Città del Vaticano , 14 June, 2024 / 9:00 AM
Forse il punto di vista più innovativo sul tema dell’intelligenza artificiale lo ha dato un teologo quarantenne, Rocco Malatacca, che ha interpretato tutta la Scrittura come se fosse una grande opera di intelligenza artificiale, di uomini e storie connesse, di default e di eventi che evengono. Lo ha fatto in un libro, “Tu parli come me” (Città Nuova) che ha il merito non tanto di riportare la questione dell’intelligenza artificiale all’uomo, ma di portare il logos umano ad essere letto come intelligenza artificiale. Il futuro, in fondo, è nell’essere umano, nel suo essere storia di carne e sangue ed evento. Ed il futuro, alla fine, è nella Parola, nel senso più profondo.
Questa interpretazione particolarmente ardita è solo l’ultima di una serie di opere, lavori, studi degli ambienti cattolici in generale e vaticani in particolare tutti collegati al tema dell’intelligenza artificiale, che ha visto anche l’allora Pontificio Consiglio della Cultura impegnarsi in una plenaria sulla questione già nel 2017. Perché la domanda di fondo è: se tutto è relazione, e relazione elettronica, quale spazio c’è per la componente umana?
Papa Francesco, insomma, ha molto su cui pescare per il suo discorso di oggi al G7. La sessione “outreach”, dedicata agli ospiti invitati, parlerà proprio di intelligenza artificiale, ed è facile cadere nel tranello di vederne solo le applicazioni tecnologiche e pratiche, che nel caso della diplomazia riguardano anche temi come le deep fake o le fake news, perché in fondo tutte le guerre sono ibride. Papa Francesco sarà chiamato, insomma, a riportare lo sguardo sull’uomo, superando la visione di Henry Kissinger, che aveva guardato allo sviluppo dell’AI come una sfida senza però guardare ai suoi risvolti etici.
Che sono enormi. Padre Paolo Benanti, TOR, probabilmente uno dei massimi esperti di Intelligenza Artificiale oggi al mondo (è nel comitato ONU per l’intelligenza artificiale, presiede la Commissione di Palazzo Chigi sul tema) relazionò lo scorso anno alla conferenza dei portavoce del CCEE come anche l’uso delle notizie fosse materiale di conflitto, citando uno studio che dimostrava come una serie di siti No-Vax si convertirono immediatamente in siti pro-Russia nel momento dell’aggressione militare sull’Ucraina, portando da un tema all’altro consensi e connessioni.
È la guerra ibrida, in fondo, e Papa Francesco ha il merito di essere stato tra i primi a parlarne riferendosi al conflitto in Ucraina, durante l’incontro interdicasteriale con il Sinodo della Chiesa Greco Cattolica del luglio 2019.
Come ci si pone di fronte a una tale offensiva di informazione? E, soprattutto, a quale uomo si possono imputare gli automatismi?
Il problema diventa ancora più grande quando non si parla più di manipolazioni di notizie, ma di uso di armi. Basta scorrere gli interventi nemmeno troppo recenti della Santa Sede alle Nazioni Unite per notare come da sempre la Santa Sede si impegni sul tema, con pronunciamenti anche molto forti sulle LAWS (Lethal Autonomous Weapon System). Ne ha parlato anche l’arcivescovo Paul Richard Gallagher all’assemblea generale delle Nazioni Unite lo scorso settembre, mettendo in luce i grandi problemi etici e morali che queste armi portano con sé. In fondo, un drone annulla l’esperienza diretta, fa dell’omicidio una esperienza mediata e dunque si può tranquillamente uccidere senza sentire nemmeno le conseguenze morali del gesto rimanendo comodamente seduti in casa mentre un drone da noi comandato opera dall’altra parte del mondo.
L’uomo mediato dal drone sarà allora considerato uomo? Come detto, se ne parla da tempo. Nel 2017, il Cortile dei Gentili ha ospitato un dibattito su “Intelligenza artificiale: una sfida etica”, mentre la Pontificia Accademia per la Vita, nella prima plenaria con i nuovi membri aveva scelto in quello stesso anno come tema “Accompagnare la vita: nuove responsabilità nell’era tecnologica”.
E se il secondo tema faceva subito pensare alla drammatica vicenda di Charlie Gard, allora molto attuale, e il primo faceva pensare al futuro degli uomini cyborg, è chiaro che la domanda resta sempre quella originaria sull’uomo. Una domanda che si ripropone sia quando la vita degli esseri umani dipende a volte dalle macchine, sia quando sono le nuove tecnologie a prendere sempre più piede nella vita.
Tutto è connesso, l’intelligenza artificiale ha un enorme impatto sull’uomo, e porta in maniera veloce al rischio di transumanesimo in cui l’umano non è più il risultato dell’espressione dell’uomo bensì il risultato dell’ibridazione dell’uomo con alterità non umane.
In quel periodo, furono centinaia, i ricercatori di tutto il mondo – incluso Stephen Hawking – a firmare la dichiarazione promossa dal Future of Life Institute che metteva in guardia dai rischi di un utilizzo incontrollato dell’Intelligenza Artificiale.
Non solo. Il passaggio verso il mondo transumano viene fatto con movimenti lievi e a volte impercettibili. Ad esempio, propagandando con favore – è successo qualche anno fa – la sostituzione del cartellino dei dipendenti con un microchip sottocutaneo. Furono pubblicati, nell’occasione, articoli densi di vago ottimismo, che si accompagnavano anche all’uscita nelle sale cinematografiche del film The Circle, che aveva con oggetto proprio il controllo di una azienda sui dipendenti.
Non va dimenticato che il verichip, ora applicato principalmente sugli animali, nasce per scopi umani, così come i tanti progetti di uomini cyborg, che nascono soprattutto per scopi bellici e poi vengono portati in campo civile.
Sono, insomma, tantissimi i temi in gioco. Se l’intelligenza Artificiale può arrivare, un giorno, a ricostruire un occhio danneggiato, quali sono le ricadute etiche se questa viene usata per implementare per scopi di guerra le funzionalità di un occhio sano?
I temi sono antropologici, ma sconfinano anche in altri ambiti, come quello del disarmo e in generale della giustizia e della pace, e non sorprende che tra i primi ad occuparsi del legame tra informatica e diritto sia stato proprio un officiale vaticano, Giorgio Filibeck, per decenni in forze al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
Per questo, il discorso di Papa Francesco al G7 dovrebbe toccare anche le implicazioni etiche dell’intelligenza artificiale, seguendo i principi della Rome Call for AI Ethics lanciata dalla Santa Sede che è stata già firmata dai colossi dell’informatica e da diverse confessioni religiose, siglata da importanti corporation informatiche (Microsoft, IBM, Cisco tra le altre), ma anche da diverse altre confessioni religiose – recentemente si è unita anche la Comunione Anglicana.
Il manifesto, approvato da Papa Francesco, chiede un impegno per lo sviluppo di tecnologie di Intelligenza Artificiale trasparenti, inclusive, socialmente vantaggiose e responsabili. L’intento della Call è dar vita a un movimento che si allarghi e coinvolga altri soggetti: istituzioni pubbliche, ONG, industrie e gruppi per produrre un indirizzo nello sviluppo e nell’utilizzo delle tecnologie derivate dall’Intelligenza Artificiale.
La Rome Call for AI Ethics sottolinea che “i sistemi di Intelligenza Artificiale devono essere concepiti, progettati e realizzati per servire e proteggere gli esseri umani e l'ambiente in cui vivono”.
Papa Francesco potrebbe anche riprendere il tema di stabilire una autorità mondiale con competenze universali riguardo l’intelligenza artificiale, richiesta lanciata dall’arcivescovo Gallagher in uno dei suoi discorsi alle Nazioni Unite all’apertura dell’assemblea generale dello scorso settembre.
Probabilmente ci sarà un accenno alla cosiddetta algor-etica, termine inventato da proprio da padre Benanti.
Insomma, se la Santa Sede guarda all’intelligenza artificiale è proprio perché questa rischia di avere un impatto sull’essere umano e su come questo possa essere percepito. E si torna al libro di Malatacca, all’idea che, in fondo, proprio la Parola che ci viene data nella Bibbia possa essere una gigantesca chat bot, una relazione, un linguaggio suo che crea mondi e che incide sulle vite. Magari, insinua il teologo, non è un caso se tutti coloro che hanno lavorato sugli ultimi sviluppi verbali dell’intelligenza artificiale sono scienziati di origine ebrea, portati per costituzione, per lingua, per storia a dare alla Parola e alla costruzione di sé attraverso il linguaggio una priorità assoluta.
Così, se il Cardinale Wilhelm Eijk, arcivescovo di Utrecht, chiede di evangelizzare le chat bot, l’altra prospettiva è quella di guardare alle storie per comprendere in che modo siamo connessi. Ritornare all’umano per superare il transumano.
La Chiesa di questo si interessa. Per questo, il discorso di Papa Francesco non riguarderà solo banalmente i temi della responsabilità etica di fronte alle conquiste dell’intelligenza artificiale. Riguarderà l’essere umano, la sua responsabilità, il suo futuro. Il suo rimanere uomo quando l’umano sembra non contare più. Come l’ecologia non può che essere ecologia umana, così il tema dell’intelligenza artificiale non può che essere declinato dalla prospettiva di un cosiddetto umanesimo integrale. Non c’è la Parola senza essere umano, nonostante le chat bots diano l’illusione che tutto possa essere fatto senza intervento umano, studiato a tavolino, in modo freddo, calcolato, silenzioso.
È per questo, alla fine, che la Chiesa guarda, da sempre, all’intelligenza artificiale. Perché è un campo di evangelizzazione tutto nuovo, dove l’umano potrebbe non contare più. Se lo chiedeva Isac Asimov: “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” Quel racconto divenne Blade Runner.
(La storia continua sotto)
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