpatrio dei Bambini Ucraini dalla Russia e si tiene in diretto contatto con autorità russe ed ucraine attraverso un meccanismo creato a seguito dalla visita del Cardinale Matteo Zuppi a Kyiv e Mosca.

La Santa Sede si dice anche preoccupata del mancato rispetto delle Convenzioni di Ginevra nel trattamento dei prigionieri, sia civili che militari, e lamenta “la difficoltà di creare con il Comitato della Croce Rossa Internazionale una commissione medica congiunta che possa affrontare la situazione dei prigionieri di guerra che hanno bisogno di cure urgenti”.

Il Cardinale Parolin afferma anche che la Santa Sede si impegna a mantenere contatti sia con le autorità russe che con le autorità ucraine e che è pronta ad assistere nell’implementazioni di potenziali iniziative di mediazione “accettabili per tutte le parti in causa e di beneficio per quanti ne sono colpiti”.

Allo stesso tempo – conclude il Cardinale Parolin – “la Santa Sede incoraggia le nazioni e altri membri della comunità internazionale di esplorare modalità di fornire assistenza e facilitare mediazioni, che siano di tipo umanitario o politico”.

Il Patriarca Bartolomeo al Summit di Alto Livello per la Pace in Ucraina

Tra le 100 delegazioni di Stati e Organizzazioni al Summit di Alto Livello per la Pace in Ucraina c’era anche il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. Questi ha incontrato nell’occasione il presidente ucraino Zelensky.

Bartolomeo ha partecipato alla conferenza internazionale sul Bürgenstock su invito della presidente svizzera Viola Amherd.  Durante il summit, il Patriarca Bartolomeo ha incontrato il presidente ucraino Zelensky, che lo ha ringraziato per il sostegno dato a Kyiv e agli ucraini che hanno sofferto a causa dell’aggressione russa.

Secondo una comunicazione diffusa sul sito web ufficiale della presidenza ucraina, il presidente Zelensky avrebbe “anche espresso la sua gratitudine al Patriarca Bartolomeo per aver coinvolto i paesi del mondo a partecipare al Vertice Globale per la Pace”, e ha “sottolineato gli sforzi del Patriarca ecumenico per promuovere lo sviluppo e il rafforzamento dell'Ortodossia in Ucraina e il dialogo con il clero dei paesi del mondo e degli stati partner in questa materia”.

Ucraina, il Consiglio pan ucraino delle Chiese incontra gli ambasciatori del G7

L’11 giugno 2024, il Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese e delle Organizzazioni religiose, che riunisce i rappresentanti del 95 per cento dei credenti ucraini, ha incontrato gli ambasciatori dei Paesi del G7 a Kyiv.

(La storia continua sotto)

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Durante l’incontro, riassunto nel sito ufficiale del Consiglio, i religiosi hanno raccontato agli ambasciatori i crimini della Federazione Russa in Ucraina per quanto riguarda le questioni religiose. In particolare, hanno lamentato di una persecuzione religiosa “nei territori temporaneamente occupati dall’Ucraina, la distruzione e il danneggiamento degli edifici ecclesiastici”, ma anche “la protezione legislativa della libertà di religione dalle interferenze straniere ostili” – il riferimento è ad una legge che, di fatto, metterebbe al bando la Chiesa Ortodossa legata al Patriarcato di Mosca, e che comunque la Santa Sede non ha apprezzato – e l’uso della fede come strumento di aggressione contro l’Ucraina.

La relazione del Consiglio sottolinea che i religiosi hanno parlato anche “del ruolo delle chiese e delle organizzazioni religiose ucraine nel contesto della resistenza dell'Ucraina all'aggressione russa e delle attività delle comunità religiose nella sfera spirituale, umanitaria e sociale”, e che “la conversazione ha toccato anche le sfide affrontate dalle Chiese durante la guerra. In particolare, le parti hanno toccato la questione dello status di sacerdote e delle attività delle comunità religiose nel contesto del servizio di cappellano e delle attività di mobilitazione”.

Tuttavia, “è stato affermato che, nonostante lo stato di guerra, in Ucraina, in generale, i diritti umani e le libertà fondamentali sono garantiti, le istituzioni democratiche e i tribunali funzionano. Allo stesso tempo emergono questioni problematiche che richiedono dialogo e soluzioni concordate tra le denominazioni e le autorità”.

All'incontro del G7 hanno preso parte l'Ambasciatore straordinario e plenipotenziario d'Italia Pier Francesco Zazzo , l'Ambasciatore del Giappone - Matsuda Kuninori , Gael Vessier di Francia e l'Incaricato d'affari di USA, Gran Bretagna, Germania, Canada e Unione Europea. Ambasciatori della Federazione . All'incontro hanno partecipato il presidente della Chiesa ortodossa ucraina Hryhoriy Komendant , il metropolita Epiphany di Kiev e di tutta l'Ucraina della "Chiesa ortodossa dell'Ucraina", l'arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina Sviatoslav Shevchuk , il vescovo della Chiesa cattolica di rito latino Vitaliy Kryvytskyi , Vescovo senior della Chiesa ortodossa ucraina Anatoly Kozachok , Supremo Mufti dell'Ucraina della Duma, Ahmed Tamim , il vescovo della Chiesa dell'ASD dell'Ucraina Stanislav Nosov , il vescovo senior dell'UHEC Leonid Padun , il vescovo dell'UE VAC Markos Hovhannesyan e altri rappresentanti di chiese e organizzazioni religiose.

                                                           FOCUS ARMENIA

La visita del Catholicos Aram I in Vaticano

La visita del catholicos di Cilicia Aram I in Vaticano, che si è tenuta l’11-12 giugno, ha incluso anche degli incontri diplomatici, tra cui un bilaterale in Segreteria di Stato con il Cardinale Pietro Parolin. Il catholicos guida una delle due sedi principali della Chiesa Apostolica Armena – l’altra è “la Santa Sede” armena, ovvero Etchmiadzin – che si trova in Libano, e ovviamente ha parlato anche della situazione nel Paese dei Cedri, che ospiterà il Cardinale Pietro Parolin nei prossimi giorni.

Non solo. Il catholicos ha approfittato per parlare della difficile situazione in Nagorno Karabakh (Artsakh nell’antico nome armeno), dove una pace dolorosa a seguito di un breve conflitto nel 2021 ha portato l’Armenia a perdere il controllo su diversi territori con monumenti storici cristiani armeni.

Il Nagorno Karabakh era un exclave all’interno dell’Azerbaijan, collegato da un solo corridoio alla capitale armena Yerevan, che aveva auto proclamato una indipendenza negli Anni Novanta, ma che non era mai stato riconosciuto a livello internazionale. L’Azerbaijan ne ha ripreso il controllo, e rivendica anche una tradizione “albaniana”, lamentando la distruzione del patrimonio di quel popolo a favore dell’eredità armena. Gli armeni, da parte loro, mettono in luce un “genocidio culturale” che dagli anni Venti, quando il territorio passò sotto la gestione azerbaijana su decisione sovietica, ha portato ad erodere, cancellare e distruggere gran parte del patrimonio cristiano della regione.

Ora che Azerbaijan e Armenia stanno negoziando per la pace, c’è il problema dei prigionieri di guerra. In un comunicato della sede del catholicossato di Cilicia, si legge che Aram I, incontrando Papa Francesco, gli ha espresso “profonda gratitudine per la solidarietà mostrata nei confronti della questione della Artsakh” e allo stesso tempo gli ha detto di mostrare “lo stesso supporto riguardo il ritorno degli armeni dell’Artsakh nella loro patria sotto protezione internazionale”, e per il “pronto rilascio dei prigionieri armeni in Azerbaijan”.

Aram I ha discusso della questione anche con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, e con il Cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali.

Alcune settimane fa, lo stesso Aram I ha inviato una lettera al Patriarca di Mosca Kirill sulle basi della loro personale amicizia, chiedendo di intervenire con il presidente della Russia, e ha chiesto al Patriarca Kirill di lavorare per il rilascio dei prigionieri politici armeni in Azerbaijan e assicurare la preservazione dell’eredità spirituale e culturale armena.

                                                           FOCUS ASIA

Incontro Papa Francesco – Modi, la polemica in India

Durante il G7, Papa Francesco ha avuto un incontro bilaterale con il premier indiano Nareendra Modi, da poco rieletto alla guida del Paese. Il partito di Modi è anche accusato di aver fomentato il nazionalismo indù per scopo politico, sebbene Modi in campagna elettorale abbia fatto visita anche ai vescovi del Paese, dando segnali di apertura che però potevano essere interpretati anche come parte della campagna elettorale.

Modi ha invitato Papa Francesco in India, come già aveva fatto durante il loro incontro di due anni fa, ma questo invito, insieme all’abbraccio, è stato occasione di polemica politica.

Le polemiche sono dovute al fatto che, secondo diversi osservatori, il governo non ha lavorato per superare la discriminazione dei cristiani.

Asia News osserva che Varsha Gaikwad, il parlamentare locale del Congress, lo storico partito oggi all'opposizione, ha sottolineato in un post su X (ex Twitter) che “se il premier Modi, il BJP e Ashish erano così preoccupati e attenti alla comunità cristiana  dov'erano quando i cristiani sono stati perseguitati in Manipur, 157 chiese sono state distrutte, più di 70mila persone sono state costrette a lasciar le loro case?  A padre Stan Swamy sono stati negati aiuti primari, è stato torturato fino alla morte in carcere, coinvolgendolo in un caso giudiziario con accuse false: dov'era, allora, il tuo amore per i cristiani Ashish? Quando un preside cristiano è stato torturato a Pune dai fondamentalisti indù, quando hanno tolto l'abito a una suora nell'Assam, quando il governo del BJP ha tolto di proposito alla maggior parte delle istituzioni cristiane le licenze FCRA per ricevere fondi dall’estero dove eravate?”.

“Il vostro amore verso i cristiani - ha aggiunto - è vuoto e opportunistico solo per assicurarvi i voti della grande comunità cristiana. Ma la gente ormai ha capito la vostra ipocrisia”.

Ci sono stati anche altre prese di posizione polemiche, che però rientrano nel dibattito politico. Invece, la Conferenza episcopale indiana (CBCI) in una nota ha espresso la sua gioia per il rinnovato invito del premier al papa a visitare il Paese.

Il testo ricorda che già l’anno scorso, durante un incontro con l’arcivescovo Andrews Thanzhat, presidente dei vescovi indiani, Modi aveva dichiarato che avrebbe invitato il Papa. “La Chiesa cattolica in India - scrive la Conferenza episcopale - guarda con entusiasmo alla visita di papa Francesco e si prepara già ad accoglierlo con un caldo e caloroso benvenuto”. Quanto al dialogo tra la Chiesa cattolica il governo i vescovi auspicano che l’incontro tra Modi e papa Francesco porti a “una maggiore collaborazione su vari temi, compresi i problemi sociali e ambientali” del Paese.

Va ricordato - infine - che in campagna elettorale il governatore di Goa, anche lui come Modi esponente del Bjp, aveva parlato di un invito a papa Francesco in occasione dell'esposizione decennale delle reliquie di san Francesco Saverio, che si terrà nella città del sud dal 21 novembre 2024 al 5 gennaio 2025. Tuttavia, è difficile che un viaggio del Papa si concretizzi in un arco di tempo così ravvicinato, considerando che ci sarà anche un lungo viaggio in Asia ad inizio settembre che vedrà il Papa toccare Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a Ginevra, un convegno sulla maternità surrogata

Il 19 giugno 2024, si è tenuto presso la sede delle Nazioni Unite di Ginevra un side event (un evento laterale) sul tema della maternità surrogata, organizzato dalla Missione della Santa Sede a Ginevra insieme alla fondazione Caritas In Veritate e co-sponsorizzato dalla Missione Permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite.

Intitolato “A quale prezzo? Verso l’abolizione della maternità surrogata”, l’evento ha visto la partecipazione della piattaforma della Dichiarazione di Casablanca, che ha chiesto un bando completo della maternità surrogata.

Gabriella Gambino, sottosegretario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha moderato la discussione, e ha sottolineato, nella sua introduzione, l’urgenza di una risposta internazionale alla questione della maternità surrogata, mettendo in luce lo sfruttamento e l’oggetivazione che deriva da diverse cornici legali, le quali hanno portato allo sfruttamento di uomini e bambini attraverso il “turismo procreativo”, sottolineando la necessità di “un impegno comune per la salvaguardia, la dignità e i diritti umani fondamentali di quanti sono coinvolti”.

Eugenia Roccella, Ministro italiano della famiglia, ha presentato un rapporto sulla maternità surrogata. La maternità surrogata – ha spiegato – “coinvolge una donna che accetta di dare il suo bambino non nato a una coppia o a un singolo secondo un contratto pre-concepimento, che è legalmente accettato in molte nazioni”, e ha mostrato “la significativa disparità nel trattamento legale ed etico”, poiché “i contratti post-nascita sono considerati vendite illegali, mentre gli accordi pre-concepimento sono considerate sono accettati”.

Roccella ha notato che sebbene i regolamenti intendano mitigare gli effetti negativi della maternità surrogata, spesso sovrastano le implicazioni etiche e le nuove forme di sfruttamento nel mercato del corpo.

Da qui viene il vasto movimento internazionale di individui e gruppi che chiedono un bando globale contro la maternità surrogata.

Tra i partecipanti, Olivia Maurel, 32 anni, nata da maternità surrogata e oggi portavoce della Dichiarazione di Casablanca, che chiede l’abolizione della maternità surrogata. Nel suo discorso, ha definito l’industria della maternità surrogata come un mercato guidato dal profitto che dà priorità al guadagno finanziario piuttosto che al benessere di donne e bambini.

Eva Bachinger, dall’iniziativa austriaca “Stoppt Leihmutterschaft” (Stop alla maternità surrogate), ha messo in luce che la maternità surrogata è uno sfruttamento commerciale che trasforma le donne in circuiti di pagamento e viola la loro dignità.

Bettina Roska di ADF International ha ricordato che i diritti umani sono messi a rischio con la maternità surrogata, la quale è a sua volta presentata spesso come un modo di soddisfare il diritto degli adulti di avere un bambino beneficiando del progresso scientifico. Secondo Roska, la maternità surrogata trasferisce il concetto di dignità umana dall’idea di valore intrinseco a quello di autonomia personale. Ha anche sottolineato che i bandi internazionali sono insufficienti, perché portano spesso alla maternità surrogata transazionale, e per questo ci vuole una proibizione universale con uno strumento legale vincolante.

La Santa Sede a New York, la questione del disarmo

Il 19 giugno si è tenuto le Nazioni Unite una sessione della Quarta Conferenza di Revisione del Programma di Azione delle Nazioni Unite sulle Piccole Armi e le Armi Leggere e su uno Strumento di Tracciamento Internazionale.

La Santa Sede è stata rappresentata da monsignor Robert Murphy, chargée d’affairs e vice Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite.

Nel suo intervento, monsignor Murphy ha sottolineato che ogni sforzo di controllare la diffusione di piccole armi e armi leggere è cruciale per promuovere la pace e proteggere tutti i civili. Ha anche ribadito il supporto della Santa Sede per l’implementazione del programma di azione e altri strumenti che cercano di contrastare la proliferazione, il commercio illecito e l’uso errato di queste armi.

Monsignor Murphy ha espresso estrema preoccupazione riguardo la continua crescita nnella spesa militare globale. La Santa Sede ha notato che i bambini continuano ad essere colpiti in maniera sproporzionata dal conflitto armato e dunque la conferenza dovrebbe includere maggiori misure per la protezuone dei bambini.

Quindi, la Santa Sede reitera l’importanza di un approccio che possa effettivamente affrontare i bisogni reali di donne e bambini che cadono vittime di violenza, e questo può essere raggiunto evitando incomprensioni di terminologia che possono mettere a rischio la reale protezione di queste vittime.

Questo punto è cruciale perché riguarda l’uso di una terminologia basata sull’ideologia gender, già presente in diversi documenti. La Santa Sede ha sempre notato che si riferisce a gender solo per parlare del sesso delle persone secondo la loro dotazione naturale, nelle accezioni di maschio e femmina, e questo in tutti i trattati internazionali. Fu un tema all’ordine del giorno anche quando si discusse il Global Compact sulle migrazioni.

La Santa Sede a Ginevra, la Conferenza sulle Convenzione contro le Mine Anti-Uomo

Il 20 giugno, la Santa Sede ha partecipato al Primo Incontro Preparatorio della Quinta Conferenza di Revisione delle Convenzione Anti-Mine Antiuomo.

L’arcivescovo Ettore Balestrero, Osservatore della Santa Sede presso le Organizzazioni Internazionali a Ginevra (dove si teneva la conferenza) ha sottolineato che “nel mezzo della tragedia dei conflitti in corso, le vittime anti uomo e gli strumenti esplosivi attivati dalle vittime continuano ad essere usati da alcuni Stati e gruppi armati”, e che la Santa Sede guarda con “grande preoccupazione” alla “diffusione indiscriminata di queste armi nel contesto del conflitto in Ucraina e anche in Siria e Myanmar”.

Al fallimento umanitario rappresentato da tutti i conflitti, ha detto l’arcivescovo Balestrero, si aggiunge “un senso aggiuntivo di paura che distrugge la qualità della vita ed evita la riconciliazione, la pace e lo sviluppo integrale, mentre i civili sopportano sempre il costo della sofferenza”. Per queste ragioni, “la Santa Sede chiede urgentemente a tutti gli Stati che non lo hanno ancora fatto di aderire alla convenzione e di fermare la produzione di mine anti uomo senza ritardo”, perché “il costo umano delle vite antiuomo è sconcertante”, ed è ancora più preoccupante che ci sia stata “una crescita del numero di vittime”.

Ha sottolineato Balestrero: “Non abbiamo bisogno di nuove vittime. Quando succede, tutti noi perdiamo perché la vita umana è sacra”.

La Santa Sede ha anche fatto alcune raccomandazioni riguardo il testo del Piano di Azione e della Dichiarazione Politica adottata dalla Quinta Conferenza.

La prima: è essenziale di “considerare pienamente la voce e la partecipazione delle vittime”, e dunque gli obblighi della convenzione “devono essere rispettati con rinnovata urgenza e perseveranza” proprio per dimostrare rispetto per la dignità delle vittime”.

La seconda: considerando che un mondo “libero da mine antiuomo non è un mondo senza vittime”, è “fondamentale di continuare a porre la persona umana al centro dei nostri sforzi congiunti e così garantire una forma di assistenza integrale.

La terza riguarda – come spesso accade – l’uso di una terminologia orientata sull’ideologia di genere. Sarà importante – ha affermato l’arcivescovo Balestrero – “adottare un linguaggio e delle azioni che sono chiare e concrete piuttosto che impiegare una terminologia vaga come l’espressione gender e diversità, che manca di una definizione condivisa e ha provato di essere una terminologia non consensuale in diversi altri fori”.

L'arcivescovo Balestrero ha poi notato che “c’è una forte connessione tra lo sminamento, l’assistenza alla vittime, lo sviluppo e la costruzione della pace”. Per questo, le vittime sono chiamate a “non essere ricevitori passivi, ma a prendere parte attiva nella vita della società come agenti di cambiamento”, e perché questo sia efficace è “importante che ci siano politiche nazionali chiare e coordinamento dei vari aspetti dell’assistenza alle vittime”, così come è necessario “supportare la società civile, incluse le organizzazioni religiose, considerando che senza le loro reti di solidarietà le persone sarebbero in molti casi lasciate a loro stesse”.

                                                           FOCUS AMBASCIATORI

L’ambasciatore del Canada presso la Santa Sede presenta le lettere credenziali

Il 21 giugno, Joyce Napier, ambasciatore del Canada presso la Santa Sede, ha presentato le lettere credenziali a Papa Francesco. Napier non è un ambasciatore di carriera. È una giornalista televisiva molto conosciuta in patria, dove ha lavorato sia per la televisione di Stato che per canali commerciali.

Napier ha vissuto già 15 anni a Roma, essendosi trasferita qui nel 1960 con suo padre, uno dei dirigenti dell’Enciclopedia Britannica che fu trasferito qui per lavoro, e ha frequentato l’Institut Saint-Dominique, una scuola cattolica gestita dall’Ordine Domenicano.

Napier ha cominciato la sua carriera nella carta stampata nel 1981 a Montreal, ma è più conosciuta per il suo lavoro televisivo, cominciato nel 1989 come reporter per la Canadian Broadcasting Corporation. È poi stata corrispondente per il Medio Oriente basata a Gerusaleme per Radio Canada, e quindi è diventato il capo della redazione di Washington DC.

Nel 2016, Napier ha lasciato il servizio pubblico e si è unita all’emittente privata CTV, che ha lasciato nel 2023 vittima di un taglio dei posti di lavoro.                                                                                                           FOCUS SEGRETERIA DI STATO

Cardinale Parolin: “Papa Francesco andrebbe anche subito in Cina”

A margine della presentazione del libro Il Cardinale Celso Costantini e la Cina – Costruttore di un ponte tra oriente e occidente, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, si è anche soffermato sulle relazioni tra Santa Sede e Cina.

In particolare, ha affermato che i tempi sembrano per ora prematuri, ma “se ci fosse apertura da parte dei cinesi il Papa andrebbe anche subito in Cina”, avendone sempre apprezzato il popolo, la storia, la cultura.

Non solo. Il cardinale Parolin ha anche affermato che l’accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi sarà rinnovato. È stato firmato la prima volta nel 2018, e poi rinnovato nel 2020 e 2022. Finora, l’accordo ha avuto una durata ad experimentum di due anni, ma potrebbe anche essere raddoppiato a quattro anni, secondo alcuni rumors. Le stesse voci sottolineano che c’è stato un incontro sul rinnovo dell’accordo in Vaticano poco meno di un mese fa, in cui le parti cinese e vaticana, oltre al rinnovo, hanno affrontato anche il tema della redistribuzione della diocesi.

Nel suo colloquio con i giornalisti, il Segretario di Stato vaticano ha sottolineato che “con la Cina stiamo dialogando da tempo, stiamo cercando di trovare le procedure migliori anche per l’applicazione dell’Accordo firmato a suo tempo e che sarà rinnovato alla fine di quest’anno”.

Il cardinale Parolin parla della pace in Ucraina e del viaggio in Libano

Il 19 giugno, a margine dell’evento Colloqui di Pace, il Cardinale Parolin si è soffermato sulla sua missione in Svizzera, sottolineando che la conferenza di alto livello per la pace “è stata una cosa utile”, ma con “il limite, rilevato da molti degli oratori, di non avere la presenza della Russia. La pace si fa sempre insieme”.

La pace – ha detto il Segretario di Stato vaticano – deve essere “giusta”, cioè deve fondarsi “sui principi del diritto internazionale e sulla stretta adesione alla Carta dell’ONU”, e per questo deve esserci “il principio della fraternità, principio metagiuridico ma che trova applicazioni concrete anche negli ordinamenti. Se non facciamo lo sforzo di sentirci fratelli in questo mondo, non riusciremo mai a superare la conflittualità”.

Il cardinale Parolin ha rilevato anche il fatto che gli organismi internazionali “funzionano poco o nulla”, anche a causa della “assoluta mancanza di fiducia reciproca”.

Il cardinale ha denunciato anche “i grandi interessi economici in gioco” dietro il mercato delle armi, ed ha detto che l’unico modo di risolvere il conflitto in Ucraina non è con l’invio di armi, ma con l’idea di “mettersi insieme e cominciare a parlarsi senza condizioni. Allora, in quel momento, si potrà fermare anche l’invio delle armi”, ma prima si deve “riuscire ad avviare i negoziati tra le due parti anche in forma riservata”.

Il cardinale Parolin in Libano

Parlando con i cronisti, il Cardinale Parolin ha anche confermato il suo viaggio in Libano dei prossimi giorni, che non è “una visita diplomatica, né una missione per la pace in Terra Santa”, ma piuttosto della risposta ad un invito dell’Ordine di Malta di andare a visitare le loro opere che sono di grande impatto sociale in una situazione di crisi totale. Quella libanese è una crisi a 360° e certamente lì si cercherà di lavorare un minimo anche per aiutare, come ha sempre fatto la diplomazia della Santa Sede, per aiutare a trovare una soluzione istituzionale”.

Una agenda ufficiale del viaggio del Cardinale Parolin non è ancora stata rilasciata. Il Cardinale dovrebbe essere in Libano dal 23 al 26 giugno, e il 25 è previsto comunque un incontro con i consacrati e le consacrate del Paese.

Il Cardinale avrà anche un incontro con il Cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca dei maroniti, che da tempo ha invocato una “neutralità attiva” del Libano perché torni a contare sullo scacchiere Mediorientale, ma anche due incontri istituzionali: uno con il primo ministro Najīb Mikati, e uno con il presidente del Parlamento Libanese Nabih Berri.

Nel suo intervento ai Colloqui per la pace nella Sala Koch di Palazzo Madama, Parolin aveva invece rivolto un appello a tutti i cristiani: “In questo tempo segnato dalla guerra, è urgente che prendano a cuore la causa della pace”.

Il cardinale ha chiesto un impegno per “sensibilizzare coloro che amministrano la giustizia e la politica ad operare con coerenza, ispirandosi al Vangelo e ai principi etici”, ripartendo dalle scuole.

Il cardinale Pietro Parolin inaugura la nuova sede del Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa

Il 20 giugno, il Cardinale Parolin ha inaugurato la nuova sede del Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa (CCEE), che alla plenaria dello scorso novembre aveva deliberato il trasferimento dalla sede di San Gallo, in Svizzera, ad una sede a Roma, più centrale.

Il CCEE è composto dai presidenti delle Conferenze Episcopali di Europa, intesa in senso geografico e non politico (dal Portogallo alla Russia) e consta di 39 membri: 33 presidenti e sei rappresentanti di nazioni troppo piccole per avere una conferenza episcopale o di realtà considerate una conferenza episcopale a sé.

Nel suo discorso inaugurale il segretario di Stato ha ricordato che l’indole della CCEE - cioè “incrementare la collaborazione tra gli episcopati europei alla luce dell’esperienza vissuta dal Concilio Vaticano” - è chiamata oggi “ad assumere il volto della sinodalità, quello di una Chiesa che a partire dalla parola di verità del Vangelo va incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo. Illuminata e sostenuta dalla presenza stessa di Cristo”.

In particolare, attraverso un “impegno ad evangelizzare a cui non deve mai mancare la testimonianza della verità, specialmente nel nostro tempo che non sembra più comprendere l’oggettività trascendente del vero, riducendolo a mero consenso sociale e sentimento del momento”.

Il cardinale ha anche invitato a mantenere comunione fraterna e testimonianza della carità “verso quanti soffrono, i deboli e gli emarginati”, vittime di una cultura dello scarto, dove “tutto è superfluo, anche quello che non lo è come lo stesso dono della vita umana, specialmente quella fragile e indifesa”.

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